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Le vele scarlatte (2022)

Aggiornamento: 8 apr


Le vele scarlatte

(L'envol) Francia/Italia/Germania 2022 dramma 1h40’


Regia: Pietro Marcello

Soggetto: Aleksandr Grin (romanzo)

Sceneggiatura: Pietro Marcello, Maurizio Braucci, Maud Ameline, Geneviève Brisac

Fotografia: Marco Graziaplena

Montaggio: Carole Le Page, Andrea Maguolo

Musiche: Gabriel Yared

Scenografia: Christian Marti

Costumi: Pascaline Chavanne


Juliette Jouan: Juliette

Raphaël Thiéry: Raphaël

Noémie Lvovsky: Adeline

Louis Garrel: Jean

Yolande Moreau: Yolande, la maga

François Négret: Fernand

Ernst Umhauer: Renaud


TRAMA: Juliette, figlia di un reduce della Grande Guerra e orfana di madre, vive sola nel Nord della Francia con il padre, Raphaël. Appassionata di musica e di canto, la ragazza - molto solitaria - incontra un'estate un mago che la fa una profezia: un giorno delle vele scarlatte la porteranno via dal villaggio. Da quel momento Juliette non smetterà mai di credere che la profezia un giorno si avvererà.


Voto 6,5

Il primo film in francese di Pietro Marcello al terzo lungometraggio, anche documentarista con alcune opere che sono dei veri racconti (vedi il bellissimo La bocca del lupo), fattosi conoscere in campo internazionale dal notevole Martin Eden (che ha portato la Coppa Volpi a Luca Marinelli nel Festival di Venezia del 2019), è tratto dal primo romanzo del russo Aleksandr Grin del 1916, edito quattro anni dopo. È una sorta di fiaba sentimentale, drammatica e poetica ambientata a cavallo tra le due guerre mondiali, a partire dall’immediato dopoguerra, allorquando il reduce Raphaël rientra nel suo villaggio nella Normandia rurale. Rude e burbero, perennemente accigliato e di poche parole, lo vediamo camminare nella campagna mentre torna vero la sua casa, zoppicante, evidentemente ferito in battaglia. A stento lo riconosce la suocera e trova la grande sorpresa di una figlia bambina ancora piccolissima nata in sua assenza nella grave circostanza della morte della moglie, la cui causa non è chiaramente specificata, forse proprio durante il parto. Come da suo carattere, reagisce con sconcerto e stupore felice ma sempre in maniera contenuta: non è un tipo avvezzo a gesti affettuosi ma il ricordo bellissimo della moglie lo induce ad accettare la realtà e a prendersi pian piano cura della piccola, che la nonna Adeline (Noémie Lvovsky) sta crescendo con amore.

Mettendosi subito alla ricerca di un lavoro, che ovviamente scarseggia in quel luogo, Raphaël (Raphaël Thiéry, un attore che sembra il sosia del compianto grandissimo giornalista Gianni Mura) cerca di mettere in evidenza la sua grande abilità di falegname, capace non solo di lavora il legno ma di confezionare ottime opere di intarsio e scultura da talentuoso ebanista. Il titolo originale significa “il volo” e lo stesso regista lo definisce “un racconto popolare, musicale e storico, al confine con il realismo magico”. Difatti, crescendo, la bella e dolce Juliette (Juliette Jouan), esprime la sua dote naturale di appassionata musicista e ha modo di essere educata al pianoforte, aiutando il padre a vendere in città i suoi giocattoli di legno che costruisce in casa, mentre questi si fa anche notare come eccellente operaio in una falegnameria del villaggio.

Un giorno una maga Yolande (Yolande Moreau), incontrata nel bosco ove lei si reca spesso, guardando estasiata il miracolo della natura fiorente e accogliente, le predice un volo su vele scarlatte in fuga dal suo villaggio: lei ci crede e si comporta di conseguenza, sicura che un giorno le vele coloratissime appariranno e potrà finalmente evadere da quell’angusto luogo per vivere una vita felice. Anche se con il papà e la nonna lo è già sin dal primo momento, maggiormente oggi che il padre è tornato e non le fa mancare nulla. Ma in paese l’ambiente le è ostile a causa di Raphaël stesso, guardato malissimo dagli altri e spesso evitato, accettato solo dall’oste dove va giocare a carte e a bere un bicchiere. Perché gli abitanti del posto lo evitano e spesso non lo guardano neanche? Cosa è veramente successo in sua assenza? Il motivo è grave e la povera Juliette corre gli stessi pericoli che ha dovuto affrontare la povera mamma.

In queste condizioni, è chiaro perché la ragazza non frequenta nessuno se non la famiglia del fabbro che abita vicino, ma il pianoforte abbandonato nel fienile e riparato dal padre diventa il suo rifugio e la fonte delle sue creazioni musicali, nenie e canzoni romantiche e armoniche (i testi sono ricavati dal regista dai poeti che hanno vissuto nel luogo), essendo anche capace di scrivere spartiti. Ben presto conoscerà le insidie degli uomini e avrà paura di subire quello che ha patito la madre, a cominciare dall’aggressivo Renaud (Ernst Umhauer). Tutto cambierà e la vita si colorerà con l’atterraggio di fortuna di un biplano e l’arrivo, in cerca di aiuto, del bell’aviatore Jean (Louis Garrel): è quella la predizione della maga? Se potrà scappare via l’unico dolore sarà lasciare quella nonna così protettiva e accudente e quel papà dalle mani callose e dure ma dal grande cuore che le ha dedicato la vita e l’ha protetta da ogni pericolo. Come anche quella campagna accogliente, il fiume che l’attraversa, i rigogliosi prati, il ricco bosco, spazi che le donano serenità e contatto con la natura. Nello stesso tempo è un film in cui la trama stretta ha poca importanza dato che è piuttosto la descrizione dei personaggi e del loro modo di vivere in quel luogo e in quel frangente storico, e con quelle persone, in aggiunta a dialoghi laconici e alla scelta di Pietro Marcello e dei tanti sceneggiatori che lo hanno coadiuvato nella scrittura di evitare di essere didascalici nei vari passaggi della lunga vicenda che parte sin da quando Juliette era poco più di una neonata a quando è divenuta una bella signorina, età in cui ha possibilità di scegliere il suo futuro, nonostante la sua maestra abbia esortato Raphaël a farle abbandonare il villaggio e andare a studiare scuole superiori nel paese. Cambiamento mai avvenuto per la volontà della ragazza di restare sempre a fianco del padre e della nonna, che non abbandonerebbe mai a quella età.

Questa ambientazione è così bucolica e mistica che ha il sapore più del cuore midi della Francia che del paesaggio nordico francese meno ospitale e ciò aumenta il senso di romanticismo e sogno che ammanta l’intera narrazione, accentuato in primis da un lato dalla sincera e naturale interpretazione di Raphaël Thiéry e Noémie Lvovsky – ottimi attori – e poi dalla tranquilla, pulita, aperta e trasparente presenza di Juliette Jouan. Cast selezionato dal regista con evidente cura, alla pari di quella che aveva portato Luca Marinelli ad una performance di altissimo livello (ma questo è un attore fuori dalle graduatorie). Questi attori e quelli dei personaggi di contorno danno una naturalezza quasi da documentario al film e lo spettatore segue, guardando attraverso l’obiettivo della camera da presa sempre a mano di Marcello, con apprensione le disavventure della povera famiglia e le speranze poste dalla protagonista che attende le vele scarlatte. Che, infatti, nel finale arriveranno davvero solcando al largo del mare: è arrivato il momento della libertà?

Che importanza può avere se è o non è così, se l’intera opera non punta sul racconto schematico ma alla natura e alla psicologia dei personaggi e al sentimento fiabesco che la abita? Quando Juliette vaga felice nel bosco tra alberi e uccelli sembra di entrare in un dipinto fluido e musicale. Quello di Juliette è l’inizio di un volo mentale e, come spera, anche fisico, con lo stesso vento a favore delle vele, mentre lo spirito della mamma e di Raphaël la proteggeranno, con l’aiuto della vigorosa Adeline. L’importante è che Jean non riparta senza di lei.

Le rivelazioni di Pietro Marcello a proposito della concezione del film dicono che lui la ritiene un’opera popolare e lineare, in altri termini, semplice. Un film aereo e leggero, nel senso che c’è una storia che inizia e finisce, un po’ come le fiabe. Quella fattoria dei protagonisti ha preso spunto dal borgo in cui vivano i poveracci di Miracolo a Milano: una comunità marginale alle porte di una grande città che in questo caso è una piccola comunità esclusa dal villaggio che diventa come una famiglia allargata con quella del fabbro. Il papà Raphaël è un parallelo di Geppetto, un padre giudicabile moderno, in quanto non si comporta come i padri di una volta che, tornando dalla guerra e non trovando più la moglie, abbandonavano i piccoli figli presso altre famiglie. Invece lui la cura in prima persona e si prende le sue responsabilità, educandola al meglio possibile, al contrario di come effettivamente facevano a quei tempi. Basti guardare come era invece stato allevato il prepotente Renaud. Il suo ringraziamento, infine, va alle bravissime Noémie Lvovsky e Yolande Moreau, che con l’esordiente Juliette Jouan hanno dato un notevole contributo all’universo femminile all’opera e all’atmosfera dei tempi.


Riconoscimenti

2024 – David di Donatello

Candidatura miglior sceneggiatura adattata



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