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La donna alla finestra (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 16 mag 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

La donna alla finestra

(The Woman in the Window) USA 2021 thriller 1h40’


Regia: Joe Wright

Soggetto: A.J. Finn (romanzo)

Sceneggiatura: Tracy Letts

Fotografia: Bruno Delbonnel

Montaggio: Valerio Bonelli

Musiche: Danny Elfman

Scenografia: Kevin Thompson

Costumi: Albert Wolsky


Amy Adams: Anna Fox

Gary Oldman: Alistair Russell

Anthony Mackie: Ed Fox

Fred Hechinger: Ethan Russell

Wyatt Russell: David

Brian Tyree Henry: Detective Little

Jennifer Jason Leigh: Jane Russell

Julianne Moore: Katie / "Jane Russell"

Liza Colón-Zayas: Bina

Tracy Letts: terapista


TRAMA: Agorafobica, Anna Fox vive da sola in un appartamento di New York. Per ingannare il tempo, inizia a spiare dalla finestra i suoi nuovi vicini divenendo in tal modo testimone di un disturbante atto di violenza.


Voto 6,5

C’è chi ha parlato e scritto di omaggio o citazioni del cinema di Hitchcock, di riferimenti chiari, ma secondo me non è sufficiente, siamo decisamente oltre. Oltre ad analogie dell’aspetto psicologico (qui si sfiora addirittura la psichiatria) di Vertigo, alcune sequenze della protagonista Anna posizionata dietro la finestra ad osservare quello che succede nell’appartamento di fronte, nella casa dei nuovi arrivati Russell, sembrano ricalcare in parallelo La finestra sul cortile di sir Alfred. Poche le differenze, forse riassumibili solo dal particolare della donna che resta all’interno della sua buia stanza e non sul terrazzo all’esterno, ma per il resto le analogie sono evidenti. In quel misterioso appartamento posto di fronte si vedono chiaramente scene di violenza familiare, la protagonista deve spesso ritrarsi perché si accorge di essere stata notata, utilizza, per poter osservare meglio, una macchina fotografica con teleobiettivo per ingrandire la visione, scatta alcune foto quando si rende conto che altrimenti non potrà mai dimostrare che i suoi sospetti sono attendibili (ricordiamo bene il Jeff di James Stewart con l’apparecchio fotografico). Le crederebbero mai se la polizia scoprisse che è sotto cura di psicofarmaci e che deve sottoporsi a frequenti sedute con il terapista per poter vincere le sue paure, metabolizzare i tragici fatti del suo passato, imparare a superare la sua grave forma di agorafobia?


La finestra sul cortile

Anna Fox vive costantemente barricata in una casa scarsamente illuminata da cui non esce per alcun motivo, sola e con l’unica compagnia di un gatto, riempiendo lo stomaco di medicine assunte con calici e calici di vino rosso. Ha un coinquilino che vive nel seminterrato, con cui ha un rapporto altalenante, anche perché David è un sedicente cantautore dal passato e presente pieno di nebbie, persona a cui ricorre sporadicamente e talvolta non senza qualche diverbio. Cosa le è successo di così tanto grave lo si scopre solo nel burrascoso e tragico finale, che apre squarci di violenza e di chiarimento, e che spiega finalmente i motivi per cui quella bella donna si sia lasciata andare del tutto e che vive costantemente vestita con una camicia da notte e una vestaglia, trasandata e struccata. Quale è il pesante trauma che l’ha così condizionata e ridotta ad essere agorafobica e misantropa?

Quando è giunta nel palazzo di fronte, nella elegante via di Manhattan, la nuova famiglia, Anna si è incuriosita ma anche subito spaventata e messa in all’erta perché Ethan, il giovanotto figlio della coppia Russell, le bussa alla porta per portarle un regalo sorprendendo non poco: notoriamente sono le famiglie residenti che danno il benvenuto ai nuovi arrivati, non il contrario. Lei percepisce l’anomalia ma, essendo stata – quando in attività – una psicologa infantile, percepisce l’instabilità emotiva del ragazzo e, vincendo le sue paure e superando le difficoltà che la affliggono, si mostra accogliente e aperta alla nuova amicizia. Ethan è alquanto reticente e ciò le risveglia la sua esperienza professionale, stimolandolo a confidarsi. Si crea in tal modo una atmosfera di misteri e di suspense, tipici del thriller e del noir, proprio come i film in bianco e nero dell’epoca d’oro hollywoodiana che lei ama vedere di continuo come unico hobby della sua vita perennemente domestica, mentre continua a sorbire l’amato vino che la stordisce mentre il lettore dei DVD continua a funzionare. Film noir di grandi autori che diventano un ulteriore punto di riferimento del film a cui invece assistiamo. L’altalena della stabilità psicologica di Anna subirà maggiori e gravi scosse quando si accorgerà che le violenze a cui ha assistito dietro la finestra saranno smentite dalla famiglia interessata e soprattutto dal detective della polizia a cui si è rivolta. Capisce che deve restare più lucida, che deve assumere meno farmaci e bere di meno, creare delle prove: la donna che si è presentata in casa, in visita di cortesia, è davvero Jane Russell, la moglie dell’inquilino di fronte? Perché le viene presentata un’altra moglie? Perché ogni prova è contro le sue convinzioni, derivate dall’osservazione dei giorni precedenti? Il mistero è fitto e minaccioso e solo nel finale si chiarirà la reale situazione, quando finalmente lo spettatore scoprirà anche la causa che ha indotto la donna a quella vita racchiusa nelle stanze semibuie.

Il metodo di narrazione che sceglie Joe Wright, coadiuvato dalla scrittura di Tracy Letts (che interpreta lo psichiatra che ha in cura Anna) adattando il romanzo omonimo di A.J. Finn, è quello del punto di vista soggettivo. Il che rende ancora più emotivo quello che è sullo schermo: ciò che noi vediamo è quello che lei vede, le sue paure, i suoi sussulti, sono quelli che ci trasmette, quello che lei osserva è tutto ciò che ci è consentito vivere, i rumori che sente in casa li avvertiamo anche noi. Senza cambio di rotta lo spettatore sa solo quello di cui lei viene a conoscenza, il resto è fuori, oltre, aldilà. Diventa così un film sulla prospettiva, sulle sensazioni, con l’evidente e conseguente mancata coincidenza tra questa prospettiva e la realtà, che al termine scopriremo a volte coincidente, altre per nulla. Ciò che sembra vero ad Anna, e quindi a noi, non è sempre attendibile, ma forse nell’essenza sì. Joe Wright dopo opere di stampo classico e barocco, dopo il thriller d’azione di Hanna, dopo il successo de L’ora più buia (recensione), si libera dai costumi e dall’eleganza letteraria per un film anche questo di stile classico ma nero come il buio e la paura, come la memoria che non vuole ricordare e quindi archiviare, un film che inchioda alla poltrona sin dalla prima inquadratura. Più che un omaggio ad Alfred Hitchcock è l’assimilazione della sua lezione, è la prova provata che anche in una delle tante trame con cui si imbastiscono thriller di media e alta qualità i suoi insegnamenti sono sempre validi. Tranne che per un particolare che qui non è secondario: con il maestro non si vede mai il colore rosso del sangue, al massimo il colore (vedi Marnie [recensione]). Nel furioso corpo a corpo finale il liquido rosso scorre abbondante anche nell’acqua piovana oltre che sul pavimento asciutto. Altro schema classico le vedute della tromba delle scale della casa: da sopra da sotto, preannunciando chissà quali scenari.

Buon film, indubbiamente, sostenuto da un cast di prim’ordine. La primadonna è una sorprendente Amy Adams, che deve rinunciare alla sua solita e solida bellezza: senza trucco – o perlomeno solo quello di scena per essere mostrata trascurata e pallida – e con la potenza dei suoi occhi più cerulei del solito, a tratti di un grigio nebuloso, è superlativa ed è in scena per tutta la durata; Gary Oldman, appena reduce dal premiato film precedente di Wright, abbaia come un cane rabbioso, mostrando la cattiveria che non gli si vedeva dai tempi di Léon; Julianne Moore, bella e ridanciana come solo le persone che hanno qualcosa da nascondere fanno; Jennifer Jason Leigh, in un ruolo piccolo ma ovviamente dal ghigno ambiguo; Anthony Mackie, a cui il regista regala giusto un cameo; ed infine Fred Hechinger, già visto in Notizie dal mondo (recensione), un giovane che fisicamente è predisposto per ogni tipo di personaggio di cui è meglio non fidarsi. Chiude Tracy Letts in brevi apparizioni ma che è lo sceneggiatore, opera in cui devo solo muovere qualche critica, perché non è sempre spiegabile dalla logica alcuni avvenimenti (perché Ethan si presenta proprio nella casa di Anna? Perché va a farle visita anche Katie Russell?).


Nel finale usciamo nella bella strada newyorkese di Manhattan anche noi, rimasti chiusi prigionieri di Anna Fox, che finalmente si veste come una star ed esce sui suoi tacco 12, alla luce del sole.



 
 
 

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