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Le temps d’aimer (2023)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 27 gen
  • Tempo di lettura: 6 min

Le temps d’aimer

Francia/Belgio 2023 dramma 2h5’

 

Regia: Katell Quillévéré

Sceneggiatura: Katell Quillévéré, Gilles Taurand

Fotografia: Tom Harari

Montaggio: Jean-Baptiste Morin

Musiche: Amine Bouhafa

Scenografia: Florian Sanson

Costumi: Rachèle Raoult

 

Anaïs Demoustier: Madeleine Villedieu

Vincent Lacoste: François Delambre

Morgan Bailey: Jimmy

Hélios Karyo: Daniel a 5 anni

Josse Capet: Daniel a 10 anni

Paul Beaurepaire: Daniel a 18 anni

Margot Ringard Oldra: Jeanne

 

TRAMA: 1947. Su una spiaggia della Bretagna, Madeleine, cameriera di un hotel ristorante e madre di un bambino, incontra François, uno studente ricco e colto. Tra i due è amore a prima vista. Se da un lato lei vuole lasciarsi qualcosa alle spalle per seguire il giovane, lui cerca di fuggire da qualcos’altro, mescolando il destino di Madeleine al suo.

 

VOTO 7



Il racconto inizia con una serie di immagini di repertorio filmate nell’immediato dopoguerra all’indomani dell’arrivo degli Alleati a Parigi intorno al 1944, in cui appare lampante come alla gioia dei francesi per questa liberazione si aggiunge la sanguinosa vendetta che i cittadini comuni e i partigiani si presero con le proprie mani verso quei compatrioti considerati collaborazionisti. Se nel caso degli uomini spesso questi finivano uccisi (si stima che circa 10.000 uomini siano stati messi a morte come punizione, sia con l’esecuzione legale che con la vendetta popolare), nel caso delle donne la preferenza violenta si realizzò con il massimo scherno. Tantissimi di loro (gli storici parlano di circa 20.000 persone) furono rasate e umiliate in pubblico, spesso fatte sfilare nude in mezzo alla folla.



Vediamo una di quelle donne, Madeleine, incinta di un soldato tedesco, quando fugge come può dopo essere stata rasata e umiliata in pubblico: sulla sua pancia gonfia è dipinta una svastica che lei cerca di cancellare senza molto successo. Cinque anni dopo la giovane è cameriera in un hotel-ristorante del Finistère, in Bretagna, dove vive con il frutto del suo ventre, un ragazzino di nome Daniel. Un giorno, rincorrendo il figlio sulla spiaggia, fa amicizia con un cliente dell’albergo, un giovane che sta preparando la sua tesi, François, il secondo figlio di una famiglia con aziende tessili. Si sentono immediatamente attirati l’un l’altra e si innamorano subito, tanto che non tarda che, sposandosi, mettono su famiglia. Ma una volta a Parigi, François viene molestato da un giovanotto che urla sotto la finestra e bussa vigorosamente alla porta. Lui è alle strette e non può più negare che quello è stato il suo intimo compagno, avendo avuto una relazione sentimentale e sessuale.



Nell’ambito della coppia, entrambi avevano un segreto, profondamente nascosto: lei fa fatica a confessare solo in seguito chi è il padre soldato nazista, di cui non ha però più notizie dopo che era stato spedito sul terribile Fronte Orientale; lui non nasconde il legame di omosessuale con quel giovane ma, esprimendosi fortemente sincero, conferma il suo amore per la donna, che quella storia è ormai chiusa da tempo. Entrambi sono coscienti che siccome si vogliono davvero bene devono mettere da parte il passato e guardare al futuro. François di laurea e diventa docente universitario, lei si fa assumere in un bar frequentato da soldati americani, frequentato anche da Jimmy, un nero che si affeziona alla coppia, anche perché attratto da Madeleine. La quale, a sua volta, forse perché non completamente soddisfatta sessualmente con costanza o perché semplicemente simpatizzante del nuovo amico, non esita a offrirgli avances esplicite. Una situazione che però non pare loro imbarazzante e che scivola verso un rapporto a tre in primo momento accettato ma interrotto bruscamente quando François tenta, pensando che stesse al gioco erotico, di avere un rapporto sessuale con Jimmy.



La vita andrà avanti, perfino con l’arrivo, finalmente, di una bambina, a coronamento di un matrimonio che procede felice in maniera soddisfacente, con i coniugi che hanno un forte legame e un amore sincero. Fin quando non accade un grave episodio in cui l’uomo, ormai insegnante affermato, cade ancora una volta nella sua debolezza, che sì, scuote la donna, ma non rovina la fiducia che uno ripone nell’altra e viceversa: l’amore è più forte degli accadimenti e cercano con tutte le forze di non mollare. Eppure, il personaggio più forte di questa famiglia non è né lei né lui: è il figlio Daniel, irrequieto sin da piccolo, sempre ombroso e arrabbiato, sempre con l’idea fissa di voler conoscere di chi è figlio, rivelazione mai concessa dalla madre, e chi sia esattamente il padre biologico. Vuole bene a quello acquisito ma non sarà mai pago fin quando non avrà modo di conoscere il destino del vero papà e magari di ritrovarlo. In seno ad una famiglia in cui pare che, nonostante il passato, la vita procede regolare e con una buona posizione sociale, Daniel è il vero problema. Ma purtroppo non sarà il problema principale, perché l’episodio che arriva rovinerà la felicità e la stabilità così faticosamente raggiunte.



Uno dei migliori film di Louis Malle è stato Cognome e nome: Lacombe Lucien (1974), noto in Spagna come Non tutti erano eroi. Questo film tratta della collaborazione dei francesi con i nazisti, una parte della storia spesso dimenticata forse per non rinvangare un bruttissimo periodo. Nel film di Katell Quillévéré – che ha raccontato di aver scritto una sceneggiatura parzialmente ispirata alla storia della nonna, che aveva avuto un figlio da una relazione con un soldato tedesco durante l’occupazione - la protagonista ha perciò un legame anche sessuale con un soldato nazista che influenzerà tutta la sua vita e da qui l’intero film esplora la vita della donna, il difficile rapporto con il figlio nato da quella breve frequentazione di due settimane e la ricerca dell’identità del padre sconosciuto, nonché la complicata relazione tra l’ex collaboratrice e il figlio. La regista adotta un preciso modo di narrazione. Con uno stile elegante, una buona gestione della macchina da presa e frequenti silenzi e sguardi, pieni di significati, il film si presenta come un’interessante radiografia della Francia del dopoguerra, una nazione che cercava di tornare alla normalità, in cui gli Alleati avevano ancora un’influenza importante sull’evoluzione del paese, che qui si materializzerà nell’introduzione all’interno della coppia di un elemento catalizzatore, il soldato afroamericano Jimmy, allo stesso tempo oscuro oggetto del desiderio di Madeleine e François, in una storia di ménage à trois dal finale un po’ brusco, forse quando le lascive aspettative dei tre non corrispondono esattamente a quanto il terzo si attendesse.



Personalmente, fino a questo punto della trama, avevo la sensazione di un facile film drammatico, discretamente architettato e fotografato, una delle tante storie d’amore che si sviluppano in ogni angolo della terra e in ogni periodo della vita, tanto che il titolo è generico ma anche significativo, dato che il tempo di amare è eternamente il presente che si vive ma ci sono anche momenti che si rivelano più propensi, sia per effimere e causali coincidenze sia per le occasioni che vogliamo cercare. Che è quando una persona è lì per decidere a fare un passo verso quello che ritiene il partner ideale o a rinunciarvi. Madeleine e François si sono incontrati in spiaggia ma al tavolo del ristorante lei cercava l’opportunità di servirlo mentre lui da lontano la osservava sorridendo. Il tempo d’amare era proprio iniziato. Comunque, una storia come tante, meglio ancora resa drammatica se nel dopoguerra.



L’ultima mezz’ora il film migliora moltissimo e vira al mélo, al drammaticamente serio e diventa più bello: la ricaduta dovuta – anche questa – all’occasione, la denuncia, la polizia, la decisione tragica. La sofferenza, la sopportazione del dolore, la forte volontà di ricominciare, la svolta della vita, la rivelazione del nome del tedesco. L’odio-amore di Daniel verso la madre si risolve nella maniera giusta perché, dopo il tempo dell’amore arriva il tempo della pacificazione, del sorriso emozionato, di un giovanotto sulle orme del padre, di una mamma tranquillizzata. Una mamma che inseguiva disperatamente suo figlio piccolo sulla sabbia della Bretagna e che ha dovuto ripetersi anche quando, adirato, scappava anche da grande non sopportando il segreto della madre. Il mélo. In pratica, quel lungo finale chiude il cerchio con quell’inizio in cui la donna gravida cercava di cancellare la svastica dal suo grembo, quando il giovane è già nelle condizioni di conoscere l’identità del padre. Chiude un film sicuramente stimolante, un film con un amore diverso, un film che cerca di mettere in primo piano quelle persone che hanno collaborato, attivamente o passivamente, con l’invasore nazista, e solo decenni dopo qualcuno, chi ne ha la forza, si è pentito, ha sofferto per le colpe e per i crimini con cui hanno dovuto convivere per il resto della loro vita.



La buona e attenta regia di Katell Quillévéré – artista che di solito punta a mettere in risalto le protagoniste femminili, come in questo caso (notevole anche il suo precedente Riparare i viventi) - dirige il buonissimo lavoro di recitazione. La trentaseienne Anaïs Demoustier, dal viso sempre giovanissimo che solo da questo film assume sembianze più mature, è già diventata una delle attrici più sicure e sensibili della sua generazione, avendo lavorato con alcuni dei registi francesi più interessanti degli ultimi decenni: Michael Haneke, Bertrand Tavernier, Robert Guédiguian, François Ozon, Quentin Dupieux. Quanto al suo co-protagonista, Vincent Lacoste non è da meno, in un ruolo complesso che lui dota di sincerità e credibilità, confermando le motivazioni per cui tanti registi rilevanti lo chiamano ormai da tempo. Sono due interpreti tra i più importanti tra i giovani francesi e questa ulteriore prova li rafforza nella loro funzione. Anzi, mai visti i due così maturi come in questo lavoro.



 
 
 

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