La sala professori
(Das Lehrerzimmer) Germania/USA 2023 dramma 1h38’
Regia: Ilker Çatak
Sceneggiatura: Ilker Çatak, Johannes Duncker
Fotografia: Judith Kaufmann
Montaggio: Gesa Jäger
Musiche: Marvin Miller
Scenografia: Zazie Knepper
Costumi: Christian Röhrs
Leonie Benesch: Carla Nowak
Michael Klammer: Thomas Liebenwerda
Rafael Stachowiak: Milosz Dudek
Anne-Kathrin Gummich: Bettina Böhm
Eva Löbau: Friederike Kuhn
Kathrin Wehlisch: Lore Semnik
Sarah Bauerett: Vanessa König
Leonard Stettnisch: Oskar
Oscar Zickur: Lukas
Antonia Luise Krämer: Jenny
Elsa Krieger: Hatice
Vincent Stachowiak: Tom
Can Rodenbostel: Ali
Padmé Hamdemir: Jieun
Lisa Matie Trense: Luise
Johanna Götting: Krissi
Jade Nadarajah: Mitra
Uygar Tamer: sig.ra Yilmaz
Özgür Karadeniz: signor Yilmaz
TRAMA: Carla Nowak è una giovane e promettente insegnante. Tutto sembra andare bene, fino a quando una serie di piccoli furti all’interno della scuola mette in subbuglio l’istituto. Quando i sospetti cadono su uno dei suoi studenti, Carla decide di andare di indagare personalmente, scatenando una serie inarrestabile di reazioni a catena
Voto 7,5
Siamo, in questi anni ’20 del XXI secolo, nel pieno delle notizie in tempo reale, ma con il serio problema che, come abbiamo imparato, non sono sempre affidabili, neanche nei siti della rete che consideriamo tali. Le fake news sono all’ordine del giorno, anzi dell’ora, preparate e diffuse da organizzazioni preposte o da burloni disonesti e il problema principale è credere o meno, magari andando alla ricerca delle fonti. Nello stesso tempo, ciò che si dice e che si fa all’interno di una comunità ben organizzata, a prescindere dagli scopi, è necessario che resti tra le mura e non trapeli all’esterno. “Ciò che accade in sala professori rimane in sala professori”, ripete più volte la protagonista Carla sia ai colleghi docenti che agli studenti che chiedono di avere notizie in merito alle voci che corrono nei corridoi della scuola. Su questi due pilastri scorre la storia di questo ottimo film.
Lo spettatore è affidato, tramite l’obiettivo della camera da presa del turco-tedesco Ilker Çatak, ai primi piani del viso dagli occhioni blu della professoressa Carla Nowak, una ragazza di cui si è totalmente ignari del suo background, della sua vita intima e familiare. Nulla, se non la lampante dedizione all’insegnamento che lei ha preso con grandissima serietà e impegno. È una donna dai sani principi che intende rispettare per questioni morali, di educazione e di rispetto verso l’istituzione e la società in cui si è inserita, figlia di immigrati polacchi, ma nata in Vestfalia. Si è verificato un furto in classe – si dirà, che novità è? – e figuriamoci se la prof lasci cadere l’argomento. Cerca di indagare per conto suo, mandando un po’ in fibrillazione la classe, divisa tra chi non è interessato, chi ci fa battute e chi è reticente per motivi di solidarietà e per non passare per spione. Ma ben presto ci accorgiamo che una professoressa, invece di mettere la monetina nel salvadanaio del caffè, si riempie la tazza e porta via il gruzzoletto. Non è un buon inizio per Carla che ha notato la scena.
E se il ladro allora è tra la classe insegnante? Per portare a termine la sua personale indagine escogita una trappola che le rivela una realtà inquietante, adocchiando una persona a cui non avrebbe mai pensato. Denunciando il fattaccio alla preside si scatena una reazione a cascata tra professori e studenti fino a conseguenze prima impensabili, diventando lei stessa – incredibile ma vero – l’obiettivo della rivalsa sia del sistema che della classe, ormai schierata contro di lei e a favore della probabile ma negata persona colpevole.
Il mondo scolastico così fotografato diventa da microcosmo a termine di paragone della vita esterna, del mondo globale. Una sorta di paradigma della vita che osserviamo quotidianamente in ogni ambiente, dal più piccolo al più grande. Si trasforma, cioè, a specchio della società odierna, metaforicamente rappresentata come una scuola, avvelenata da pregiudizi e ipocrisia. C’è di tutto in questa trama. Un aspetto centrale è quello di trovare la verità, la ricerca della verità, o come si finisce col credere in una verità. Importante è, allora e come dimostra questa opera che si potrebbe definire a tesi, anche quello in cui si crede. Il ragazzo vuole credere in sua madre, l’insegnante vuole credere nella giustizia. Facile quindi cadere nelle false notizie e nelle cose raccontate con intenti malevoli, con secondi scopi. Ed ecco allora le fake news, l’annullamento di una cultura o, per esempio, il bisogno di ogni società di trovare un capro espiatorio.
Il figlio dell’immigrato, il figlio della segretaria della scuola, il prediletto dalla prof perché è il migliore, il professore che adotta sistemi non oltre consentiti, la trappola di cui prima che infrange la legge della privacy, la mancanza di prove schiaccianti. Soldi rubati, matite sparite a mucchi, portafoglio svuotato, spiccioli intascati ed infine l’asportazione del portatile di Carla per far sparire la prova regina. Piccole cosette, ma gravi, che accadono in forma maggiore nella vita di tutti i giorni: la scuola che prepara alla vita. Ma quale. E poi ancora discriminazione e bullismo, l’inadeguatezza dei professori e gli errori commessi dai genitori, il film riflette su giochi di potere e trappole della legge con un doppio canale che si fa metafora.
Iniziato e battuto per tutta la durata con spasmodica costanza da un commento musicale e basato su un “pizzicato” che dà un ritmo degno di un thriller (e lo è pienamente dal punto di vista psicologico), il film affronta con credibilità tematiche quali l’etica, la responsabilità, la fiducia e la ricerca della verità, attraverso le vicende di quella insegnante interpretata con incredibile efficacia da Leonie Benesch, l’attrice – qualcuno deve ricordarla – che avevamo conosciuto tanti anni fa nello straordinario Il nastro bianco dell’implacabile Michael Haneke: era la giovane ragazza che sposava il maestro. Se il film spaventa per la spietatezza della realtà che spesso preferiamo non vedere o a cui scegliamo di soprassedere, altrettanto compie il suo lavoro sia l’interpretazione della performante attrice che il passo ossessivo e costante della narrazione che non cerca volutamente pausa, confortato – come detto – dalla musica ritmata, come il passo deciso e determinato della Carla che domina il film. Ci sono le regole, quelle della società civile e quelle della scuola, ma per comodità o per pigrizia mentale o per quieto vivere si tralascia di andare fino in fondo, di fare vera giustizia. Come un compromesso, che è quello che accade tutti i giorni in politica. Ma per un carattere come quello di Carla, che cerca di tirar dritto e rispettare i propri principi è impresa ardua. E non può bastare la caparbietà che la sostiene o la convinzione di stare nel giusto, perché si ritrova il mondo intero contromano e scansare tutti gli altri diventa un’impresa.
Quell’ultima sequenza - lei che guarda dai vetri dell’aula mentre fuori piove e i ragazzi vanno via e la mamma del bimbo modello, ora diventato l’occhio del ciclone, che la osserva carica di odio e voglia di vendetta, lui che si ammutina sul banco, portato via dagli agenti della polizia - quell’ultima sequenza è l’impotenza di mettere le cose al posto giusto, di fare giustizia, di arrivare alle verità. Il film si conclude in tono solo apparentemente minore, perché l’adolescente portato via seduto sulla sediolina come un papa sulla sedia gestatoria è la rappresentazione della verità portata via, sottratta a chi voleva leggerla con chiarezza.
Pare che l’ispirazione per la storia sia venuta al regista İlker Çatak – molto bravo - da una gita scolastica a Istanbul, dove lui e il cosceneggiatore del film Johannes Duncker videro due ragazzi della scolaresca rubare e venire successivamente scoperti dalla scuola attraverso una trappola che li costrinse a svuotare le tasche. Il regista ha anche spiegato che, quando ne parlarono più tardi, pensarono che questo potesse essere un buon inizio per la trama. Inoltre, fece presente la storia di sua sorella, che è un’insegnante di matematica a Colonia e che aveva avuto un’esperienza simile con i furti tra gli alunni. Non succede così anche nella vita civile? Credo proprio di sì, forse è una storia pessimistica ma è molto vicina alla realtà.
Diretti molto bene, con un ritmo che rispecchia il precipitare degli eventi, come i sospetti che si allargano senza freno, gli attori si comportano da buonissimi professionisti, anche i ragazzi esordienti, che meravigliano sempre per la loro spigliatezza adattandosi adeguatamente ai ruoli assegnati. Ovviamente l’elogio migliore va alla bravissima Leonie Benesch. Eccellente la fotografia a tinte marcate di Judith Kaufmann.
Riconoscimenti (tra gli altri)
2024 - Premio Oscar
Candidatura al miglior film internazionale
2023 – Festival di Berlino
Premio Label Europa Cinemas
Premio C.I.C.A.E. Art Cinema
2023 - Deutscher Filmpreis
Miglior film
Migliore regia
Miglior attrice protagonista a Leonie Benesch
Miglior sceneggiatura
Candidatura miglior fotografia
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