La figlia oscura (2021)
- michemar
- 10 ott 2022
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 27 nov 2023

La figlia oscura
(The Lost Daughter) USA/UK/Israele/Grecia 2021 dramma 2h1’
Regia: Maggie Gyllenhaal
Soggetto: Elena Ferrante (romanzo)
Sceneggiatura: Maggie Gyllenhaal
Fotografia: Hélène Louvart
Montaggio: Affonso Gonçalves
Musiche: Dickon Hinchliffe
Scenografia: Inbal Weinberg
Costumi: Edward K. Gibbon
Olivia Colman: Leda Caruso
Jessie Buckley: Leda da giovane
Dakota Johnson: Nina
Peter Sarsgaard: prof. Hardy
Oliver Jackson-Cohen: Toni
Paul Mescal: Will
Ed Harris: Lyle
Dagmara Domińczyk: Callie
Alba Rohrwacher: signora Hiker
Nikos Poursanidis: signor Hiker
Jack Farthing: Joe
Alexandros Mylonas: prof. Cole
TRAMA: Durante una vacanza al mare da sola, Leda, donna di mezza età, rimane incuriosita e affascinata da una giovane madre e dalla sua figlioletta mentre le osserva sulla spiaggia. Turbata dal loro irresistibile rapporto (e dalla loro chiassosa e minacciosa famiglia allargata), è sopraffatta dai suoi stessi ricordi personali, dai sentimenti di terrore, confusione e intensità provati nelle prime fasi della propria maternità. Un suo gesto impulsivo la proietta nello strano e sinistro mondo della memoria nella sua stessa mente, dove è costretta ad affrontare le scelte non convenzionali che ha compiuto quando era una giovane madre.
Voto 7,5

Leda (Olivia Colman) è una donna di 48 anni che vive il presente come se la sua vita di professoressa di letteratura comparata, con un passato da affermata traduttrice di libri di scrittori importanti, fosse diventata più leggera, più facile. Decide di fare una vacanza al mare da sola, come lo è ormai da tanti anni, in una piccola cittadina costiera della Grecia non molto lontano da Corinto. L’illusione di calma e tranquillità non dura molto, quando poco dopo le cose prendono una svolta. Sulla spiaggia arriva una famiglia che ha una villa rosa poco distante, la cui presenza chiassosa, prepotente e invadente, poco rispettosa degli altri villeggianti, si rivela anche e soprattutto inquietante, forse persino minacciosa. Almeno con l’atteggiamento intimidatorio dei maschi e della signora più matura che però un giorno, per ammorbidire la loro sfacciataggine, la avvicina con gesti apparentemente gentili e ospitali, ma sempre con uno sguardo che non tranquillizza. Quando poi a questa gente si verifica prima un episodio preoccupante – rimediato dalla sua esperienza di madre – e subito dopo un altro piccolo evento insignificante ma importante per una bimba della compagnia, Leda è sopraffatta dai ricordi delle scelte ribelli e difficilmente spiegabili che ha fatto come madre delle sue due figlie e dalle conseguenze per se stessa e per la famiglia che aveva un tempo. La permanenza, che doveva essere la cronaca di una rilassante e tonificante, serena vacanza al sole della Grecia, diventa presto e inaspettatamente la storia di un feroce confronto con un passato instabile, che è sempre presente nella mente anche se sepolto e mai rimosso. Che Leda vuole resti sepolto ma che invece si riaffaccia doloroso.

L’elemento scatenante, quando la vacanza sembrava iniziata felicemente con l’accoglienza dell’affabile e disponibile Lyle (Ed Harris), l’uomo che si occupa del ricevimento dei turisti nelle case del borgo marino, è un incontro come tanti, come quelli che normalmente avvengono nei luoghi di villeggiatura: Leda resta incuriosita e affascinata da una giovane madre e dalla sua figlioletta mentre le osserva sulla spiaggia, facenti parte di quella turbolenta famiglia giunta a guastare la tranquillità che cercava. Attratta e turbata dal loro rapporto - fatto di affetto e respingimento da parte della giovane madre Nina (Dakota Johnson), che non cela la sua stanchezza mentale causata dalla irrequietezza della piccola - rivede se stessa, rivive le sue sensazioni di madre affettuosa ma anche di donna che voleva distaccarsi del morboso legame che le bimbe, in maniera del tutto naturale, provavano per la genitrice. Amava il marito (a prescindere dai flashbacks, non lo si rivede più e neanche se ne parla più, un mistero, sicuramente separato) e amava le figlie ma in lei non si spegneva mai la fiamma dell’indipendenza, spinta anche (soprattutto?) dalla sua professione di traduttrice a cui si dava totalmente e che le assorbiva tutto il tempo. Appagata dalle soddisfazioni dei meriti raggiunti e riconosciuti nei meeting tra i professori e gli addetti al settore letterario ed editoriale, si era allontanata dagli impegni familiari, accettando anche facilmente gli incontri con chi la elogiava pubblicamente (tradimenti mostrati dalla regista come sogni, come voglie, eppure certamente avvenuti), tradendo un marito che non la soddisfaceva del tutto anche da punto di vista sessuale, tanto da lasciarsi andare a riti autoerotici con le bimbe nella stanza accanto.

Amore e ripudio verso le piccole Bianca e Martha: è il suo cruccio, pur consapevole che quell’amore è irripetibile, è unico, è totalmente radicato nella natura umana, che solo una donna può provare e capire. È l’amore che tiene viva l’umanità. I padri possono amare fino a donare la vita per un figlio, ma non può mai raggiungere lo sguardo di una madre. Leda lo sa benissimo e soffre per aver mancato l’appuntamento con un sentimento così unico: vuole bene alle figlie, ma ancora oggi le chiama raramente, sa di trascurarle, è conscia di non essere stata la madre che avrebbe voluto essere. È per questo che dagli occhi scendono lacrime liquidissime alle scene dello scarso affetto che Nina riversa sulla sua piccola, che piange disperatamente perché ha perso la bambola a cui non rinuncerebbe per nulla al mondo. E lei sa. Lei sa dov’è la bambola. E non lo confessa. Leda, da madre ora matura, non avrebbe mai pensato di simpatizzare verso quella giovane mamma: la figlia persa, e quindi oscura, sono di più le sue trascurate Bianca e Martha oppure è questa Nina che le sorride con sincerità, che trova una sponda ed un appoggio su di lei come non fa invece con la famiglia? E che sta diventando per la signora quasi un’ossessione, rappresentando il luogo umano dove scontare le sue manchevolezze? Non sono le pigne dei pini che fanno male quando cadono sulla spalla, ma i ricordi che restano piaghe nella mente.

L’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal è scomodo, e non perché sbaglia qualcosa, semplicemente a causa di un soggetto non facile da portare sullo schermo, data la complessità dei sentimenti che passano nel cuore e nell’anima della protagonista e non solo. Certamente è più facile scrivere pagine e pagine come ha fatto la straordinaria Elena Ferrante nel suo romanzo omonimo, dove ci si può anche prolungare per poter descrivere tutto ciò, anche gli aspetti più nascosti. Scomodo anche per la scelta della brava attrice e ora regista, qui autrice a tutto tondo avendo scritto da sola anche la sceneggiatura, molto curata, che quindi rivela quanto stretto le stesse il compito di semplice interprete. Per realizzare il film ha scelto un adattamento che potrebbe anche far storcere il naso ai puristi, trasportando gli eventi dal sud dell’Italia (più precisamente dai luoghi ionici) alla terra ellenica (ma questo influisce poco) ma soprattutto modellando il racconto dalla gente tipicamente mediterranea a quella americana. Dalla Campania al Massachusetts il tragitto non è breve, come quello che intercorre dalle chiassose famiglie napoletane ad una professoressa che vive vicino a Boston. Eppure, l’operazione riesce, conferendo al personaggio principale una complessità caratteriale ed emotiva difficilissima da far esprimere. Merito della buonissima sceneggiatura, delle inquadrature dedicate al fisico non giovanile e appesantito di Olivia Colman, che ha, da parte sua, la dote dell’altra metà dei pregi del film: una interpretazione eccezionale, piena di umori e sensazioni che lei trasla con la solita bravura che tutti le riconosciamo. Un’attrice ormai così professionalmente matura che è capace di affrontare non solo qualsiasi ruolo ma anche differenti registri nell’ambito dello stesso film: ride simpaticamente, piange calde lacrime, guarda lontano anche al di là degli scogli e si guarda dentro all’anima, cambia cento volte le espressioni, seminando, dove serve, dubbi all’interlocutore del film e allo spettatore ammirato.

Maggie Gyllenhaal è stata coraggiosa a scegliere questo romanzo per esordire alla regia, sintomo di una convinzione e di una presa di coscienza delle sue preferenze, quasi un azzardo, con un racconto della scrittrice napoletana così incline a perlustrare la criticità del guardarsi dentro. Un racconto che è una sorta di autoanalisi che, dormiente da anni, esplode una volta stimolata e diventa feroce con il tempo, una ferita mai rimarginata. Leda è stata una mamma snaturata, per paura davanti al compito che affrontava e per l’egoismo che si era impossessata di lei, rapita non dalla maternità ma dalla appassionata professione. Le due facce, quella da matura che conduce la trama e quella giovane insoddisfatta di sé e della vita presente e futura, sono tanto lontane quanto sovrapponibili, ed entrambe recitate con enorme talento, perché sia Olivia Colman che Jessie Buckley sono superlative. Anzi, è l’ennesimo ruolo complesso e complicato che quest’ultima affronta con l’arma vincente della sua bravura: tra i ilm che la vedevano più o meno comprimaria, ha dato dimostrazione delle sue capacità in A proposito di Rose (2018), dove cantava anche molto bene, e Sto pensando di finirla qui (2020) la cui regia di Charlie Kaufman indica subito le caratteristiche di un film non facile da interpretare, riuscendoci alla grande. Nulla da eccepire per la bella Dakota Johnson (Nina) che sa dare il giusto tono di donna dallo sguardo sorridente ma triste, che si aggrappa a quella donna sconosciuta che le spalanca senza remore le porte della casa affittata, ma anche incuriosita da tale atteggiamento di apertura, sicuramente mossa da mancanze che lei non può conoscere.

Maggie Gyllenhaal estrapola tutto quello che bisognava tirare fuori dal romanzo e dai personaggi, seguendo la protagonista giovane e adulta con una macchina da presa nervosa e vicinissima, “traducendo” la personalità e le intime problematiche, proprio come sa fare Leda, elogiata per come sapeva estrarre dalle frasi in originale la versione inglese che meglio rendeva il contenuto dello scrittore di turno. La regista: “Ho letto la tetralogia de ‘L’amica geniale’ appena è stata tradotta in inglese e ha avuto un impatto molto forte su di me. Quando poi ho cominciato a leggere ‘La figlia oscura’ mi sono ritrovata a pensare, a proposito della protagonista Leda, -Oddio, questa donna è davvero un disastro-; ma poi, poche righe dopo, pensavo: -Oh oh, in realtà forse è uguale a me?-. Sono passata dal giudicare quel personaggio al criticare me stessa e infine a sentirmi piuttosto sicura che, in realtà, tutte prima o poi ci sentiamo così, anche se non ne parliamo. L’esperienza della maternità, la fantasia di essere ‘la madre perfetta’, che finisce per essere una delle cose che ci opprimono... La nascita di un figlio, che è una gioia ma, come tutte le cose che fanno crescere, è anche molto dolorosa. Mi sono chiesta cosa sarebbe successo se, invece di restarmene da sola a leggere le parole della Ferrante, avessi creato una situazione in cui molte altre persone potessero condividerle.”” Quando ho chiesto i diritti del film alla Ferrante, anticipando che forse lo avrei diretto io, lei mi ha risposto -Devi dirigerlo tu. Se non lo fai tu questo contratto non è valido-. È stato un voto di fiducia da qualcuno che ammiro tantissimo. Lei ha una rubrica sul Guardian, e un giorno da quella pagina si è rivolta a me, dicendo che l’unico modo in cui il film poteva avere successo era se l’avessi fatto diventare mio: voleva darmi la libertà di esprimere me stessa attraverso il suo lavoro. Così ho smesso di tenere il libro sempre al mio fianco e ho lasciato che il film prendesse vita. Ferrante ha letto il copione e mi ha lasciato note molto sagge, una di queste diceva: -Leda non può essere pazza-. E sono totalmente d’accordo: se Leda è pazza, non puoi fare altro che giudicarla, e non ti prendi la responsabilità di riconoscerti in lei. Io volevo sfidare il pubblico a immedesimarsi in lei.”
Sincera e rapita, Maggie Gyllenhaal ha fatto un debutto con i fiocchi: film ha riscosso molto successo nei premi. Non male per iniziare!
Riconoscimenti
2022 - Premio Oscar
Candidatura alla miglior attrice a Olivia Colman
Candidatura alla miglior attrice non protagonista a Jessie Buckley
Candidatura alla migliore sceneggiatura non originale
2022 - Golden Globe
Candidatura alla miglior regista
Candidatura alla migliore attrice in un film drammatico a Olivia Colman
2022 - Premio BAFTA
Candidatura alla migliore attrice non protagonista a Jessie Buckley
Candidatura alla migliore sceneggiatura non originale
2021 - Mostra del cinema di Venezia
Miglior sceneggiatura
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