La terra dei figli
Italia 2021 dramma fantascientifico 2h
Regia: Claudio Cupellini
Soggetto: Gipi (Gian Alfonso Pacinotti) (graphic novel)
Sceneggiatura: Claudio Cupellini, Guido Iuculano, Filippo Gravino
Fotografia: Gergely Pohárnok
Montaggio: Giuseppe Trepiccione
Musiche: Motta
Scenografia: Daniele Frabetti
Costumi: Mariano Tufano
Leòn De La Vallée: il figlio
Paolo Pierobon: il padre
Maria Roveran: Maria
Fabrizio Ferracane: Aringo
Maurizio Donadoni: Lorenzo
Franco Ravera: Matteo
Alessandro Tedeschi: il capo
Valerio Mastandrea: il boia
Valeria Golino: la strega
TRAMA: La fine della civiltà è arrivata. Un padre e suo figlio, un ragazzino di quattordici anni, sono tra i pochi superstiti: la loro esistenza, su una palafitta in riva a un lago, è ridotta a lotta per la sopravvivenza. Non c’è più società, ogni incontro con gli altri uomini è pericoloso. In questo mondo regredito il padre affida a un quaderno i propri pensieri, ma quelle parole per suo figlio sono segni indecifrabili.
Voto 7
La guerra dei veleni ha tracciato un solco provocando la separazione tra gli uomini e la generazione seguente. I primi sono ridotti a lupi famelici per la propria ed esclusiva sopravvivenza, i rari secondi - solo quelli che sono stati accettati e malamente allevati, al contrario di quelli fatti subito affogare, pur di non avere altre bocche da sfamare, anche perché non si vedono mogli e madri in giro – sono cresciuti analfabeti ed educati in maniera oltremodo severa. Devono imparare in fretta la spietata legge dell’esistenza in una terra una volta generosa ed ospitale ed oggi acquitrinosa e nemica. Gli uomini vivono su palafitte da cui penzolano nasse e reti che non pescano più nulla e si spostano con vecchie imbarcazioni a motore per andare a caccia di animali che non si vedono più. Anche un cane randagio o rubato va bene per ricavare carne da mangiare e pelle con cui ripararsi. Sotto, solo l’acqua della palude, quella delta del Po e del Polesine; sopra, solo acqua di un cielo costantemente coperto con tuoni che minacciano pioggia. Non fa freddo né caldo: gli indumenti, senza cambi e sporchi, vanno bene ad ogni ora e giorno. Il padre vive così, come gli altri, con il figlio, tenuto a freno nella sua voglia di sapere di più, di rendersi utile, di ricevere più attenzione e affetto da un genitore che non gli ha spiegato niente e che impartisce solo ordini.
Quando ci si muove è solo per cercare cibo, raro a trovarsi: l’unica alternativa è, data l’assenza del denaro, il baratto. In cambio di un maglione, un pesce, altrimenti uno schioppo di fucile. Resta un mistero dove e come si procaccino il carburante per lo scafo e le munizioni per i fucili che alcuni hanno, soprattutto i più malvagi e cattivi, come Aringo, il pericoloso solitario che abita non molto lontano, geloso delle sue riserve alimentari e degli oggetti che trova o scambia. L’unica amicizia affidabile e affettuosa è la strega, quasi cieca, consolatrice della solitudine dei due, unica ad avere, chissà per quale magia, alberi da frutta. La protezione territoriale di chi vive in quella vasta e malsana regione è rappresentata dalla grande chiusa che limita le alluvioni e l’intrusione degli estranei, perché, come raccomanda la donna al giovanotto, quando questi - che spia sempre il padre che la sera, di nascosto dagli occhi del figlio, scrive un diario su un quaderno segreto – trova morto il genitore ammalato da tempo: “Non ti fidare degli uomini!”. Lui ha deciso di abbandonare la palafitta per andare alla ricerca di qualcuno che sappia leggere le pagine e i segreti di quel quaderno, che il padre non gli ha mai mostrato, pena essere picchiato.
Oltrepassare con lo scafo quella chiusa è come andare oltre le Porte d’Ercole, vuol dire affrontare i pericoli degli uomini, tutti alla costante ricerca di cibo e oggetti utili con ogni mezzo. Oltre alla strega non ci sono donne, impossibilitate a sopravvivere in un ambiente così ostile, buone solo come carne e soddisfazione carnale. Anche i giovani sono spariti e figlio è veramente una rarità, tanto da meravigliare i primi due che egli incontra: sembrano buoni, sì, proprio come il Gatto e la Volpe, ma molto più crudeli. Il giovane ricorda gli avvertimenti della strega ma deve andare a patti con i due, Lorenzo e Matteo, per mangiare e trovare un riparo. È proprio lì che scopre, prigioniera e nuda come una “cagna”, Maria, giovane e terrorizzata, tenuta in catene in una gabbia, con il destino segnato. E oltre ancora, figlio si imbatterà nella immancabile banda organizzata, tipo “Mad Max”, che uccide per mangiare, alloggiata in un enorme cimitero industriale arrugginito, antica reminiscenza dell’attività produttiva del genere umano che fu.
Se è un racconto di formazione, e lo è, è durissimo e crudele, come un post-apocalittico che ricorda non poco il bellissimo The Road di John Hillcoat, dove anche lì un padre e un figlio percorrono, in una Terra disfatta totalmente, la strada verso la salvezza e la conservazione. Figlio evade dalla sua residenza per cercare la soluzione non solo fisica ma in special modo morale, che gli chiarisca perché il padre è stato così severo e scoprire se fosse, comunque, da lui amato. Quelle numerose pagine nascondono la realtà che vuole assolutamente conoscere, a costo della vita. E chi gli rivelerà la verità è il personaggio inaspettato che gli donerà l’epifania che cercava, quello che poi succederà non conta: sull’imbarcazione (sempre sull’acqua), in compagnia della salvata Maria, si incamminerà verso il futuro, buono o brutto che sia, non ci sono scelte. Adesso sa. E piange felice, nonostante il mondo gli sia sfavorevole. Figlio è intelligente, ha imparato ben presto a stare al mondo, prima su una piattaforma di legno, poi su quello che il destino gli riserva. Lo hanno chiamato “bimbo” ma desso è diventato, nel giro di qualche giorno e in mezzo a uomini famelici, un vero uomo e in compagnia di un raro esemplare di donna che deve assolutamente proteggere. Un ragazzo sveglio di 14 anni che è cresciuto addestrato da un uomo burbero, ruvidamente protettivo, per rimanere vivo isolato, ma ora deve cavarsela nel mondo. Chi sbaglia, paga con la vita come un trofeo, nutrendo il vincitore.
Tratto da un romanzo grafico del celebrato Gipi (Gian Alfonso Pacinotti), Claudio Cupellini, notevolmente affermatosi con Una vita tranquilla, utilizza una location come il delta del Po, affascinante e misteriosa, inafferrabile e indefinibile, come un luogo-non luogo, una dimensione aliena come pochi altri posti, un universo fantasmatico, come certe regioni russe, tra paesaggi sterminati e smarrimento esistenziale. Un vero coprotagonista dell’intero racconto, una cornice che inghiotte i personaggi isolati, sempre all’erta per eventuali incontri indesiderabili: basta la comparsa improvvisa di qualcuno e o si fugge o ci si pone in posizione difensiva. Impossibile trovarsi a che fare con un umano inoffensivo. Infatti, quello spazio fisico è l’elemento ambientale che diventa introspettivo e scava dentro il sentimento dei personaggi. L’intento di Cupellini è chiaramente non la ricerca di un padre, ma al contrario quella di una madre, la ricerca della carezza della strega, che nel film assume una necessità diversa, poi confermata dall’arrivo di Maria, la ragazza che condividerà il destino con il figlio.
La eccellente riuscita del film deve molto anche alla ottima scelta degli attori. Leòn De La Vallée è una bella scoperta, con il suo viso perennemente allarmato e spaventato ma determinato a portare a termine il compito che si pone, nell’intenerirsi davanti a quella povera ragazza che chiede aiuto, manifestando la volontà di salvare sé e lei. Con lui, Paolo Pierobon, atteggiato come un uomo primitivo conscio della gravità della malattia che lo ucciderà ben presto e della missione addestrativa nei confronti dell’unico parente che ha; una Valeria Golino che non ti aspetti, strega e femmina; Fabrizio Ferracane è un caso a sé, perché con la sua riconosciuta bravura è in grado di vestire ogni tipo di ruolo: il suo ghigno sghembo mette paura, a prescindere dal fucile che spiana ad ogni piè sospinto; buona anche la prova di Maria Roveran, giovane interessante; la coppia Maurizio Donadoni / Franco Ravera sciorina un duetto che sprizza il maleficio metabolizzato in quel mondo, la versione peggiore, come scritto prima, del Gatto e la Volpe che abbindolano un Pinocchio che deve svestire i panni del ragazzo per quelli dell’uomo autonomo; la vera sorpresa però rimane Valerio Mastandrea, in un ruolo che non credo vedremo più, che alla fine si rivela decisivo, un martire che decide: “Io non mi perdono più”. A ben guardare, è in buona parte il cast abituale del mai dimenticato regista che cantava i racconti del nordest più profondo, più radicato nei personaggi tipici, nel colore locale, nell’autenticità di quella parte d’Italia: Carlo Mazzacurati. E difatti riecheggiano accenti veneti che tanto ce lo ricordano con attori di cui lui amava circondarsi sui set. Influente anche la fotografia di Gergely Pohárnok, le cui pennellate di verde e marrone, ingrigiti dalla ruggine dominante, condizionano la visione sino a renderla consona alla trama distopica. Impossibile non far caso al pastrano rosso ruggine che prima era addosso al ruggente Aringo che, passato sulle spalle del giovanotto, rende quest’ultimo più coraggioso o semplicemente più incosciente, tale da arrivare a sfidare ogni difficoltà e a non arrendersi mai. In ultimo, ma non ultimo in graduatoria, è il commento musicale, un compagno di viaggio che, oltre a essere una bellissima musica, è per via di un intelligente uso controllato – contrariamente ai silenzi che accompagnano l’inquieto silenzio degli horror – un tappeto di emozioni in note, uno sfondo che si racconta assieme agli attori. Davvero, complimenti al suo autore Motta.
Un film a cui mi ero accostato con curiosità e distacco e che invece mi ha svegliato un interesse fortissimo, incantato da tutti gli elementi che il bravissimo Claudio Cupellini ha saputo orchestrare all’unisono per un risultato pregevole, di ottima fattura. The Road è lontano, questo è un film di grande qualità italianissima.
Riconoscimenti
David di Donatello 2022
Candidatura miglior sceneggiatura non originale
Candidatura migliori effetti speciali visivi
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