Land
USA/Canada 2021 dramma 1h29’
Regia: Robin Wright
Sceneggiatura: Jesse Chatham, Erin Dignam
Fotografia: Bobby Bukowski
Montaggio: Anne McCabe, Mikkel E.G. Nielsen
Musiche: Ben Sollee, Time for Three
Scenografia: Trevor Smith
Costumi: Kemal Harris
Robin Wright: Edee Holzer
Demián Bichir: Miguel Borrás
Sarah Dawn Pledge: Alawa Crow
Kim Dickens: Emma
Warren Christie: Adam
TRAMA: Edee, alle prese con insopportabili demoni interiori, è incapace di mantenere i contatti con il mondo che una volta conosceva e decide per tale ragione di ritirarsi nelle magnifiche ma spietate terre selvagge delle Montagne Rocciose. Dopo che un cacciatore del posto la salva dall’orlo della morte, Edee dovrà trovare un modo per tornare nuovamente a vivere.
Voto 6,5
Che la sofferenza che ha distrutto la vita di Edee sia profondamente dolorosa e penosa lo si intuisce immediatamente e bisogna attendere l’intero film per capire da dove proviene, quanto la abbia potuto condizionare per portarla a prendere una decisione assolutamente radicale: scappare via dalla vita precedente, la sua vita, e rifugiarsi in una terra difficile da abitare sulle Montagne Rocciose del Wyoming, isolata dal mondo restante. Cestinando il telefono cellulare, il passato, i legami, senza auto, con una buona scorta di cibo in scatola e gli attrezzi necessari per poter sopravvivere fuori dalla civiltà e da sola. Perfino chi le ha venduto la malandata baita e i boschi circostanti si meraviglia della decisione, e la saluta lasciandola sul luogo come un addio definitivo all’umanità terrestre.
Senza alcuna preparazione fisica e mentale per poter provvedere a se stessa, ma spinta dal dolore che la sta divorando, Edee (Robin Wright) cerca di adeguarsi alla scelta fatta e si mette subito al lavoro per rendere meno inospitale quella casetta diroccata in cui manca tutto. Sono in due, in quello sterminato ambiente da cui si gode un panorama mozzafiato sulle montagne e il torrente che attraversa la valle: lei e la perdita indicibile con cui vive. Ha salutato con fermezza la persona più cara, Emma (Kim Dockens), ed è partita lasciando il mondo alle spalle. L’unica cosa chiara è che sta lottando con un trauma profondo, uno stress molto simile a quello post traumatico. È certamente una superstite, non di una guerra ma di una disgrazia familiare dalle enormi conseguenze traumatizzanti. Presto si evidenzia l’impreparazione ad una vita del genere (la pesca, la caccia, tagliare la legna) e sin dalla visita di un orso durante il rigido inverno innevato la pone nelle condizioni disperate che pensava essere in grado di sopportare e l’avventura sventurata pare già alla fine: senza cibo, al freddo glaciale dell’altitudine stagionale il suo destino pare segnato. Solo il passaggio di un uomo esperto della zona, un cacciatore in transito, Miguel (Demián Bichir), le salva la vita e con l’aiuto di un’infermiera chiamata sul posto viene rimessa con gran fatica in piedi, quando era ormai più morta che viva.
È una strana coincidenza, quella dell’esordio da regista di Robin Wright: il maggior successo da autore dell’ex marito Sean Penn fu Into the Wild - Nelle terre selvagge, la biografia di un eroe ecologico, un protomartire della libertà naturale e della vita lontana dalla civiltà. Anche la brava e bella attrice si cimenta con una storia avventurosa al limite della sopravvivenza: se lì era lo spirito dell’avventura e dell’amore verso la Natura, qui la protagonista scappa dal mondo per vivere il proprio dolore senza che nessuno la possa aiutare, per soffrire come una punizione autoinflitta per essere rimasta viva senza marito e il piccolo figlio. È questo il suo cruccio che la distrugge: essere rimasta viva senza gli amori della sua vita. Il perché di questa scelta non è comunque facile né darla né ascoltarla. È solo ciò che vuol fare, anche se in un luogo che per una donna inesperta è quasi un suicidio annunciato. Ma lì il destino le sta riservando il modo di venirne a capo, andare a capo, ricominciare da capo. Il merito sarà solo di un uomo ugualmente colpito nell’intimo ma la cui generosità va molto oltre il prevedibile sino al punto di riaprire, pur nella disgrazia imminente, i colori del mondo, le speranze di un nuovo futuro. La vita, ancora.
Tipico film da Sundance (lì infatti presentato nel 2021), la sorprendente e predestinata Robin Wright lavora di sottrazione, del non detto, dell’intimo, con i silenzi e i primi piani del suo viso struccato, delle mani piagate dai lavori mai fatti, degli occhi scavati dalla fame, dei capelli non più tagliati, ma soprattutto dalla sofferenza dipinta sul volto e negli occhi, dalle lacrime trattenute di chi non vuole arrendersi dopo la decisione presa. Eppure, il film prosegue con una scrittura semplice, facilmente perseguibile, eccettuati i problemi non svelati, sfruttando il panorama che le offre la natura circostante. Girato nella regione di Alberta nel Canada, il verde lussureggiante dei boschi e il fiammeggiante bianco della neve servono a rendere più assoluto l’isolamento cercato. Peccato solo che non abbia sfruttato appieno le vedute possibili a disposizione, inquadrando spesso lo stesso scenario nelle diverse scene, quando invece avrebbe potuto guadagnare le tante visuali che il luogo offriva.
Non è un film straordinario ma è pur sempre un buonissimo primo passo di un’attrice evidentemente capace di dire qualcosa anche dietro la macchina da presa, dato che di recitare è capace oltremodo, sempre dimostrato. Ora bisogna vedere se qualcuno o qualcosa si faccia avanti per un secondo tentativo. Lei è per adesso promossa con ampia sufficienza, come attrice è indiscutibile e comodo le fa la altrettanto buona prova del buon Demián Bichir, attore di lungo corso. Oltre alla visione pseudoecologica (non eccessiva, altrimenti avrebbe risparmiato le scene di caccia ai poveri cuccioli abitanti del bosco) è la proiezione della sofferenza che ha saputo narrare e interpretare, con un piccolo difetto, però: per dare peso allo stato d’animo e alla lunghezza e alla durezza della vita solitaria in quelle condizioni estreme, ha scelto di soffermarsi non poco su questi aspetti, rallentandone la rendicontazione. Perlomeno, però, è servito a farci entrare nella mente della povera donna.
Fuor di dubbio che, intanto, i critici l’abbiano potuta notare positivamente come autrice (e qui, giustamente, anche produttrice). Il che è già un buon avvio nella carriera in cui la attendiamo fiduciosi. Brava, Robin!
Comments