La verità secondo Maureen K.
(La Syndicaliste) Francia /Germania 2022 thriller drammatico 2h2’
Regia: Jean-Paul Salomé
Soggetto: Caroline Michel-Aguirre (La Syndicaliste)
Sceneggiatura: Jean-Paul Salomé, Fadette Drouard
Fotografia: Julien Hirsch
Montaggio: Valérie Deseine, Aïn Varet
Musiche: Bruno Coulais
Scenografia: Françoise Dupertuis
Costumi: Marité Coutard
Isabelle Huppert: Maureen Kearney
Grégory Gadebois: Gilles Hugo
François-Xavier Demaison: Jean-Pierre Bachmann
Pierre Deladonchamps: sergente Brémont
Alexandra Maria Lara: Julie Depret
Gilles Cohen: Hervé Temime
Marina Foïs: Anne Lauvergeon
Yvan Attal: Luc Oursel
Bernard Gabay: Henri Proglio
Christophe Paou: Arnaud Montebourg
Mara Taquin: Fiona
François Pérache: avvocato Duchesne
Gilles Cohen: avvocato Hervé Temime
Christian Hecq: Tiresia
Aloïse Sauvage: Chambard
TRAMA: La storia vera di Maureen Kearney, rappresentante sindacale del CFDT (Confédération française démocratique du travail) presso la Areva, una multinazionale che opera nel campo delle energie nucleari e rinnovabili. Nel 2012 viene a conoscenza di un segreto di stato che coinvolge l’industria nucleare e sconvolgerebbe la Francia, ma è sola contro tutti e deve combattere contro ministri e industriali per rendere nota la notizia e difendere così più di 50.000 operai.
Voto 6,5
Vedendo questo film senza alcuna informazione preventiva, essendo cioè ignari totalmente della vera storia che è a monte – tratta dal libro che ha scritto Caroline Michel-Aguirre sulla vera Maureen Kearney (un nome che si pronuncia a metà strada tra il francese e l’inglese: Morìn, perché questa donna è irlandese di nascita e di professione fa la sindacalista) – si resta inebetiti scoprendo di stare a guardare un’opera che è l’insieme di diversi generi e nulla, all’inizio, fa pensare alla piega di giallo che a metà dell’opera prende il sopravvento. Nella vita reale (questi fatti che non vengono raccontati nel film) la Kearney era cresciuta in una famiglia irlandese di sindacalisti dove era consuetudine dire che ognuno “ha due mani, una per aiutare se stesso e la seconda per aiutare gli altri”. Tanto per dire e meglio capire che tipo di educazione aveva ricevuto, sua madre aveva fatto la campagna per il rilascio di Nelson Mandela all’inizio del 1990; poi Maureen è diventata una femminista al liceo e dopo la nascita della loro figlia, nel 1987, fu assunta dalla Société Générale pour les Techniques Nouvelles (SGN), una filiale del gruppo Cogema (poi Areva), per insegnare l’inglese ai tecnici che stavano andando a lavorare fuori dalla Francia. Il suo carattere si rivela immediatamente quando resta indignata per aver visto giovani ingegneri licenziati senza compenso, motivo per cui si unì alla CFDT, diventandone la figura di spicco all’Areva. Dove la conoscevano bene per la sua indomabilità e la forza dirompente con cui difendeva i diritti dei dipendenti.
Generi di cinema diversi, si diceva. Sì, perché il caso che fa andare su tutte le furie la protagonista Maureen Kearney (Isabelle Huppert) è uno scandolo clamoroso di spionaggio industriale e di accordi sotterranei tenuti segreti tra il nuovo CEO della Areva, azienda di primaria importanza nazionale nel campo produttivo di energie nucleari e rinnovabili, Luc Oursel (Yvan Attal) e il gruppo cinese dello stesso ramo industriale che ha messo gli occhi sulla possibilità di allargarsi prima in Francia e poi in Europa. Quando nel 2012 un informatore, Tiresia, la incontra di nascosto e la mette al corrente delle trattative segrete tra EDF, Areva e la cinese CGNPC che, tramite intermediari commerciali, consentirebbero trasferimenti di tecnologia nucleare, minacciando il futuro di 50.000 operai di Areva e dell’intera industria nucleare francese, Maureen intuisce la gravità del compromesso e mette al corrente tutte le persone influenti che conosce, persino il neopresidente eletto Hollande. Non è una persona arrendevole e viste le difficoltà che incontra, decidendo di denunciare questo progetto al pubblico, si scontra violentemente col nuovo amministratore delegato di Areva, Luc Oursel. Con tutte le sigle sindacali di Areva, continua comunque a guidare l’opposizione a questo accordo, parlando con politici e media fino a riuscire a farsi prestare ascolto dal ministro dell’economia Montebourg. È guerra totale ma lei, pur essendo nota nell’ambiente, è la parte più debole per il semplice fatto che gli “avversari” sono capaci di tutto e si riveleranno senza scrupoli.
È qui che la vicenda si tinge di giallo, anzi proprio thriller: minacce velate, telefonate anonime, un antipatico assalto di due motociclisti che le rompono il vetro dell’auto nel mezzo del traffico per rubarle la borsa, ostruzionismi di vario tipo. Il culmine arriva con un’irruzione in casa quando il buon marito Gilles (Grégory Gadebois) è appena uscito per lavoro: legata mani e piedi ad una sedia, incappucciata, sfregiata sul ventre con la lettera A (Areva?) e stuprata con il manico di un coltello da cucina. Ritrovata dopo ore dalla sua governante, la polizia interviene ma non si comporta come un cittadino onesto si aspetterebbe. Il giallo diventa dramma umano e psicologico. Quest’ultimo aspetto prende il sopravvento e diventa la caratteristica più rilevante sino al termine, perché rivela brutti episodi successi alla sindacalista quando era una ragazza e le pesanti ripercussioni psicologiche che sta patendo in questa occasione. Messa sotto torchio dalla polizia, perché non crede alla versione della donna, il suo lato debole nascosto ma nello stesso tempo determinato, la induce ad ammettere che si è inventato tutto. Sorpresa! Possibile che sia un piano che ha architettato pro domo sua? oppure che la sua mente contaminata dai brutti ricordi le abbia provocato allucinazioni e bugie che crede realtà? La ripetizione della visita ginecologica su richiesta della Gendarmeria Nazionale, le pressioni per confessare tutto, la scarsezza dell’operato dell’avvocato che non si rivela all’altezza, la fanno crollare e decide, per salvare se stessa e portare a termine una volta per tutta questa insopportabile situazione, di dar ragione al sergente che la accusa. E così da vittima diventa indagata, nonostante la paziente opera di sostegno che il marito devoto non le fa mancare.
No, non può finire in tal modo. Anni dopo, la giovane agente Chambard (femminile, eh! conta pure questo in questo mondo maschilista, ma personaggio immaginario, che crocia i dati dell’inchiesta con un vecchio caso) che si era sempre sentita dalla parte di Maureen, le fornisce una vecchia documentazione d’archivio e da lì la sospirata svolta dell’indagine, che viene riaperta e con, stavolta. un valido avvocato il contesto si capovolge. Dopo un inizio dal carattere politico industriale e sindacale nell’ambito di una guerra di multinazionali, la vicenda assume tutt’altro colore, diventa un altro film, ma la figura forte di Maureen Kearney resta centrale, anche perché si era guadagnata la stima di tutti, sia dei superiori che degli iscritti al sindacato e che credevano ciecamente nella sua sincera abnegazione alla causa. Ma ciò che colpisce oltremodo è la personalità della donna, il modo di tirar dritto senza farsi intimorire, sfrontatamente onesta con se stessa e con gli altri, nemici o amici, quindi schietta e leale, senza secondi scopi o falsità. Una persona stimabile proprio perché corretta e mai subdola. Per questo era riuscita negli anni ad essere un punto fermo anche per l’azienda, tanto da ottenere la piena stima e una cordiale amicizia con la CEO precedente, quella Anne Lauvergeon (Marina Foïs) a cui la società non aveva rinnovata la carica per far posto al nevrotico e intrallazzatore Luc Oursel, uomo che ha goduto, nel frattempo, delle disavventure prima poliziesche e poi giudiziarie della donna, sfruttando le potenti amicizie su cui riusciva a contare. Lei è una persona certamente burbera, appena mitigata da quell’orsetto buono del marito che la lascia agire conoscendola a fondo, donna in buona fede: irreprensibile e incorruttibile in un mondo di squali. Per questo è anche un film femminista in cui gli uomini pensano di agire dall’alto della loro tradizionale supremazia.
Per portare sullo schermo una donna siffatta, era necessario che l’attrice avesse il talento di recitare non solo con le parole ma soprattutto con la gestualità minima, con lo sguardo, con i piccoli ma percettibili cambi di espressioni. Isabelle Huppert ha l’immensa dote di interiorizzare ed esprimere le reazioni alle circostanze anche con un minimo battito di ciglia, muovendo appena le labbra (qui rosse di rossetto su un viso reso diafano dal trucco), guardando l’interlocutore dicendo tante cose senza parlare. Incutendo richiesta di rispetto, lealtà, parità di attenzione così come fa lei: verso i dirigenti dell’azienda, della politica e della polizia che non le crede, prendendosi una rivincita morale e giudiziaria in un finale che ha il sapore non di vendetta ma di giustizia. Una gigante della recitazione, come ha fatto in un film leggero, una commedia nell’ambito criminale, quello precedentemente girato con lo stesso regista Jean-Paul Salomé: La padrina - Parigi ha una nuova regina, in cui è la daronne, la traduttrice giudiziaria arabo-francese che decide di arrotondare il suo stipendio entrando nel traffico di stupefacenti della città. Qui invece sale in cattedra interpretativa per un groviglio losco di spionaggio industriale e affari di stato, una storia che parla di delocalizzazione ma anche di #MeToo, che affronta il serio problema delle storture del neoliberismo e del maschilismo radicato nella cultura aziendale. E diventa così, nonostante la fragilità che nasconde dietro l’immagine da dura che si è costruita, un personaggio inafferrabile che non accetta il ruolo della vittima perfino bugiarda. Ed allora, dopo un’apparente conclusione negativa per lei, riparte con la carica che è innata in lei.
Il film poggia tutto su Isabelle Huppert, dall’inizio alla fine, prepotentemente, minuta e spigolosa (lo è diventata di più con l’età), stacanovista come il suo personaggio, capace di dar vita ad una figura nervosa e irriducibile tra il thriller psicologico e il cinema d’inchiesta. Ed essendo tutto vero, realmente accaduta, è una storia impressionante. Accanto a lei un delizioso Grégory Gadebois, il cui sguardo bonario è l’ideale per raccontare una coppia così. Il cast si completa con nomi importanti per il cinema francese come Marina Foïs e Yvan Attal, ai quali vanno aggiunti Mara Taquin (la figlia della coppia, che impara tanto dalla testardaggine della madre), Pierre Deladonchamps ed altri.
La vera Maureen Kearney e Isabelle Huppert
La regia di Jean-Paul Salom fa il suo dovere, senza grandi acuti, cercando comunque di essere il più efficace possibile nella narrazione, nei dettagli economici, politici e sociali, in modo cioè di essere chiaro e diretto nel modo più onesto possibile.
Secondo la vera Maureen Kearney, il film è nel complesso veritiero perché racconta le intimidazioni subite anche se è piuttosto leggero rispetto a quello che ha vissuto (!), tanto che ha avuto qualche problema psicologico a rivivere quel periodo della sua vita.
Per contro, la famiglia di Luc Oursel ha denunciato le scene del film come contrarie ai fatti. Ovvio.
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