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Kinds of Kindness (2024)

Kinds of Kindness

Irlanda/UK/USA/Grecia 2024 dramma grottesco 2h44’

 

Regia: Yorgos Lanthimos

Sceneggiatura: Efthymis Filippou, Yorgos Lanthimos

Fotografia: Robbie Ryan

Montaggio: Yorgos Mavropsaridis

Musiche: Jerskin Fendrix

Scenografia: Anthony Gasparro

Costumi: Jennifer Johnson

 

Emma Stone: Rita / Liz / Emily

Jesse Plemons: Robert / Daniel / Andrew

Willem Dafoe: Raymond / George / Omi

Hong Chau: Sarah / Sharon / Aka

Joe Alwyn: perito/ Jerry/ Joseph

Mamoudou Athie: Will/ Neil/ infermiere dell’obitorio

Margaret Qualley: Vivian/ Martha/ Ruth/ Rebecca

Hunter Schafer: Anna

Yorgos Stefanakos: R.M.F.

 

TRAMA: Le storie sono ambientate in una città senza nome e appaiono slegate tra di loro ad eccezione di un misterioso personaggio di nome R.M.F., che compare in tutte e tre e dà il titolo ai singoli episodi. Gli stessi attori interpretano personaggi differenti in ogni vicenda.

 

Voto 7



Esempio classico, starei per dire di scuola, di film che fa porre la domanda se vale la pena perdere quasi tre ore per vederlo oppure se è meglio occuparsi d’altro, tanto che può meritarsi, a seconda dei gusti o dello stato d’animo in cui ci si trova a guardarlo, un voto alto o pessimo. Tanto assurdo quanto crudele, grottesco e quasi macabro, ma che visto con lo spirito giusto può anche divertire, tanto è balzano, stravagante, sorprendente. Ne vale comunque la pena almeno per studiare il “caso Lanthimos”, per capire fin dove può spingere il regista con il suo cinema decisamente non solo originale ma tanto differente dal mainstream imperante, che bada al botteghino. Ciò si intuisce sin dalla conformazione della struttura, costituita da tre episodi slegati ma collegati dalla interpretazione degli stessi attori, con un unico personaggio – misterioso più degli altri – che compare sempre e ha un nome indecifrabile: R.M.F..



Dopo qualche film più logico e comprensibile, Yorgos Lanthimos si riaffida al suo sceneggiatore prediletto Efthymis Filippou sui cui soggetti aveva fabbricato Dogtooth, Alps, The Lobster, Il sacrificio del cervo sacro. Ma qui siamo oltre ogni tipo di fantasia, oltre, direi, di aspettativa. Quindi, lo si guarda e ci si può divertire, ammesso che si accetti il climax e le assurdità, oppure rigettarlo come un cibo indigesto. Io mi son divertito sorridendo amaramente, anche se mi son reso conto che se non lo avessi visto non mi sarei strappato i capelli. Però, a me, comunque serve almeno per seguire il percorso artistico di un cineasta che stimo molto.



Inutile spiegare dettagliatamente le trame dei tre episodi perché il bello è scoprirle senza avere la minima idea dell’assurdo, del tragico che raggiunge punte comiche e grottesche (volutamente, ovvio), degli aspetti degni solo di una commedia nerissima. Dico solo che è il trittico, composto da “fiabe” chiamate:

 

- La morte di R.M.F.

- R.M.F. vola

- R.M.F. mangia un sandwich



Che vedono la storia di un uomo senza scelta che cerca di riprendere il controllo della propria vita; quella di un poliziotto sconvolto perché la moglie, che era scomparsa in mare, è tornata e sembra essere diventata un’altra persona (con finale che lascia di stucco); quella di una donna determinata a scovare una persona molto particolare che abbia il potere e la capacità di compiere un atto riservato solo a lei, un prodigio.



Facile a questo punto dedurre che il famoso R.M.F. detta i titoli pur non risultando, alla fin fine, un personaggio determinante se non un provocatorio elemento che appare solo a momenti (cadavere nell’obitorio, pilota di elicottero), o magari proprio alla fine del terzo frammento, quindi dell’intero, lungo film (quando, magicamente redivivo, si siede a mangiare il sandwich per il quale si schizza di ketchup). In tutti e tre invece predominano i personaggi interpretati da Willem Dafoe, sempre alla guida di qualcosa, come sette o organizzazioni segrete o perlomeno riservatissime; Jesse Plemons che forse ha le funzioni più importanti da svolgere nelle tre trame (marito, compagno, affiliato ubbidiente del capo in testa Dafoe ma stufo di essere tale); ed infine Emma Stone, la vera mattatrice, come in Povere creature!, quindi alla terza esperienza con il regista greco, ormai divenuto il suo autore “sincronizzato”. E viceversa, va detto.



Se i Raymond / George / Omi di Willem Dafoe assumono le redini di riferente, organizzatore e padrone assoluto delle vite degli altri due in ogni step, i Robert / Daniel / Andrew di Jesse Plemons assumono ruoli variegati con trucco e parrucco differenti, ma sempre da trait d’union tra l’altro e la donna; infine, le Rita / Liz / Emily di Emma Stone diventano costantemente il perno centrale, nel senso che se anche le storie dipartono dagli ordini e dai desideri (sessuali e di altro tipo) del grande capo, lei è il braccio dell’azione, è la donna intorno alla quale tutto gira e dipende, perché se le riesce di portare a termine ciò che si prefigge, tutto viene risolto. È il fulcro femminile e non solo del film.



Ma, sia chiaro, sempre partendo da quello che i Raymond / George / Omi hanno in mente di far accadere, indicando così, nel contenuto intrinseco dell’intero film, i veri oggetti delle mire lanthimosiane: nella stranezza, crudezza, tragico senso del ridicolo, sottile e bizzarro umorismo dell’opera, ma anche paura e desiderio, libertà e sottomissione, ciò che emerge è amore, morte e potere, soprattutto potere. Principalmente da parte dei personaggi di Dafoe, ma pure da parte degli altri, allorquando cercano con ogni mezzo o di ribellarsi o di compiere l’azione impensabile per dimostrare di essere all’altezza dell’ordine avuto. Capaci di uccidere o di sfruttare un cadavere pro domo sua, con l’aiuto determinante di un altro attore dal triplice ruolo: Mamoudou Athie.



Non c’è spazio per la normalità, ammesso che sia un concetto definibile, non pare ci sia logica, se non quella della grottesca bizzarria della fantasia creativa del duo Lanthimos-Filippou, del divertito pungente abbandono della comfort zone, come e peggio delle volte precedenti, che paiono le prove generali o piccoli e innocenti esempi di quello che si doveva avvenire in questa occasione. “Tipi di gentilezza” (che titolo!) che vedono scorrazzare auto sgargianti di colore, potenza e stile (dalla Bmw blu roboante e sovrasterzante, alla Dodge Challenger viola, fino all’enorme limousine classicamente bianca) e di gente che beve Johnny Walker doppi con ghiaccio. Completa il trio una quarta attrice, Hong Chau nel triplo Sarah / Sharon / Aka, sorridente e ubbidiente. Tra i divi Dafoe e Stone, chi emerge per la varietà delle interpretazioni e per la personalità con cui si adopra, chi stupisce per i risultati è senz’altro Jesse Plemons, giovanotto che ancora non so dove possa arrivare. Partito in sordina con ruoli da caratterista, si sta guadagnando spazio con personaggi sempre più importanti. Da Il potere del cane in poi è stata un’ascesa continua e chissà dove arriverà.



Proprio come va detto per Yorgos Lanthimos, il cui film, ripeto, va visto giustappunto per seguirlo nel suo andare per la tangente come succede per questo classificabile nella serie “Ai confini della realtà”, perché qui si va fuori registro continuamente, in ogni scena. Non credo che ce ne sia una normale, assecondata anche dalla presenza da quell’attrice multitasking chiamata Margaret Qualley, presente oramai in non so quanti film contemporaneamente, qui addirittura in veste quadrupla perché si sobbarca anche il ruolo di due gemelle. Il sacrificio che compie una delle due è ai limiti del comprensibile, facendo felice però la sfacciata Emily, adepta come gli altri alla setta dell’acqua alle dipendenze del leader Omi (Dafoe, chi altro?). Felice perché, cacciata per inadempienze, riesce a trovare la donna che le serve. A cosa, lo scopra il lettore guardando il film. Paradossale ma in linea, la misurazione dei parametri fisici che la donna cercata da Emily deve avere: le distanze tra i due capezzoli e questi dall’ombelico. Quindi, come ribadito, si può ridere o restare inebetiti. Dipende.



Antagonismo, fedeltà assoluta, guerra dei sessi, sesso come godimento, potere, più tanto altro e quant’altro, con un fil rouge: i personaggi di Emma Stone attraversano gli episodi come un unico individuo, cangiando trucco e combinandosi anche brutta. Case lussuose, motivi architettonici decadenti, strade deserte in città stranianti, un barman che ricorda quello inquietante di Shining. Da osservare come un remake de I nuovi mostri, di italiana memoria. Sono buon motivi? Forse! Di contro il sospetto di un eccessivo autocompiacimento, di un avvitamento su se stesso da parte del regista, che comunque trova sempre capitali e produttori e gira a suo primario piacimento.



La regia, comunque, è impeccabile e ci mancherebbe: tutto si potrà dire del film ma che Lanthimos non sappia dirigere sarebbe una bestemmia. Il resto del cast tecnico è su misura, dalla fotografia densa alla scelta dei brani, perché iniziare sui titoli di testa con Sweet Dreams degli Eurythmics è un biglietto da visita invitante. Dolci sogni e tipi di gentilezza. Poi, il mondo si inasprisce e buonanotte.

Tre attori formidabili, perfettamente intonati alle note greche, innanzitutto perché Willem Dafoe è un attore per tutte le stagioni (leggi: autori, luoghi, ruoli, commedie, drammi, arcaici, moderni, cattivi e buoni, buoni come l’indimenticabile sergente Elias di Platoon), poi perché, come detto, Jesse Plemons è davvero bravo, e Emma Stone perché non sbaglia mai nulla, ma proprio mai.



Lo definisco un film materico, che enfatizza i corpi e la fisicità, la cui texture contribuisce ricchezza e dimensione all’effetto visivo a cui si assiste, che, forse in ultima analisi, è il gioco a cui ci invita il regista, il quale, come si può notare, si diverte a costruire questi paradossi, anzi me lo immagino ridacchiare seduto sulla poltroncina dopo il ciak osservando le sue marionette, da grande puparo quale è.

Volevo dare un 6, finendo di scriverne ho cambiato voto. A chi piace piacerà, a chi no no.

Chissà cosa avrà ancora in mente per il futuro questo monello di regista!



Riconoscimenti

Festival di Cannes 2024

Miglior attore Jesse Plemons

Film in concorso per la Palma d’Oro

Premio INOCA 2024 (Awards Watch, online)

Miglior cast

Altre 4 candidature a Monaco, Sydney, Miskolc (Ungheria), Bruxelles



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