Irrational Man
USA 2015 commedia 1h35'
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Fotografia: Darius Khondji
Montaggio: Alisa Lepselter
Scenografia: Carl Sprague
Costumi: Suzy Benzinger
Joaquin Phoenix: Abe Lucas
Emma Stone: Jill Pollard
Parker Posey: Rita Richards
Jamie Blackley: Roy
Betsey Aidem: madre di Jill
Ethan Phillips: padre di Jill
Meredith Hagner: Sandy
Ben Rosenfield: Danny
David Aaron Baker: Biff
TRAMA: Professore di filosofia, Abe Lucas è un uomo emotivamente devastato che ha perso ogni gioia di vivere. Poco dopo il suo arrivo presso l'università di una piccola cittadina, Abe instaura due legami. Il primo è con Rita Richards, una collega in cerca di compagnia che tenta di fargli dimenticare il suo disastroso matrimonio. Il secondo, invece, è con Jill Pollard, la sua migliore studentessa che diventa anche la sua migliore amica. L'interesse tra docente e allieva cresce rapidamente e, in seguito a una decisione cruciale, Abe è nuovamente in grado di godersi a pieno l'esistenza. La sua scelta innesca però una serie di eventi.
Voto 7,5
Nel suo annuale messaggio autoriale, puntuale come una rata di mutuo o come il discorso del Presidente, il grande Woody continua a parlare a noi solo per finta, prolungando invece il suo personale monologo con se stesso, come in una sorte di autoanalisi di cui non riesce a fare a meno. Da sempre scrive sceneggiature che ritengo più che altro un intimo diario personale che, se altri normalmente conservano gelosamente chiuso a chiave in un cassetto, lui trasferisce in immagini e dialoghi per lo schermo. Badando poco infatti ad una vera sceneggiatura, completa di descrizione di scenari e inquadrature, i suoi script sono essenzialmente fluviali dialoghi tra due o più persone, a seconda delle situazioni in cui si sviluppano le sue riflessioni, che poi, essendo delle perifrasi semplici o complesse ma sempre geniali, diventano per noi tutti dei veri aforismi, che riportiamo fedelmente agli altri giusto per fare la bella figura del saggio spiritoso e forbito. Depresso lo è sempre stato, Woody, divertente e a volte anche dissacrante, ma sempre accompagnato da quel pessimismo pregno della cultura ebraica che lo caratterizza e che lui stesso prende in giro. Nel corso degli anni e crescendo di età si è poi affermata vieppiù la paura, no anzi, il terrore che gli suscita il pensiero che siamo tutti mortali, cioè, in pratica, che anche a lui arriverà il giorno finale e ciò ormai lo tormenta fino a farlo scrivere e parlare spesso di questo argomento. Lo ha confessato anch’egli che, quando a 5 anni si rese conto che un giorno sarebbe morto, non è stato più lo stesso. A 5 anni. Immaginiamo un po’ cosa ne pensa oggi che ne ha 80. Diverse volte ha trattato di morte sotto la forma di omicidio, di crimine, di delitto con le ovvie riflessioni che ne derivano: sfuggire alla giustizia, meritarsi il giusto castigo, sperare nella fortuna per cavarsela, il rimorso, infischiarsene totalmente e salvarsi con un innato senso di incoscienza.
Sotto l’influsso della meravigliosa letteratura dei maggiori scrittori russi, Dostoevskij in testa – scrittore che sicuramente amerà alla follia – e dei loro voluminosi romanzi e tornando ancora una volta su questi argomenti, ecco dopo Crimini e Misfatti, Misterioso omicidio a Manhattan (che sintesi perfetta per lui unire il suo luogo preferito e un crimine su cui discutere un intero film!), e poi la trilogia inglese intrigante costituita da Match Point – Scoop – Sogni e delitti, ecco quindi a questo ultimo semi-thriller chiamato Irrational Man. Semi-thriller, certo! I misfatti criminosi che maturano nella testa del protagonista Abe infatti a mio parere contano poco ai fini del genere del film: ciò che conta, quello che pesa di più non è ciò che commette o vuol commettere l’irrazionale personaggio, bensì è parlarne dal punto di vista psicoanalitico, dal senso filosofico ed esistenziale che spingono un uomo a pensare in un tal modo e agire di conseguenza. Perché Abe è apatico fino all’inverosimile, è insensibile fino a provare di essere un essere superfluo, è un morto che cammina. Fino a quando però non trova un senso alla sua vita, fino a quando vede cosa può compiere di utile e sentirsi così vivo e perfino foriero di giustizia per l’umanità che lo circonda. Ma ci possiamo affidare ad una giustizia prêt-à-porter, al fai-da-te, e quindi all’autoassoluzione in nome del benfatto, del good job? Non vale la pena dare una risposta, secondo Allen, perché sulla testa di ognuno di noi pende il casualità, il caso, la coincidenza. Il castigo giusto e compensativo del delitto commesso può arrivare dal caso, a volte può bastare una piccola torcia elettrica e la nemesi si materializza. Ecco quindi che all’uomo irrazionale – colui il quale secondo George Bernard Shaw insiste nel cercare di adattare il mondo a sé e non viceversa - si contrappone il destino che invece si mostra più che razionale, un destino che ha la bilancia della giustizia, quella che commina la pena adeguata. E non ci sono appelli!
In molti film di Woody e in particolare negli ultimi trovo che è quasi inutile starli a guardare sullo schermo. Secondo me il grande autore non spreca più di tanto attenzione e cura per ciò che riguarda le inquadrature o la perfetta sintonia tra gli attori, in quanto ciò che gli interessa maggiormente è il messaggio dei suoi discorsi, della sua affabulazione continua. Secondo me insomma questi film si potrebbero gustare pienamente anche con gli occhi chiusi, anzi dire che si gusterebbero meglio, dato che la sceneggiatura è un fitto dialogo continuo e per osservare la gestualità e le espressioni degli attori va a finire che ci si distrae facendoci sfuggono tante parole e soprattutto molti concetti che Woody sta esprimendo tramite i suoi “relatori”. Certo non è sempre stato così, basti ricordarsi dei meravigliosi film in bianco e nero come Manhattan o la sfavillante Cate Blanchett di Blue Jasmine la cui nevrosi visiva andava di pari passo con quella mentale.
Non son tutte rose quelle che fioriscono in questo film: la pecca maggiore forse risiede nei due protagonisti Joaquin Phoenix ed Emma Stone, che sono abbastanza bravi - anzi il primo porta pienamente la sua caratterizzazione in un ruolo non facile, dando una impronta tutta sua alla figura di Abe – ma ciò che è mancato è quella sintonia necessaria per far diventare i due personaggi una vera coppia, quel tocco di minima chimica che serve ad amalgamare due sostanze diverse. Ma potrebbe essere una critica fuori luogo, potrebbe essere semplicemente il frutto delle indicazioni ricevute dal regista, che probabilmente non ha mai pensato ai due come una vera coppia, di quelle che il destino fa incontrare per giurarsi amore eterno, l’uno arrivato al college senza alcuna aspettativa, l’altra innamoratasi più degli scritti del professore di filosofia che della sua persona. Da qui ecco la coppia anomala che non poteva esistere e resistere: Abe istintivo e irrazionale, Jill troppo convenzionale e con aspettative di una vita tradizionale e mondana come sognano tutte le ragazze americane della middle class.
Di questo ci racconta Woody, infischiandosene come spesso gli succede della tecnica cinematografica come per esempio la precisione dei controcampi, ma badando piuttosto al contenuto del suo cinema, scrivendo il copione in base agli attori che ha già scelto in precedenza, continuando a chiedere il bis alla sua musa di riferimento momentaneo, così come è successo in precedenza con Scarlett Johansson e stavolta con la brava Emma Stone, che migliora sempre più. Ovvio che scegliendo un attore dal forte temperamento e da caratteristiche recitative e fisiche decisamente particolari come Joaquin Phoenix ha voluto dare un’impronta ben precisa al personaggio di Abe, essendo in questa occasione il ruolo femminile di Jill meno importante ai fini sia della storia sia dell’influenza che ha sul partner, il quale agisce per tutta la durata in maniera solo istintiva, senza cercare un senso razionale ai suoi comportamenti. Una cosa è certa: un uomo che nella vita non fa nulla per farsi notare, trasandato e con la bottiglietta di whisky al malto in tasca, minimalista fino al nichilismo, che si sveglia dal proprio torpore per portare a termine un disegno mentale che gli fa provare l’ebbrezza eccitante di fare giustizia mettendo in atto un delitto perfetto (almeno così gli pare) e per giunta ben studiato è un controsenso comportamentale, una mente irrazionale che attua un piano perfettamente razionale ma con l’incoscienza dell’irrazionale, convinto di farla franca bellamente. Ma siccome dove non riesce ad arrivare la giustizia umana arriva quella del fato e in conseguenza della regola che “il delitto apre la porta ad altri delitti”, al secondo passo – che per Abe diventa ineluttabile – è la casualità che decide la pena capitale per il colpevole. Una casualità che prende la forma di una piccola torcia elettrica, lì pronta come un patibolo vicino ad un ascensore, anzi un ascensore per il patibolo, e la storia si conclude così come è iniziata: la vita riprende il suo trantran quotidiano, ognuno torna al suo posto, il giudice deviato non c’è più, l’intruso indipendente e non raziocinante inghiottito dal caso.
I protagonisti come (quasi) sempre sono due ma stavolta non sono i due attori: sono Joaquin Phoenix e Woody Allen. Anche quando non compare, lui c’è sempre, lui domina la scena tramite il suo alter ego, che in questa occasione è il sempre eccellente attore portoricano, interprete di altissimo rendimento, sempre nel ruolo in qualsiasi film, davvero impressionante. Discorso a parte per la brava Stone, in continuo miglioramento ma qui danneggiata da un doppiaggio che non ci fa apprezzare nella versione italiana la sua sicuramente buona recitazione, un vero guasto per il film, un oltraggio che noi italiani continuiamo a subire: perdere il suono di quel suo vocione appena rauco significa farle perdere il 50% della recitazione.
La logica, la società predominante, la borghesia, l’Uomo Razionale (nel senso del comune pensare), il conformismo hanno sempre avuto la meglio sui cani sciolti nella storia dell’umanità e Abe non fa eccezione. Woody ce ne parla spesso, attratto com’è dallo scontro tra la psiche e il crimine, tra la vita che vorrebbe eterna e la Morte che non lo fa dormire di notte, tra il delitto e il castigo. Il suo innato pessimismo ha però una exit strategy: "Provo sollievo solo con un orgasmo edificante", come dice Abe. Il grande regista forse non è al suo massimo, non potrebbe d’altronde esserlo per tanto tempo e per tanti film, ma il peggior film di Woody è sempre superiore a qualsiasi media che possiamo calcolare.
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