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La donna dello scrittore (2018)

Aggiornamento: 24 feb 2021


La donna dello scrittore

(Transit) Germania/Francia 2018 dramma 1h41’

Regia: Christian Petzold

Soggetto: Anna Seghers (romanzo)

Sceneggiatura: Christian Petzold

Fotografia: Hans Fromm

Montaggio: Bettina Böhler

Musiche: Stefan Will

Scenografia: Klaus-Dieter Gruber

Costumi: Katharina Ost

Franz Rogowski: Georg

Paula Beer: Marie

Godehard Giese: Richard

Lilien Batman: Driss

Maryam Zaree: Melissa

TRAMA: Le truppe tedesche avanzano verso Parigi. Georg, rifugiato tedesco, scappa via e raggiunge Marsiglia, portando con sé i documenti dello scrittore Weidel, suicidatosi qualche tempo prima: lettere manoscritte e un visto per il Messico. Poiché a Marsiglia possono rimanere solo coloro che sono in transito, Georg decide di spacciarsi per Weidel. Ha in mente di iniziare una nuova vita altrove ma tutto per lui cambia il giorno in cui incontra la misteriosa Marie e se ne innamora. Nel frattempo, lei continua a cercare il marito.

Voto 7



Christian Petzold guarda la Storia per parlarci dell’oggi, che, sappiamo bene, si ripete ciclicamente con le guerre, le invasioni, la selezione razziale. Eppure, come sempre nelle sue storie, si parla d’amore, di sentimenti, di incontri tra un uomo e una donna. E non lo nasconde, anzi egli esalta questo aspetto, convinto che “le storie d’amore sono la base del cinema: perfino quando non c’è una love story, ogni film è sull’amore.”


Questa volta l’occasione gliela dà Anna Seghers, una scrittrice tedesca nota per aver raffigurato l'esperienza morale della seconda guerra mondiale, che scriveva questo romanzo nel 1944 per raccontare le vicissitudini di un profugo senza nome scappato da un campo di concentramento nazista che vaga per le strade di Marsiglia alla ricerca di un modo per sopravvivere o una terra in cui rifugiarsi e vivere in pace. Partendo da questa ossatura e utilizzando il parallelismo con i nostri giorni, in cui disperati esuli (economici o di guerra) cercano un posto nel mondo libero, il regista racconta la storia di un grande amore impossibile, perennemente in bilico tra la fuga, l’esilio e il desiderio di raggiungere un luogo che si possa chiamare casa. E questa insofferenza viene portata con tanta efficacia sullo schermo con il viso disomogeneo e sofferto del bravo Franz Rogowski.


Ambientato quindi ai nostri tempi, il film mostra come i tedeschi siano alle porte di Parigi e tra una retata e l’altra degli invasori, Georg, rifugiato tedesco in Francia, entra in possesso dei documenti di uno scrittore suicida, Weidel, come lui resistente. Tra questi documenti, che diventano quindi importanti per il piano che si sviluppa in mente, ha per le mani le lettere della moglie, un manoscritto e la promessa di un visto dell’ambasciata messicana: un’occasione possibile e fortunosa da sfruttare assolutamente, per uno come lui, che altrimenti vedrebbe scarse probabilità di cavarsela nel bailamme che si è creato in quel posto. Il film dà una continua sensazione di instabilità, fisica ed emotiva, è un refrain che si ripete con la scena del bar in cui, come un déjà-vu, un sogno ripetitivo, che noi osserviamo con stupore nel ripetersi meccanico, davanti all’ennesima pizza e tanto alcol. Il nostro protagonista Georg vede di continuo la moglie dello scrittore che, ignara della sua morte, cerca disperatamente tutti i giorni il marito: entra nel locale e, come una persona mentalmente assente che non vede nessuno, attraversa velocemente le stanze agognando di vedere il viso dell’uomo, e altrettanto velocemente ne esce senza mai accorgersi di come Georg l’abbia osservata attentamente. Non esiste nessun’altro per Marie, nonostante lo sguardo intenso di quest’ultimo.



In quei giorni, in quel luogo e in quel contesto molta gente non è molto occupata, se non cercare un’ancora di salvezza e i due sono preoccupati solo di raggiungere il loro scopo. Riescono comunque a entrare in contatto, in un rapporto che si rivela ben presto non semplice. Se Franz Rogowski si rivela perfetto per il suo personaggio, la conferma arriva dalla bella Paula Beer, attrice con un passato da ballerina, dal viso a volte enigmatico [come non ricordarla per Frantz di Ozon? (vedi recensione)], che sembra creata apposta per il cinema di Petzold, tanto che il regista l’ha recentemente richiamata per il premiato Undine – Un amore per sempre, quasi come un nuovo sodalizio artistico.


Christian Petzold a proposito di questo film dice: “Il campo profughi di Calais era appena stato smantellato quando abbiamo cominciato le riprese. Le persone ci chiedevano di andar a riprendere tutto, i migranti africani, i barconi, i corpi nel mare di Lampedusa. Ma non puoi farlo. Non puoi filmare i migranti africani. Non ho il diritto di farlo. Non è un film storico. Sebbene l'azione si svolga negli anni Quaranta, ho scelto di ambientarlo nella moderna Marsiglia. Non ho voluto ricostruire il passato e la ragione è semplice: il mondo di oggi è pieno di rifugiati. Viviamo in un'Europa di 'rinazionalizzazione' e non ho voluto nascondermi dietro alla faccia del film storico.



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