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Immagine del redattoremichemar

Macbeth (2021)

Aggiornamento: 11 mag 2023


Macbeth

(The Tragedy of Macbeth) USA 2021 dramma 1h45’


Regia: Joel Coen

Soggetto: William Shakespeare

Sceneggiatura: Joel Coen

Fotografia: Bruno Delbonnel

Montaggio: Lucian Johnston, Reginald Jaynes (Joel Coen)

Musiche: Carter Burwell

Scenografia: Stefan Dechant

Costumi: Mary Zophres


Denzel Washington: Lord Macbeth

Frances McDormand: Lady Macbeth

Corey Hawkins: Macduff

Brendan Gleeson: Re Duncan

Harry Melling: Malcolm

Alex Hassell: Ross

Brian Thompson: assassino

Ralph Ineson: capitano

Sean Patrick Thomas: Monteith

Miles Anderson: Lennox

Kathryn Hunter: le streghe

Stephen Root: portiere

Bertie Carvel: Banquo


TRAMA: Il lord scozzese Macbeth viene convinto dalla profezia di tre streghe che diventerà il prossimo re di Scozia e la sua ambiziosa moglie lo sostiene nei suoi piani di conquista del potere.


Voto 7,5

Mentre orribili streghe profetizzano che Macbeth, il signore di Glamis, diventerà presto il re di Scozia, l'ambiziosa Lady Macbeth esorta il marito ad agire. Sospinto dalla moglie, egli coglie l'opportunità della visita del Re Duncan nel suo castello e mentre il sangue gli macchia le mani, sale al potere, su quel trono che brama. Tuttavia, l'omicidio è un fardello insopportabile e in poco tempo una rabbiosa paranoia annerisce la coscienza e mette in pericolo la sanità mentale della coppia maledetta. Ora, solo la morte attende. Può un semplice mortale sfuggire al destino?

Perfino superfluo annotare gli innumerevoli adattamenti della meravigliosa tragedia di William Shakespeare che tanti registi hanno portato sullo schermo ed ognuno di loro o hanno seguito fedelmente lo scritto originario oppure lo hanno adeguato ai tempi o alle situazioni contemporanee che interessavano. Trasposizioni di grandi autori occidentali e orientali, da Orson Welles a Akira Kurosawa. Molti si sono cimentati in una storia tragica e profondamente significativa dei tempi e dell’oggi, principalmente perché il potere è una droga che ha sempre, nella Storia, preso possesso dell’anima dell’uomo. A qualsiasi prezzo, a qualsiasi costo da sopportare in seguito, anche perché, spesso, accecati dall’ingordigia, essi non pensavano alle conseguenze future.

Conoscendo il cinema, lo stile, l’originalità unica nel panorama mondiale dei mitici fratelli Coen, non poca è la sorpresa che coglie l’appassionato alla notizia che Joel si sia interessato ad un soggetto così serio e importante, lontano dai soliti argomenti che li hanno visti sempre impegnati. E di conseguenza non poca era la curiosità di come il maggiore della coppia (per la prima volta in assoluto a lavorare da solo) avrebbe affrontato la tragedia del Bardo inglese.

Per prima cosa ha fatto piacere sapere che l’operazione artistica solitaria non era dovuta a questioni relative ad un eventuale cattivo rapporto tra i due fratelli, che è sempre ottimo, quindi non a causa di diverse vedute, e neanche a problemi di salute di Ethan. No, semplicemente, come ha spiegato ampiamente il consueto autore delle musiche dei loro film, Carter Burwell, ancora presente, il secondo era troppo preso dai suoi lavori teatrali e non voleva distrarsi dai suoi impegni. Confidenza confermata anche dal fatto che i fratelli hanno da parte ancora molto materiale su cui poter lavorare nel futuro. Tanti soggetti potenziali e di ottima fattura, a sentire il musicista che li conosce molto bene.

Secondo particolare interessante è come Joel ha voluto sviluppare la trama della celebre tragedia, perché, come avrebbe detto il noto giornalista, una domanda sorge spontanea: cosa c’entra il cinema dei Coen con Shakespeare? C’entra, c’entra. Perlomeno con alcuni protagonisti delle loro spesso strampalate storie scritte a quattro mani. Il Drugo de Il grande Lebowski, il Larry di A Serious Man, la Doris di L’uomo che non c’era, non sono, rapportandoli ai tempi gloriosi del Regno elisabettiano, figure adatte alle commedie e ai drammi shakespeariani? E gli omicidi senza fine di diverse loro trame che paiono un torrente insanguinato che prende origini dal sangue delle trame di corte del XVI secolo? Non dimentichiamo che un loro film si chiama, senza mezzi termini, Blood Simple - Sangue facile. Punto! Se delle affinità e delle comparazioni – con le più dovute cautele – esistono, restava la curiosità di come il regista e sceneggiatore solitario avrebbe realizzato materialmente e artisticamente il film.

Personalmente rilevo tre caratteristiche portanti. Una è la sceneggiatura, che contiene dialoghi fedelissimi tanto che pare di essere a teatro, che richiedono attenzione (soprattutto ai sottotitoli!), che non danno tregua, con poche pause, che spesso vengono a determinare i comportamenti successivi dei personaggi, inquadrandoli in primissimi piani in modo da poter cogliere ogni minima inflessione facciale.

Seconda caratteristica è la messa in scena e la scenografia, girando completamente in studio e ricreando l’atmosfera lugubre e ferale con ambienti stilizzati, stretti e verticali, lunghi come le ombre che lasciano i personaggi sotto una luce obliqua che li fa sembrare più funerei dell’immaginabile. Muri nudi, finestre medievali alte, scale strette e ripide, atmosfera gelida, sole e luna impalliditi dalla fitta e persistente nebbia, soffitti altissimi, cielo invisibile, abiti minimali. Che sia sole o luna è difficile stabilirlo.

Infine, la notevolissima fotografia di Bruno Delbonnel, in assoluto bianco e nero e in 4:3, spesso riempito dal primo piano dei visi. Un colore che dà poche nuances ma assoluti chiaro e scuro, che si staglia sui fondali e i pavimenti, sul sangue bruno e sulle lame sguainate pronte a portare a termine i progetti nefasti del potere. Sembra di essere con gli attori nella penombra su cui domina la sete del potere fine a se stesso, dopo aver appena giurato fedeltà, dopo aver combattuto fianco a fianco contro i norvegesi. Eredi che scappano a nord o a sud (Irlanda o Inghilterra) in attesa di vendicare la morte del progenitore, o piccolissimi figli falcidiati affinché non si ripresentino in futuro.

Il destino è scritto ed è stato recitato ermeticamente dalla una e trina strega nell’incipit, ascoltato con estremo interessa dal Thane di Glamis, che dopo aver guadagnato sul campo la promozione a quello di Cawdor, guarda più in altro, appunto come predetto dalla signora nera e contorta. Una volta raggiunto lo scopo e la meta sul trono più alto della Scozia, i sensi di colpa che assalgono separatamente i coniugi Macbeth li distruggeranno nella paranoia più completa, fino a vedere nemici dappertutto e nel tentativo inutile di evitare la parte finale della profezia: il Lord ora Re perirà solo per mano di un uomo non nato da una donna. Potrebbe essere Macduff? È impossibile cambiare il percorso del fato!

In verità ci sarebbe anche una quarta peculiarità che non può non saltare agli occhi: la presenza abbondante di personaggi recitati da attori e attrici di colore. Atto deliberato non penso assolutamente per motivi di correttezza politica, ma anzi di scelta ben precisa per ribadire una ribellione politica, un dispetto sia al razzismo che al falso perbenismo. A cominciare dal protagonista assoluto interpretato dallo sfolgorante ed impetuoso Denzel Washington e finire, attraverso altri personaggi, a colui che sarà l’antagonista finale per l’avverarsi della predizione, il baldo e coraggioso Macduff interpretato da Corey Hawkins.

Come in ogni altra trasposizione, lo spettatore resta incantato dalla bellissima tragedia, che è un dramma sempre attuale nella sostanza (a prescindere delle uccisioni, ovviamente), ma altrettanto stupore e ammirazione suscitano le interpretazioni degli attori. In primis quella del gigante attore chiamato Denzel Washington, mai, a mio parere, premiato e riconosciuto per il valore che apporta in ogni film, che in questa occasione si esplica anche con diversi momenti di overacting giustificabile e persino utile e necessario. Ogni frase è pesante, è pietra scagliata, è declamata con ardore, in piena azione di scalata al potere e nella fase di autodistruzione e di ineluttabilità, con l’atto finale in cui la regia ci regala una perla allegorica in cui la corona vola via dalla testa di Macbeth dopo il colpo di spada mortale ad opera del fatale avversario, che doveva anche vendicare la strage familiare.

Grandissima regia, straordinarie le idee che l’hanno accompagnata nella scelta delle musiche di Carter Burwell, della fotografia succitata, della scenografia di Stefan Dechant, che ne hanno fatta, nell’insieme, l’ennesima versione apprezzabile, sempre godibile come le tante altre. La scena non è però di totale appannaggio dell’attore protagonista, perché l’altra metà degli elogi va meritatamente ad una superba moglie del regista, Frances McDormand. Una interpretazione alla pari del partner di set, che gli tiene testa in ogni scena, ulteriore dimostrazione di quanto stia continuando a migliorare come attrice in piena maturità artistica e di età. Una coppia eccezionale, per un film che meraviglia per la persistente attualità, un dramma senza tempo dominato da cieca avidità e sconsiderata ambizione. L’ultima, meritata, considerazione da fare è a favore di Kathryn Hunter, che realizza una vera performance anche fisica, incredibile sia da attrice che da acrobata dello scheletro, nera come i corvi che imperversano nelle stanze e nella mente di Macbeth.

Film notevole!


Riconoscimenti

Premio Oscar 2022

Candidatura miglior attore a Denzel Washington

Candidatura migliore fotografia

Candidatura migliore scenografia

Golden Globe 2022

Candidatura miglior attore in un film drammatico a Denzel Washington


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