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Jeanne du Barry - La favorita del re (2023)

Jeanne du Barry - La favorita del re

(Jeanne du Barry) Francia/Belgio/UK/Russia/ArabiaSaudita 2023 dramma storico 1h57’

 

Regia: Maïwenn

Sceneggiatura: Maïwenn, Teddy Lussi-Modeste, Nicolas Livecchi, Marion Pin

Fotografia: Laurent Dailland

Montaggio: Laure Gardette

Musiche: Stephen Warbeck

Scenografia: Angelo Zamparutti

Costumi: Jürgen Doering

 

Maïwenn: Madame du Barry

Johnny Depp: Luigi XV

Benjamin Lavernhe: Jean-Benjamin de La Borde

Pierre Richard: Duca di Richelieu

Melvil Poupaud: Jean-Baptiste du Barry

Pascal Greggory: Duca d’Aiguillon

India Hair: Adelaide di Borbone-Francia

Suzanne de Baecque: Vittoria di Borbone-Francia

Capucine Valmary: Luisa di Borbone-Francia

Diego Le Fur: il Delfino

Pauline Pollmann: Maria Antonietta

Micha Lescot: Conte di Mercy-Argenteau

Noémie Lvovsky: Contessa de Noailles

Laura Le Velly: Sofia di Borbone-Francia

 

TRAMA: Jeanne Bécu nacque nel 1743, come figlia di un monaco terziario francescano e di una sarta che si trovava in condizioni di estrema povertà, ma la sua storia fu quella di un lungo percorso che giunse al culmine quando diventò l’amante ufficiale di Luigi XV, garantendosi una presenza fissa a corte.

 

Voto 6



Ci si potrebbe meravigliare del fatto che Maïwenn Le Besco – che ormai si fa chiamare più brevemente solo col nome – si sia interessata a questo personaggio così femminile e per nulla femminista, ma scoprendo il suo pensiero in merito alla battaglia #MeToo la questione si chiarisce abbastanza. Lei non si è mai schierata a favore del movimento, anzi ha anche fatto dichiarazioni che volevano addirittura legittimare un sistema che alle donne attribuisce valore in base al loro potenziale sessuale. Sta di fatto che si è buttata a capofitto su un personaggio del tutto particolare per raccontarne l’ascesa (e la caduta) come cortigiana favorita del re Luigi XV (Johnny Depp), Jeanne, donna che trova nel libertinaggio una libertà e uno stile di vita appagante, ma che finisce per essere venduta al migliore offerente dall’avido marito Jean-Baptiste du Barry (Melvil Poupaud). Quando poi quel migliore offerente è niente meno che il re di Francia, Jeanne e compagno intravvedono un’occasione da sfruttare, ma quella che nasce tra la donna e il sovrano è una relazione fatta di inattesa complicità e tenerezza, destinata a far scandalo a corte per la sua dimensione pubblica rispetto alle altre, cioè le infinite infedeltà del re nei confronti di una regina che nel film non compare assolutamente.



La trama racconta che la Jeanne du Barry del titolo è Jeanne Becu, conosciuta come mademoiselle Vaubernier, che, dopo la morte della Regina, Madame de Pompadour nel 1764, divenne l’amante ufficiale del re e si trasferì a Versailles. Nonostante i migliori sforzi di qualche avversario di corte e il disprezzo che la delfina Maria Antonietta le riversò, sollecitata dal continuo birignao delle antipatiche figlie del Re, riuscì a mantenere il suo posto a corte fino alla morte di Luigi XV. Nonostante le umili origini, affamata di cultura e piacere, usò la sua intelligenza e il suo fascino, ma soprattutto un carattere ferreo ed esuberante, per salire uno dopo l’altro i gradini della scala sociale. Sposata frettolosamente con il conte Jean-Baptiste du Barry, la nuova contessa fu presentata alla corte e conobbe il sovrano. Questi perse immediatamente la testa per la donna e pretese che venisse ammessa subito alla sua presenza, come da rito delle cortigiane preferite. In seguito, successe che i due si innamorarono per davvero e perdutamente e contro ogni decoro ed etichetta. Alla morte del re, come consigliato dal fedele Jean-Benjamin de La Borde, dovette sparire dalla circolazione e rifugiarsi per un po’ presso il convento dove era cresciuta. Purtroppo per lei, la sua fine fu uguale al destino dei reali in seguito alla Rivoluzione, che non risparmiò nessuno, neanche i personaggi che venivano dalla plebe.



La protagonista è piaciuta immensamente a Maïwenn, avendola giudicata, come la concepisce e la interpreta, come una donna anticonformista e libera, assolutamente libera, facendola diventare un opinabile manifesto anti #MeToo, mostrandola come una persona che ama utilizzare il proprio pensiero e il proprio corpo per raggiungere la felicità. Sua e dell’uomo che ama, a cui riversa ogni tipo di gesto affettuoso, anche pubblicamente, facendo scandalizzare l’intera corte, che mai avrebbe immaginato scene del genere davanti a tutti. A tavola come a passeggio nella meravigliosa residenza di Versailles. E lui perso totalmente davanti a tale genuinità. Nel frattempo, lei, venduta e acquistata, usata e nascosta e poi esibita, disprezzata dalle donne che si definivano perbene, se ne infischiava di rivendicare la sua autonomia e navigò sapientemente nella corte sessista pre-Rivoluzione francese. Criticato il personaggio per tanto patriarcato, criticata l’autrice, eppure – secondo me – nonostante tutto, leggo del femminismo: quella libertà di scelta rivela, in fondo, l’indipendenza di una donna di carattere, non solo l’assoggettamento all’uomo, ma la volontà di farsi oggetto e nel contempo soggetto del rapporto sia umano che sessuale.



Più che far scandalo, a differenza della protagonista, la storia prodotta anche da Depp e dai fratelli Dardenne intrattiene, anche piacevolmente, nonostante una serie di riferimenti alla condizione di subalternità e mercimonio delle donne dell’epoca. Spesso contro, in guerre crudeli quanto insensate, come quella nella quale le figlie del Re trascinano una giovane e ancora manipolabile Marie Antoinette, utilizzata come strumento contro la nemica, non a caso e insistentemente definita come “creatura” e mai considerata una pari, una donna, svilita e umiliata in ogni modo possibile. In generale, però, la ribellione che dovrebbe scuotere il pubblico è rappresentata in maniera piuttosto innocua, molto stilizzata come i bellissimi tableaux dell’inizio che fanno da sfondo alla voce del narratore e a tratti ricordano quadri dell’epoca. Anzi, l’inquadratura del lungo divano sotto una enorme arazzo mi ha dato l’idea di un omaggio a quella celebre di Barry Lindon di Kubrick. Non mancano momenti surreali e grotteschi, fuori dai severissimi protocolli a cui era sottoposto il Re o la minuziosa visita ginecologica a cui Jeanne si deve sottoporre per il primo e solenne incontro intimo. Ma tutto rivela la triste solitudine in cui il sovrano viveva, che difatti trova in quella donna, indipendente e a suo modo ribelle, una maniera per annullare la monotonia della sua vita.



Ascesa a caduta, si diceva, e il triste finale ce lo racconta la voce narrante: “Jeanne fu condannata per ciò che era stata agli occhi della Chiesa e della monarchia: l’incarnazione del peccato. Restò rinchiusa un anno in un convento, fino a quando Luigi XVI la liberò a patto che non si avvicinasse mai più a Versailles. Jeanne ritrovò il suo castello di Louveciennes dove visse 15 anni in serenità. Ma arrivò la rivoluzione che spazzò i privilegi del mondo antico e ridistribuì le carte. I nobili abbandonarono i loro futili dissapori e di fronte alle avversità Maria Antonietta offrì la sua amicizia a Jeanne. I tempi turbolenti costrinsero tutti a fare una scelta. Zamor [un bimbetto africano donatole dal Re e cresciuto affezionato e fedele sotto la protezione della donna] si avvicinò ai repubblicani e per paura o per dispetto fu proprio lui a denunciare la sua protettrice. A nulla valeva che fosse una figlia del popolo perché agli occhi dei cittadini aveva da tempo tradito le sue origini. Luigi XVI fu ghigliottinato il 21 gennaio 1793, Maria Antonietta il 16 ottobre e Jeanne l’8 dicembre. Sul patibolo avrebbe pronunciato le sue ultime parole: ‘Ancora un minuto, signor boia, ho troppo amato la vita per farmela portar via così!’ Per poi alzare gli occhi un’ultima volta verso il cielo.”



Figlia di un padre artista bretone di origine vietnamita e di madre attrice franco algerina, Maïwenn ha recitato o diretto spesso film sui sentimenti forti (ho apprezzato molto il suo DNA - Le radici dell’amore) e qui non si smentisce, sfoderando la sua bellezza irregolare e il suo fascino da donna che mescola tradizioni e provenienze etniche. Pur se criticata dagli esperti di professione, è innegabile che ha voluto fortemente un film su sua misura e mostrando coraggio scegliendo un attore in un momento di difficoltà. Johnny Depp si è dovuto adeguare anche se non era inizialmente disponibile per questo personaggio e che ha discusso più volte sul set la sua prestazione, accontentando alfine le richieste dell’autrice. Il risultato è un Re incipriato e immobile, prima perplesso poi divertito e adeguato al gioco a cui quella donna lo invita. Non è un film memorabile ma lo trovo piacevole e a tratti divertente, perfino interessante per coloro che non conoscono quello squarcio di Storia. Lei è bravissima e Depp si lascia imbrigliare, come attore e come personaggio. Ma chi colpisce enormemente è l’eccellente Benjamin Lavernhe, l’eterno e onnipresente factotum-segretario-maggiordomo Jean-Benjamin de La Borde, fedelissimo fino alla fine sia dell’uno che dell’altra, a cui si affeziona con tutto il cuore, sino alla commozione non trattenuta – pur nel suo frenatissimo ruolo – nel momento dell’addio. Immancabile la presenza di Melvil Poupaud, ormai forse il più presente attore francese degli ultimi mesi (vedi anche Un colpo di fortuna - Coup de Chance di Allen). Buone anche le scelte tra i numerosi attori di contorno, tutti interpreti francesi di primo livello. Ottimi i costumi, specialmente quelli scelti per la favorita in alcune scene.



Non è piaciuto a molti ma il film si fa vedere con piacere e il budget consistente ha permesso realismo dell’ambientazione e della location, essendo stato girato nell’autentica residenza della mitica Versailles. Qualche critica va però fatta per il tentativo di “autorialismo” che si manifesta in alcune riprese (la soggettiva nel corridoio, l’affannosa salita della lunga scalinata) ma ne va apprezzato almeno lo sforzo per arrivare ad un buon prodotto.



Riconoscimenti

2024 – Premio César

Candidatura per la migliore scenografia

Candidatura per i migliori costumi



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