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La conversazione (1974)


La conversazione

(The Conversation) USA 1974 dramma/thriller 1h53’


Regia: Francis Ford Coppola

Sceneggiatura: Francis Ford Coppola

Fotografia: Bill Butler, (Haskell Wexler)

Montaggio: Walter Murch, Richard Chew

Musiche: David Shire

Scenografia: Dean Tavoularis

Costumi: Aggie Guerard Rodgers


Gene Hackman: Harry Caul

John Cazale: Stan

Allen Garfield: Bernie Moran

Frederic Forrest: Mark

Cindy Williams: Ann

Michael Higgins: Paul

Elizabeth MacRae: Meredith

Teri Garr: Amy Fredericks

Harrison Ford: Martin Stett

Robert Duvall: il direttore


TRAMA: Un esperto di sorveglianza paranoico e riservato ha una crisi di coscienza quando sospetta che una coppia, su cui sta spiando, sarà uccisa.


Voto 8,5

Harry Caul è un devoto cattolico e un amante della musica jazz che suona il sassofono mentre ascolta i suoi dischi jazz. È un esperto di sorveglianza elettronica con sede a San Francisco che possiede e gestisce una piccola attività di investigazione. È rinomato nella professione come il migliore, colui che progetta e costruisce le proprie apparecchiature di sorveglianza. È un uomo estremamente riservato e solitario sia nella sua vita personale che professionale, il che infastidisce particolarmente Stan, il suo dipendente che spesso si sente escluso da ciò che accade nel suo lavoro. Questa privacy, che include non far entrare nessuno nel suo appartamento e telefonare sempre ai suoi clienti da telefoni pubblici, è, in parte, intesa a controllare ciò che accade intorno a lui. L'ultimo lavoro suo e di Stan è registrare la discussione privata di una giovane coppia che si incontra nell'affollata e rumorosa Union Square. L'accordo con il suo cliente, da lui conosciuto solo come il “direttore”, è di fornire direttamente a solo lui, dietro il pagamento di 15.000 dollari in contanti, la registrazione audio del colloquio e le fotografie della coppia. Sulla base delle circostanze con l'assistente del misterioso personaggio, Martin Stett, e di ciò che Harry sente alla fine nella registrazione, egli crede che le vite della giovane coppia siano in pericolo. Prima era distaccato dal compito e da ciò che registrava perché era un lavoro e basta, ora, invece, è preoccupato dalla sorte delle due persone spiate. A questo punto si accorge che non deve solo decidere se consegnare la registrazione al cosiddetto direttore, ma anche se cercherà di salvare la vita della coppia adultera utilizzando le informazioni accertate. Mentre va alla ricerca di cosa stia succedendo esattamente, si ritrova nel mezzo del suo peggior incubo. Personale ed intimo.

Con grande maestria, Francis Ford Coppola, girando il film a cavallo tra i primi due film del Padrino, ci immerge immediatamente con le prime sequenze nel meticoloso lavoro del protagonista e nella causa che ha spinto il committente. In un’atmosfera straniante e rarefatta, da una parte la piazza brulicante di gente che passeggia nell’intervallo prandiale, dove nel chiacchiericcio captato dai tre punti microfonati per registrare il colloquio, Ann (Cindy Williams) e Mark (Frederic Forrest), gli amanti, dialogano dei loro fatti e dei regali che si vorranno fare al prossimo Natale. Alcune frasi alludono addirittura sulla eventualità di eliminare fisicamente il marito di lei, il direttore, appunto; dall’altra il furgone parcheggiato che serve da base nell’operazione di spionaggio in cui rientra Harry Caul (Gene Hackman) - il titolare dell’impresa, sempre nel suo impermeabile di plastica grigioverde semitrasparente, che indossa continuamente, dappertutto - e il suo stretto collaboratore Stan (John Cazale), l’uno scontroso e taciturno, l’altro sempre con la battuta pronta, troppo vivace per il carattere del primo. Tanto da stizzirlo e indurlo a rimproverarlo di essere poco concentrato. L’esterno assolato e chiassoso, con tante persone - tra cui un mimo, famiglie, homeless che dormono sulle panchine - l’interno semibuio del mezzo, pieno di macchinari, macchine fotografiche, microfoni direzionali, registratori. Due mondi paralleli che sembrano, nonostante la prossimità, essere disposti lontani miglia e miglia. Perché Caul li sta spiando? Chi è l’oscuro signore che ha commissionato il lavoro e a quale scopo? Non ci si metterà molto ad intuirlo, perché ben presto l’investigatore si recherà, dopo aver fissato l’appuntamento da una cabina telefonica, negli uffici del committente per consegnare il materiale, dove però avrà uno scontro di non poco conto con il fidato collaboratore del “direttore” Martin Stett (Harrison Ford), il quale vorrebbe ritirare la busta. Ma non è a lui che Caul vuole dare il frutto del suo lavoro, vuol vederci chiaro, non si fida e ha paura delle conseguenze: o al capo o a nessuno. I sospetti che la faccenda scotti sono fondati, evidentemente, troppi misteri nella questione.

Questa idea se l’è fatta sincronizzando le tre registrazioni foniche della piazza dai tre microfoni, correggendo con grande abilità i rumori di fondo e ottenendo così una eccellente riproduzione dell’intera passeggiata colloquiale eseguita in tondo nella piazza, confermando tutte le peggiori ipotesi del marito tradito, che di conseguenza sta tramando per ucciderli nella stanza d’albergo in cui si sono dati appuntamento proprio in quella occasione. Caul effettua le sue operazioni tecniche e conserva un notevole quantitativo di apparecchiatura sofisticate (microfoni, microspie, sensori, registratori, amplificatori, casse acustiche) in una sorta di grande loft poco arredato e poco accogliente, in cui però riesce a gestire tutti i suoi affari e dove, ancora una volta, litiga con il suo compare di lavoro Stan che parla troppo per i suoi gusti e fa troppe domande: la sua privacy è un senso estremo del suo intimo e dei suoi progetti professionali e si adopera affinché tali restino. Chi insiste oltre il limite che lui accetta (cioè, bassissimo) non è ben gradito. Anche se ciò avviene raramente, per il semplice fatto che è single, vive da solo in un appartamento e frequenta occasionalmente una donna che proverebbe anche affetto per lui ma pure lei incappa in qualche domanda di troppo e lui reagisce sempre malamente. È così diffidente che non si fida neanche di lei, donna che intuisce che lui ha dei segreti che non vuole condividere con nessuno, ma Harry, imperterrito, non degna di aprirsi e confidarsi: “Non mi piace che mi si facciano tante domande!”.

La sua vita riservata viene mostrata in pochi secondi allorquando rientra nel suo appartamento, dopo che ha lasciato la piazza: incontra sulle scale una inquilina che gli fa gli auguri di compleanno (ma come fa a sapere della data di nascita? che noia!), apre la porta che ha ben tre serrature (!) ma trova una sorpresa nel corridoio d’entrata. Doppia: una bottiglia di vino come regalo di compleanno (e rieccoci, come fanno a saperlo?) e come intrusione. Come hanno fatto ad entrare se le uniche chiavi delle tre serrature ce le ha solo lui? Dopo aver telefonato alla mittente del regalo, la signora Evangelista, che pare abbia incredibilmente una copia delle chiavi, si dedica al suo unico e assoluto relax che si sappia concedere: il sassofono, che suona accompagnando i dischi di jazz dei più noti musicisti del genere. Ha un telefono chiuso in un cassetto ma ufficialmente non ha apparecchi in casa per non essere disturbato, tanto che, come visto, chiama solo da cabine pubbliche e nega di aver un numero domestico.

L’idea che delle persone possano rimanere uccise a causa del frutto della sua professione non lo lascia tranquillo. È già troppo scrupoloso e ossessivo nel suo lavoro ma l’impressione delle conseguenze lo stanno rendendo paranoico. La causa di tutto è chiaramente qualcosa conservato nel profondo dell’animo, che non lo lascia in pace, che lo condiziona e lo fa diventare maniaco della sicurezza. Un trauma infantile e non solo: anni prima qualcuno è morto a causa sua, una missione che ha avuto conseguenze disastrose, che non dimentica mai e che gli ha segnato la vita. Uno shock da bambino e una morte come effetto di una indagine. “Se c’è una cosa che ho imparato facendo questo lavoro è che non conosco la natura umana. Non conosco la curiosità. Non fa parte del mio lavoro. Questo è il mio mestiere…” Nelle spiegazioni date al suo braccio destro racchiudono l’essenza della sua mentalità ed esistenza: riservatezza totale sua e dei clienti. Non vede e non sente nulla, al di fuori di ciò che serve per consegnare il lavoro. Ma stavolta si sente implicato intuendo il pericolo che corre il “direttore” o i due amanti nell’appuntamento nell’hotel: stanza 773, alle ore 15 di domenica.

In realtà, il vero rivale del protagonista non è, come ci si potrebbe attendere il misterioso direttore (Robert Duvall, praticamente un cameo) ma il suo braccio destro, il grintoso e coriaceo Stett, che lo previene, gli filtra gli appuntamenti, tenta di ritirare la busta delle prove, lo ostacola per non farlo andare vicino e a contatto con il suo capo e tra lui e Caul nasce un pessimo rapporto caratterizzato da diverbi persino violenti, divenendo l’ostacolo più ostico per l’investigatore. Non è suo amico, né fa parte della folta schiera dei suoi concorrenti sempre alla ricerca di emergere e superarlo in perfezione, non è un punto d’appoggio. È, in pratica, un avversario da abbattere per superare la barriera che costituisce tra sé e colui che vuole incontrare. La sua debolezza, mascherata dalla sua sicumera, si manifesta interamente quando subisce l’onta del furto dei reperti audio non ancora consegnati, con una destrezza davvero sorprendente, gabbato in una notte di festeggiamenti nel laboratorio. Poi, una telefonata a casa (come fanno ad aver avuto il numero?) lo minaccia di essere controllato. Da quel momento l’ossessione diviene paranoia patologica. Vederlo smontare la casa da cima a fondo alla ricerca di cimici è la sconfitta più amara della sua esistenza. La sua personale battaglia per difendere la sua intimità e i propri segreti, in continua lotta con l’umanità che lo circonda – donne, colleghi, collaboratori, tranne forse il prete a cui va a confessare i peccati, quasi tutti, insomma – è però nulla in confronto a quella che combatte quotidianamente con il suo passato e con i suoi traumi. I veri nemici che si porta dentro.

Francis Ford Coppola è in gran spolvero nel suo periodo migliore di autore, producendo un’opera tanto maestosa quanto dimenticata e sottovalutata, tutta lavorata ed elaborata sulla psiche umana e sui rapporti sociali malati, con al centro uno dei più anomali investigatori della storia del cinema. È una versione malinconica e depressiva della figura del detective privato frequentemente descritto da altri registi, anche perché, e soprattutto, personaggio completamente alienato e lontano dal disegno classico e contemporaneamente rinnovato tramite la tecnologia aggiornata come se fosse un prolungamento dello scandalo Watergate, che è quasi coevo. Un film dove si respira l’anaffettività, la colpa pregressa, la clausura, di un suono che naviga tra il jazz e una musica d’ambiente che non promette nulla di buono, rumori ambientali e specialmente mentali, disturbi ossessivi. Perché in realtà, questo è un incubo. Un incubo privatissimo, personalissimo, che gli altri non vedono. Ero indeciso se schedarlo come thriller drammatico (perché di “giallo” psicologico si tratta) ma andava a finire che si poteva considerare più un thriller che altro, ed invece è un profondo dramma che si tinge, dove la cimice cercata non c’è, puoi anche smantellare tutto il parquet, ma non c’è. Misura la sua esistenza come ha fatto con gli altri, ma da lui, chi lo paga vuole solo risultati e il viceversa non esiste, è una sua immaginazione. Perché l’ossessione non è degli altri, è solo dentro di lui e Coppola, con un film di enorme potenziale psicologico, lo racconta con una macchina da presa paziente che scruta il comportamento compulsivo di un uomo che, al contrario di Ulisse, non sa navigare e non ha un porto sicuro dove approdare.

Per ottenere tale risultato, il regista si è servito, prima di tutto, di uno dei migliori attori in circolazione di quel periodo, un Gene Hackman più che esemplare, diciamo straordinario, impressionante, contenuto e nel contempo ampiamente riproduttivo delle più intime convinzioni. Un attore di solito eccellente che qui sfodera il meglio delle sue aspettative. Grandissimo! Poi Coppola chiama a sé gente collaudata in precedenza ed in seguito: il John Cazale più pimpante mai visto, giovane e con i capelli, in piena forma, poverino; Frederic Forrest, Harrison Ford, che lo seguiranno in Apocalypse Now; il fidatissimo Robert Duvall pur se inquadrato pochissimo. Ma questo è un film interamente di Hackman e del regista e se è un film grandioso il merito è tutto loro.

Film bellissimo. Come il sassofono. Unica consolazione. Unico rifugio della mente.

Riconoscimenti

1975 - Premio Oscar

Candidatura miglior film

Candidatura migliore sceneggiatura originale

Candidatura miglior sonoro

1975 - Golden Globe

Candidatura miglior film drammatico

Candidatura migliore regia

Candidatura miglior attore in un film drammatico a Gene Hackman

Candidatura migliore sceneggiatura

1975 - Premio BAFTA

Miglior montaggio

Miglior sonoro

1974 - Festival di Cannes

Palma d'oro a Francis Ford Coppola

Premio della giuria ecumenica - Menzione Speciale


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