La notte del 12 (2022)
- michemar
- 24 feb
- Tempo di lettura: 9 min

La notte del 12
(La nuit du 12) Francia/Belgio 2022 poliziesco 1h55’
Regia: Dominik Moll
Soggetto: Pauline Guéna (18.3 - Une année à la PJ)
Sceneggiatura: Gilles Marchand, Dominik Moll
Fotografia: Patrick Ghiringhelli
Montaggio: Laurent Roüan
Musiche: Olivier Marguerit
Scenografia: Michel Barthélémy
Costumi: Dorothée Guiraud
Bastien Bouillon: Yohan Vivès
Bouli Lanners: Marceau
Théo Cholbi: Willy
Johann Dionnet: Fred
Thibaut Evrard: Loïc
Julien Frison: Boris
Paul Jeanson: Jérôme
Mouna Soualem: Nadia
Pauline Serieys: Stéphanie “Nanie” Béguin
Charline Paul: sig.ra Royer
Matthieu Rozé: sig. Royer
Baptiste Perais: Wesley Fontana
Jules Porier: Jules Leroy
Nathanaël Beausivoir: Gabi Lacazette
Benjamin Blanchy: Denis Douet
Pierre Lottin: Vincent Caron
Camille Rutherford: Nathalie Bardot
David Murgia: Mats
Lula Cotton-Frapier: Clara Royer
Anouk Grinberg: giudice istruttore Beltrame
TRAMA: A Saint-Jean-de-Maurienne, la notte del 12 ottobre 2016, la ventunenne Clara Royer sta rincasando quando viene uccisa da un uomo che la cosparge di benzina e le dà fuoco. Yohan, il nuovo capo della polizia di Grenoble, e il suo più anziano collega Marceau si occupano del caso: i sospettati sono molti, a partire dai minacciosi ex della ragazza, ma le prove non sembrano inchiodare nessuno.
VOTO 7,5

Il cinema ci ha insegnato che ci sono tanti modi di raccontare le storie crime, i gialli con un omicidio spesso misterioso, dettato da motivi tra i più disparati. Se poi il movente o i personaggi, sia dell’autore che della vittima, ma anche quelli che abitano le circostanze, scaturiscono da un ambiente ovattato come la provincia, le vicende assumono connotazioni particolari, la polizia ha un suo modo di muoversi, gli abitanti, che spesso si conoscono tutti, sono attori inebetiti, come se i crimini non facciano parte della vita di quei posti. Qui siamo a Saint-Jean-de-Maurienne, un comune francese situato nel dipartimento della Savoia nella regione Auvergne-Rhône-Alpes, attorniato dal Massiccio Alpino, così come lo racconta l’autrice del libro documentato Pauline Guéna, 18.3 - Une année à la PJ, che ha frequentato la vita quotidiana della polizia giudiziaria di Versailles e si è interessata alla vera vicenda dell’omicidio di Clara Royer, divenendo il soggetto del film di Dominik Moll.
La notte del 12 ottobre 2016, gli agenti di polizia giudiziaria di Grenoble stanno celebrando il pensionamento del loro capo e, bicchieri in mano, si brinda anche alla nomina di Yohan Vivès (Bastien Bouillon), il collaboratore destinato a prendere il suo posto. Quella stessa notte, a Saint-Jean-de-Maurienne, la 21enne Clara Royer (Lula Cotton-Frapier) lascia la casa di Nanie (Pauline Serieys), la sua più intima compagna, in cui sta partecipando a una serata con le amiche, per tornare a casa. Lungo la strada, si filma con il suo cellulare e invia il video all’amica del cuore per ringraziarla della serata trascorsa in allegria. Pochi secondi dopo, attraversando il parco che la porterebbe dai genitori, viene avvicinata da un uomo con cappuccio e viso coperto che la chiama per nome, le lancia addosso un contenitore di benzina e le dà fuoco con un accendino. Clara corre via urlando ma si accascia e lì viene abbandonata, morente.
L’indagine non è affidata alla gendarmeria locale ma appunto alla giudiziaria di Grenoble, luogo di quel festeggiamento, il cui nuovo capo Yohan e il suo collega Marceau (Bouli Lanners) partono immediatamente per raggiungere il posto indicato. Dai primi rilievi effettuati dalla scientifica, tramite lo smartphone riescono ad identificare la giovane vittima e a loro non resta che svolgere il terribile compito di recarsi in casa dei genitori per comunicare la tremenda notizia. Tant’è che la madre inizialmente non crede alle parole dei poliziotti e poi si scatena in una crisi istericamente violenta, proprio mentre giunge l’amica che cercava notizie. Essendo la ragazza con cui la vittima si confidava sempre, i due agenti cominciano a stilare un elenco di giovani con cui Clara usciva nell’ultimo periodo e senza perdere tempo li cercano uno ad uno per interrogarli e per stabilire se quella notte l’avevano incontrata.
Yohan e Marceau, nonostante la loro esperienza, sono scioccati dal tipo di delitto e immediatamente il film prende l’indirizzo che il regista dà al suo lavoro. Innanzitutto, l’aspetto più sorprendente è la lunga lista di giovani che la vittima frequentava, i tanti nomi con cui faceva sesso, la diversità dei tipi e della loro estrazione sociale: il ragazzo che conosceva meglio e che frequentava anche casa confessa però che lui non era affatto il fidanzato ufficiale, nonostante le apparenze; il rapper di colore che Clara incontrava spesso si presenta spontaneamente – una volta sentita la notizia – perché ha paura di essere incriminato avendo scritto un brano in cui minacciava di bruciare (!) la ragazza dopo essere stato mollato, ma lui non si sarebbe mai sognato di farlo davvero, era solo un modo di sfogarsi alla maniera della musica rap; poi saltano fuori altri, tanti altri, addirittura anche un uomo già segnalato per violenze contro le donne, che ora vive in altro comune con una donna che garantisce che quella notte era con lei. È impressionante la leggerezza con cui Clara viveva una esistenza diciamo leggera dal punto di vista sentimentale ma soprattutto sessuale e le scoperte dei poliziotti provocano evidente imbarazzo e le inevitabili battute quando l’intera squadra si riunisce al commissariato per discutere il caso e adottare nuove iniziative.
Il risvolto socio-comportamentale che ha a che fare con i sempre non facili rapporti uomo-donna diventa il vero nocciolo del film, oltre ovviamente alle indagini e alla disperata ricerca di tracce di colpevolezza dell’eventuale assassino. Sia nelle riunioni dei poliziotti che nelle confidenze private del nuovo capitano con l’agente che opera sempre con lui, in sede come in auto, i discorsi cadono spesso sulle difficili relazioni che intercorrono tra gli uomini e le donne che spesso subiscono la violenza e il sopruso dell’atavico patriarcato che domina da sempre la società. Non è che il regista dia una sterzata alla via del #MeToo, ma è evidente e preponderante come la problematica ammanti l’intera vicenda e non si può fare a meno che riflettere sui comportamenti scorretti, se non proprio criminali, dei maschi contro le femmine. A parte la pesante riflessione di Marceau che fa notare come sono quasi sempre le donne ad essere uccise in questo modo, bruciate vive, il che è già duro dirlo ma anche sentire, oltre alle tante volte che capita di discuterne durante il corso del film, è proprio una donna, la giudice istruttore Beltrame, che tempo dopo si è interessata al caso e non vuole archiviarlo, che dice forse la frase più importante in merito: “Io sono una donna. Sono una giudice istruttrice. Sarei cieca se non vedessi che c’è qualcosa che non va fra uomini e donne.” Lapidaria e impietosa, ma drammaticamente realistica.
Sono tanti i sospetti, sono tanti gli uomini che Clara frequentava e di cui parlava all’amica Nanie, sono tanti i colpevoli possibili. E quando sono così tanti e non ci sono prove per alcuno, nessuno è colpevole. Sembra un paradosso, eppure se son tanti e sembrano tutti potenziali assassini ma nessuno lo è chiaramente, le indagini si arenano, ogni eventuale prova si rivela infondata, ogni traccia è labile. Ognuno di loro non nasconde la relazione ma pare non nascondere altro. La polizia vaga nel vuoto e con cuore contrito ammettono il fallimento delle indagini. Ad acuire maggiormente la discussione delle battaglie tra i generi ci si mette anche il dissesto del matrimonio del fidato Marceau, ormai prossimo al divorzio a causa di un figlio che non sono capaci di generare ma che ora si ritrova la moglie incinta non per opera sua, e il nervosismo che scuote la vita di quel poliziotto lo porta a reazioni impulsive: prima va a dormire in casa del suo giovane capo e poi si fa trasferire prima di combinare guai irreparabili. Tutto contribuisce, quindi, alla questione sociale che è al centro, inevitabilmente, del film.
Di casi irrisolti sono pieni gli archivi della polizia di tutto il mondo, e da sempre. Questo si sta avviando lentamente a fare la medesima fine. Tutti e nessuno, mancanza di prove: vuol dire archiviare il caso, mestamente e con il grande cruccio di Yohan. Scopriamo il fallimento solo tre anni dopo, quando quella giudice istruttore convoca il capitano intenzionata, a distanza di tempo, a ridiscutere dell’assassinio di Clara non accettando il triste insuccesso delle investigazioni e così chiuse. La possibilità è data da nuovi finanziamenti, tali da mettere, per esempio, una telecamerina vicina alla tomba della povera ragazza uccisa o sorvegliare ancora il luogo del delitto e i cellulari dei vari sospettati. Tutto può servire, ora che tutto è perso. Ancora un tentativo ed ancora l’ennesimo sospettato senza prove, probabilmente il solito esaltato che vuole attirare l’attenzione su di sé, ma comunque l’ennesima delusione per Yohan e la sua nuova collaboratrice Nadia (Mouna Soualem), anche appostatisi nel parco di notte in occasione dell’anniversario.
L’occhio di Dominik Moll segue principalmente il gelido capitano Yohan Vivès nel suo quotidiano affannarsi dietro ipotesi e supposizioni, sempre naufragate dopo ogni sopralluogo o interrogatorio, quando qualcuno della squadra fa fatica a restare impassibile e a non picchiare il sospetto di turno. Il responsabile delle indagini è dotato di un carattere freddo e forzatamente neutrale, parla il minimo, come trattenuto, atteggiamento evidentemente voluto per essere obiettivo e non travolto dalle emozioni umane che potrebbero solo rovinare la necessaria lucidità scevra dalle reazioni impulsive del momento. Frenato al lavoro, egli si sfoga in biciletta nel velodromo della città, in cui si sofferma a pedalare giri su giri, come un criceto, a detta dello sperduto Marceau. Più ha difficoltà a venire a capo del caso, più pedala duro, sguardo fisso rettilineo dopo rettilineo, con pedalata che pare rabbiosa. Sfogo fisico ma nessuna pausa nella mente. Unico posto all’aperto in cui osserviamo il malinconico capitano, quando invece le indagini, le ricerche, gli interrogatori avvengono solo in luoghi chiusi: uffici di polizia, case, locali pubblici, al limite nelle automobili. Una boccata d’aria fresca solo sul circuito dei ciclisti. Solo alla fine si svincola dall’abitudine che lo aveva condizionato e accontenta il collega: “Ho seguito il tuo consiglio. Son scappato dal velodromo e il primo obiettivo è il Col de la Croix-de-Fer”. Finalmente all’aperto!”
La svolta, che non sarà quella tanto bramata, avverrà solo a tre anni di distanza: una riapertura del caso ma nessuno risultato, un’infelice richiusura. Perché, come spiega il nostro detective, ogni investigatore prima o poi si imbatte in un crimine che non riesce a risolvere e che lo perseguita, così come è successo in altri casi che cita a memoria. “Dicono che ogni investigatore sia perseguitato da un delitto. Nessuno sa perché. Un caso che fa più male degli altri. Ti tormenta fino ad ossessionarti. Ti consuma dentro.” E fa menzione del caso di un collega che non era mai riuscito a ritrovare una bambina scomparsa o quello mai risolto del suo vecchio capo che riguardava una donna anziana picchiata a morte. Per lui è rimasto il caso di Clara. Ognuno ha il suo.

L’eccellente lavoro di Dominik Moll, di cui si apprezza la regia e la descrizione puntuale dei vari personaggi con il giusto approfondimento (chiaro merito della sceneggiatura ben scritta), è chiaramente un thriller ma mai come raramente succede si può definire un vero giallo, come quelli di una volta. Non è un polar come ci si potrebbe attendere da un poliziesco francese, né è un tipico crime movie tanto di moda, è davvero un giallo fino al punto di avere l’impressione, principalmente per lo studio dei caratteri, di leggere un romanzo alla Simenon, con tanto di atmosfera provinciale e di mistero del crimine commesso. Il regista riesce a tenere alta la tensione di continuo, con la netta sensazione che il buon capitano possa risolvere il mistero da un momento all’altro, anche per la sua pazienza nel seguire gli sviluppi e pure perché ogni volta il sospetto interrogato sembra proprio il colpevole da arrestare. Ed invece nulla resta nelle mani degli inquisitori, umani e deboli come il ricercato. Quello che domina è una umanità varia ma che confonde innocenti e sospettati, specialmente nella sovrapposizione del poliziotto, scosso dal distacco della moglie, che reagisce violento alle rime del rapper, sentendosi touché nel suo momento difficile e instabile. La figura più bella, comunque, resta quella di Yohan, interpretato magnificamente dal bravissimo Bastien Bouillon, il quale rende alla perfezione il carattere deciso e riflessivo, trattenuto e volitivo ma alla fine arreso del suo personaggio. Una menzione è doverosa al bravo e più che affermato Bouli Lanners a cui spetta il non facile compito di esprimere le difficoltà psicologiche di Marceau, il buon poliziotto messo a dura prova dalla vita coniugale non felice ma che deve restare concentrato sul suo lavoro. Fin quando riesce.

Elogi obbligatori per la buonissima fotografia e la scenografia, aiutati dal bel paesaggio che circonda il luogo delle riprese, che sono le reali località degli avvenimenti.
Uno dei migliori polizieschi visti negli ultimi tempi. Eccellente.

Riconoscimenti
Premio Lumière
Miglior film
Migliore sceneggiatura
Premio César 2023
Miglior film
Miglior regista
Migliore attore non protagonista a Bouli Lanners
Migliore promessa maschile a Bastien Bouillon
Miglior adattamento
Miglior sonoro
Candidatura miglior fotografia
Candidatura miglior montaggio
Candidatura miglior scenografia
Candidatura miglior musica
Premio Magritte 2023
Miglior film straniero in coproduzione
Migliore attore a Bouli Lanners
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