M - Il figlio del secolo (2024)
- michemar
- 31 gen
- Tempo di lettura: 5 min

M - Il figlio del secolo
Italia/Francia 2024 serie di 8 episodi 6h52’
Regia: Joe Wright
Soggetto: Antonio Scurati (libro)
Sceneggiatura: Stefano Bises, Davide Serino, Antonio Scurati
Fotografia: Seamus McGarvey
Montaggio: Valerio Bonelli
Musiche: Tom Rowlands
Scenografia: Mauro Vanzati
Costumi: Massimo Cantini Parrini
Luca Marinelli: Benito Mussolini
Francesco Russo: Cesare Rossi
Barbara Chichiarelli: Margherita Sarfatti
Benedetta Cimatti: Rachele
Federico Majorana: Amerigo Dumini
Gaetano Bruno: Giacomo Matteotti
Fulvio Falzarano: Giolitti
Massimo De Lorenzo: Alfredo Rocco
Lorenzo Zurzolo: Italo Balbo
Federico Mainardi: Albino Volpi
Vincenzo Nemolato: Vittorio Emanuele III
Gianmarco Vettori: Dino Grandi
Gabriele Falsetta: Roberto Farinacci
Maurizio Lombardi: Emilio De Bono
Daniele Trombetti: Cesare Forni
Gianluca Gobbi: Cesare Maria de Vecchi
Alberto Astorri: Luigi Facta
Paolo Pierobon: Gabriele D’Annunzio
Claudio Bigagli: generale
Jessica Piccolo Valerani: Ida Dalser
Elena Lietti: Velia Matteotti
Paolo Macedonio: don Luigi Sturzo
Giorgia Sinicorni: Regina Elena
TRAMA: La storia dell’ascesa al potere di Benito Mussolini, dalla fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento del 1919 al discorso in Parlamento del 3 gennaio 1925.
VOTO 8,5

I primi sei episodi sono dedicati all’ascesa e alla definitiva affermazione; quindi, dai primi giorni in cui Benito Amilcare Andrea Mussolini ha appena fondato i Fasci di Combattimento, quasi per ripicca vista la rivalità con Gabriele D’Annunzio che ha preso la città di Fiume e lui spera di sfruttare l’impresa del poeta in campo elettorale. Nel secondo episodio viene narrato il periodo in cui le elezioni hanno decretato la vittoria dei socialisti e Mussolini sembra già finito, ma i latifondisti e gli industriali cercano il suo aiuto contro gli scioperi e lui sa ancora cogliere la palla al balzo a suo favore. A seguire: con l’ingresso in Parlamento, l’uomo vuole cambiare, essere più strategico, diplomatico, un vero statista, ma le camicie nere si ribellano. A seguito degli scioperi e delle proteste, il Re esclude i socialisti dal governo e Mussolini minaccia l’insurrezione fascista nel tentativo di prendersi tutto. In seguito, cerca in ogni modo, anche con la violenza, di far accettare una legge elettorale che gli garantisca la maggioranza assoluta e propone addirittura una legge proporzionale in cui il 25% dei voti gli assicuri il 65% dei seggi in Parlamento. Ma don Sturzo si oppone con forza. A questo punto Mussolini apre le liste del partito a politici voltagabbana di altra formazione, ma un capo fascista della prima ora, Forni, si schiera contro di lui. Nel settimo episodio stravince le elezioni e Matteotti ne chiede l’annullamento denunciando le violenze delle camicie nere e lui con furbizia, utilizzando l’intermediazione del suo fidato Cesarino, decide di dargli una lezione, scatenando un gruppo squadrista per eliminarlo. L’ultima parte è dedicata al ritrovamento del cadavere di Matteotti e l’arresto dei suoi assassini. A questo punto Mussolini è all’angolo: deve trovare una via d’uscita per salvare se stesso e il fascismo.
Gli ultimi due episodi cambiano completamente l’atmosfera e il contenuto dei sei precedenti, abbandonando il grottesco e l’umorismo di un personaggio carnevalesco, tronfio, presuntuoso e soprattutto egocentrico. Tutto muta, tutto si colora di un pesante e macabro procedere verso la violenza e la presa totale del potere, innervando il settimo episodio di un’atmosfera plumbea da massacro, principalmente perché si occupa del delitto Matteotti. L’ultima parte ne è la conseguenza, con lo sbarramento difensivo per incolpare solo gli esecutori materiali dell’omicidio e della sparizione del cadavere e con il tentativo disperato di tirarsi fuori dalle responsabilità.
Delitto che però diventa un incubo per il duce, prima costretto a rendere conto al piccolo Re (fisicamente e umanamente) e poi a silurare, per salvarsi, l’amico, il braccio destro. l'eminenza grigia Cesarino Rossi, che era l’emissario committente tra lui e le camicie nere incaricate dell’eliminazione del martire parlamentare: Benito vede ovunque la vedova Matteotti che lo perseguita ed invece è solo il frutto visionario della sua mente stravolta che ammette inconsciamente la responsabilità, che sono solo sue, come mandante, non sopportando più i discorsi che l’onorevole pronunciava in Aula inveendo contro le sue politiche repressive.
Sei episodi in cui si sghignazza, due ultimi in cui si precipita nell’angoscia di un uomo rinchiuso nel suo ampio studio che pare la gabbia di un leone che conosce solo violenza per eliminare gli impedimenti sul percorso che lo ha portato in cima.
Colore marrone pesante, come l’atmosfera che regna, musica ritmata come un accompagnamento verso l’inferno, scenografia tipicamente gotico-monumentale, ma anche geometricamente simmetrica e razionalista, dalle alte volte, saloni ampi come piazzette, marmi scuri come l’ambientazione. Fotografia perfettamente in tema, molto scura e carica di marrone, costumi curatissimi anche nei minimi particolari.

Regia sontuosa da parte di un cineasta di grande livello, Joe Wright (L’ora più buia, Anna Karenina, Hannah, Orgoglio e pregiudizio, Cyrano), che non trascura nulla, in perfetta armonia con l’interprete protagonista, che pone l’obiettivo vicino ai visi, come su M o sulle donne che lo soddisfano, a cominciare dalla prediletta Margherita Sarfatti (una eccezionale Barbara Chichiarelli), ricca ereditaria veneziana, ebrea, coltissima, collezionista e brillante critica d’arte ma soprattutto abile a soffiare con tempismo consigli politici nell’orecchio del duce, sul sudato e grasso Cesare Rossi, o sulla povera trascuratissima moglie Rachele.

Non so quanto la serie sia lontana dal libro, che non ho letto, ma essendoci Antonio Scurati tra gli abilissimi sceneggiatori, devo dedurre che sia molto fedele: è un’opera molto particolare e bisogna vedere quanto ha voluto cambiare il regista perché ciò che colpisce è che il protagonista si rivolge spessissimo alla “quarta parete” parlando direttamente con lo spettatore, spiegando quello che gli passa per la mente e quello che sta succedendo. È un lungo film agitato, turbolento, che rivela un personaggio meschino e opportunista, che cambia (o non cambia e finge di cambiare) continuamente parere e decisioni a seconda della convenienza. Un imbroglione di prima categoria.
Su tutti emerge un fantasmagorico Luca Marinelli, degno di una nomination agli Oscar: non bastano gli aggettivi per definirlo e per come si è impossessato non del personaggio storico, ma di quello che lui e il regista volevano fosse. Non recita, si esprime come in uno show esplosivo, una prova attoriale che si può definire davvero una “performance” spettacolare. Sempre in scena, senza imitarlo ma evocandolo nella prosopopea vanitosa ed egocentrica. Davvero straordinario, spessissimo rivolto alla quarta parete, dove guarda per spiegare allo spettatore la sua strategia o come sta prendendo per i fondelli i seguaci o gli avversari (“Li ho fregati!”). Come la scena finale, dopo il discorso in Aula in cui, costretto ma anche per rischiare e ottenere i pieni poteri assoluti, si assume le responsabilità morale e politica, quasi ignorando quella materiale e penale, del delitto Matteotti: “Assumo solo io la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece la superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa. Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere. Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima politico, storico e morale a me la responsabilità di tutto questo. Perché questo clima storico, politico e morale, io… io l’ho creato. Quando due elementi sono in lotta e sono irriducibili, l’unica soluzione è nella forza! Non c’è mai stata altra soluzione nella storia e non ci sarà mai! Se io la centesima parte dell’energia messa a contenere la violenza la mettesse a scatenarla, eh, vedresti allora. Vedreste allora! “

Dopo di che invita gli onorevoli a denunciarlo presso l’Alta Corte di Giustizia. E siccome nessuno muove foglia, irrigiditi e muti, attoniti e persino commossi, dopo aver urlato imperiosamente per ben tre volte: “Avanti… Avanti… AVANTI!” si rivolge ancora una volta verso la camera da presa e dice, soddisfatto e a dimostrazione: “Silenzio”. Insomma, avete notato?
Come ben sappiamo tutti, il silenzio dei cittadini è il miglior complice dei regimi.
Sipario (e applausi).
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