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La terra promessa (2023)

La terra promessa

(Bastarden) Danimarca/Svezia/Norvegia/Germania 2023 dramma biografico 2h7’

 

Regia: Nikolaj Arcel

Soggetto: Ida Jessen (romanzo “Kaptajnen og Ann Barbara”)

Sceneggiatura: Nikolaj Arcel, Anders Thomas Jensen

Fotografia: Rasmus Videbæk

Montaggio: Olivier Bugge Coutté

Musiche: Dan Romer

Scenografia: Jette Lehmann

Costumi: Kicki Ilander

 

Mads Mikkelsen: Ludvig Kahlen

Amanda Collin: Ann Barbara

Simon Bennebjerg: Frederik De Schinkel

Melina Hagberg: Anmai Mus

Kristine Kujath Thorp: Edel Helene

Gustav Lindh: Anton Eklund

Morten Hee Andersen: Johannes Eriksen

Thomas W. Gabrielsson: Bondo

Olaf Højgaard: Preisler

 

TRAMA: 1755, Danimarca. Il capitano Ludvig Kahlen, congedato dopo la guerra, si candida come volontario per conquistare la brughiera danese dove fondare una colonia in nome del Re. In cambio, riceverà il titolo nobiliare che ha sempre desiderato. L’unico sovrano della regione, però, ha l’arroganza di pretendere quella brughiera e farà tutto ciò che è in suo potere per respingere il capitano.

 

Voto 7



Dopo undici anni, il regista Nikolaj Arcel e l’attore Mads Mikkelsen tornano assieme sul set per un altro film in costume. Dopo il successo di Royal Affair, che tra l’altro aveva segnato l’affermazione di un’attrice ancora sconosciuta chiamata Alicia Vikander, e un intermezzo fantasy di scarsa qualità (La torre nera), riecco una vicenda storica danese ambientata nello stesso secolo, il XVIII. Presentato in competizione al Festival di Venezia 2023 e tratto da un romanzo storico di Ida Jenssen che dà, tramite il titolo, risalto anche alla protagonista femminile, è un’epica avventura (vagamente ispirata a fatti reali) di un soldato ritrovatosi congedato e alla ricerca di una strada che gli dia un futuro e uno scopo nella vita. L’ex (ma ancora fiero e in pectore) capitano Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen), di umili origini popolari e forse perfino figlio bastardo (ecco il titolo originale) di una delle tante incursioni del signore locale sulla servitù femminile, è un uomo tutto d’un pezzo, caparbio, volitivo, indomabile e, come ci si può attendere da un militare, ostinatamente ordinato, difficilmente malleabile e impossibile da sottomettere. Orgoglioso della medaglia d’oro che gli hanno consegnato nel momento del congedo dopo la guerra contro la Germania.



L’uomo arriva nel 1755 nella brulla landa dello Jutland con un unico obiettivo in mancanza di altre prospettive: approfittare dell’opportunità offerta dal Re per coltivare quella terra inadatta all’agricoltura e ottenere così ricchezza e onore, chiedendo in cambio, appunto, un titolo nobiliare. Ma non fa a tempo ad arrivare sull’inospitale luogo che si fa presto un nemico: è lo spietato nobile della località Frederik De Schinkel (un fratellastro?), unico sovrano della zona, che ha sempre preteso, oggi ancora di più, vista la minaccia del nuovo arrivato, che la brughiera appartenga a lui e non ad altri. Quando un suo servo, Johannes Eriksen, continuamente da questi maltrattato e frustato, fugge con la moglie Ann Barbara (Amanda Collin) e cerca rifugio presso Kahlen, che lo accoglie nonostante il divieto perché ha bisogno assoluto di contadini, il nobile coglie l’occasione che cercava, quindi pretestuosa, per scacciare il pretendente al terreno e allo stesso tempo vendicarsi crudelmente. De Schinkel (Simon Bennebjerg) è un giovane violento e spesso ubriaco che non prova mai vergogna per gli abusi e le prepotenze continue che infligge alla corte e a chi gli si oppone e tiene quasi in ostaggio la cugina Edel Helene che si rifiuta di sposarlo. Il pericolo per Kahlen è costante ma lui non è tipo che si possa piegare e accetta con testardaggine la battaglia impari, rischiando la vita ed anche il legame con la piccola e tormentata famiglia che si è creata intorno a lui nella landa.



Di due cose ha necessità il nostro coraggioso protagonista: soldi per comprare l’indispensabile per la coltivazione della brughiera e coloni che lavorino alle sue dipendenze. Anche alla corte del Re sono molto scettici e sono poco inclini ad aiutarlo e fornirgli il necessario. Kahlen prima accetta l’aiuto di alcuni sinti che transitano da quella parti, poi è costretto dalle circostanze a cacciarli, ad eccezione della piccola, vivacissima e selvaggia Anmai Mus che le si affeziona come una figlia, a cui corrisponde con gli unici atti di tenerezza di cui è capace con il suo carattere burbero. I coloni, come promesso, arrivano in quantità e si stabiliscono ma temono la presenza della zingarella che per loro e per i pregiudizi dei tempi rappresenta il Male e il Diavolo.



Succede quindi che, oltre alle consuete particolarità che caratterizzano il momento storico e l’ambiente di vicende come queste, si aggiunge l’elemento razzista e di pregiudizio, come a dimostrare che la discriminazione è vecchia come il mondo e che, gira e rigira, c’è sempre qualcuno più a sud di ognuno di noi. Quei contadini sono poverissimi, sono gli ultimi nella scala sociale, eppure trovano chi devono considerare inferiori, nonostante le assicurazioni dell’ex militare e del reverendo Anton Eklund che lo aiuta sin dal primo momento. L’impegno è fortissimo, le difficoltà sono tantissime, i nemici non mancano, dall’alto e dal basso. Eppure, Kahlen non demorde e si rialza dopo ogni infortunio del destino: è davvero un uomo scalognato e gli succede di tutto. Ad iniziare la sfortunata spedizione di Johannes che deve procurarsi la preziosa argilla che si trova vicino al mare e che serve ad essere mescolata con il terriccio avaro della landa per arrivare a produrre patate. Ma il viaggio dell’ex schiavo non va a buon fine e, a quanto pare, anche la natura ed il meteo si accaniscono contro.



La chiave di volta sono le patate, perché tramite una buona produzione si potrebbe dare inizio ad un commercio che frutti prima una entrata finanziaria importante e poi allargare il progetto, ma ecco le gelate invernali, poi la neve, la mancanza di argilla, la mancanza di mano d’opera. Di tutto. Kahlen è una persona abbandonata da tutti e da tutto: resta in piedi solo per la sua testardaggine e per la preziosissima presenza di Ann Barbara, donna quasi fondamentale per andare avanti. E, perché no, di quel folletto amorevole della piccola Anmai Mus, la mascotte della famiglia improvvisata. Succederà di tutto e di peggio e poi di peggio ancora: come si fa a rimanere in sella con il padrone del luogo scatenato e tanto feroce, il Re che non si interessa delle sue sorti, la Ragioneria Reale contro, i coloni uccisi dai briganti liberati dalle carceri appositamente da De Schinkel? È peggio di una guerra civile, è una guerra impari! Forse, solo l’adeguarsi al potere potrebbe salvare la vita e il futuro dei tre combattenti.

La ormai cresciuta zingarella ora è una bella ragazza che deve tornare dalla sua gente e Kahlen accontenterà Ann Barbara che vuol viver vicino al mare.



Siamo nello Jutland ma pare di essere nell’Ovest dell’America polverosa dove i padroni del ranch in cui pascolano mandrie infinite sorvegliate dai rancheros con la pistola fumante per difendersi dalle incursioni delle bande che rubano animali. È una storia danese ma sembra un western, un western mitteleuropeo che negli ultimi anni sta dando segnali innovativi, anche per merito di registi che guardano al di là dei soliti schemi e che sanno sfruttare la collaborazione di cast tecnici all’altezza: prendiamo ad esempio la fotografia di Rasmus Videbæk. Colori che danno un esempio pratico di desaturazione, tonalità così fredde che si sente il gelo dell’inverno solo a guardare le inquadrature panoramiche della landa, che esalta la natura selvaggia e le pianure danesi, mentre Nikolaj Arcel dedica passione e precisione nei primi piani di Mads Mikkelsen, più corrugato di come lo ricordavamo, più duro e ferreo del solito, laconico, chiuso e introverso che non ha alcuna voglia di perdere tempo a discutere con persone che non sopporta, coriaceo come il terreno non adatto alla coltivazione. Mentre quell’implacabile signorotto si innervosisce ancora di più notando che non riesce ad intimorirlo, non sconfigge la sua determinatezza.



Un film in costume, un western, di avventura (o di disavventure), di forza di volontà contro la soverchiante forza del potente di turno, di affermazione della personalità destinata a perdere in partenza per la prepotenza del cattivo, di ricerca del posto nel mondo. Ci voleva un attore adeguato e Mads Mikkelsen si serve del suo viso segnato, dall’espressione di chi non si arrende, sfoderando ancora una volta una interpretazione vigorosa e risoluta. Accanto a lui una brava Amanda Collin, poco conosciuta da noi (già vista però tra la popolazione ostile di A Conspiracy of Faith - Il messaggio nella bottiglia, della serie dei due detectives danesi Carl Mørck e Assad), donna dalla buona presenza, una Ann Barbara altrettanto risoluta. Il villain di turno è Simon Bennebjerg, attore perfetto per un personaggio antipatico e insopportabile, mentre la sua preda preferita è la contessina e cugina Edel Helene interpretata da Kristine Kujath Thorp, vista due anni prima in The North Sea. Il personaggio di quest’ultima è quello che nella trama va in progressione fino al merito di accendere il cruento prefinale, utile a liberare se stessa e la contea. Questi gli ingredienti di un film riuscito e ben diretto dallo specialista Nikolaj Arcel, che si serve, come detto, di un’ottima fotografia e di ottimi costumi, indispensabili per un film di questo genere.



In concorso a Venezia 2023, prodotto dalla autorevole Zentropa e distribuito dalla altrettanto Magnolia Pictures, recitato ovviamente in danese e lanciato come rappresentante per quella nazione agli Oscar, ha conseguito 21 premi e 15 candidature in tutto il mondo, tra cui, in patria, per il Premio Robert, le candidature per film, regia, attore e attrice protagonisti (Mads Mikkelsen e Amanda Collin), attore non protagonista (Simon Bennebjerg), sceneggiatura non originale, fotografia, montaggio, colonna sonora, scenografia, costumi, trucco, sonoro ed effetti visivi.

Mica male.



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