Madres paralelas
Spagna/Francia 2021 dramma 2h
Regia: Pedro Almodóvar
Sceneggiatura: Pedro Almodóvar
Fotografia: José Luis Alcaine
Montaggio: Teresa Font
Musiche: Alberto Iglesias
Scenografia: Antxón Gómez
Costumi: Paola Torres
Penélope Cruz: Janis
Milena Smit: Ana
Israel Elejalde: Arturo
Aitana Sánchez-Gijón: Teresa
Julieta Serrano: Brígita
Rossy de Palma: Elena
TRAMA: Due donne, Janis e Ana, condividono la stanza di ospedale nella quale stanno per partorire. Sono due donne single, entrambe in una gravidanza non attesa. Janis, di mezza età, non ha rimpianti e nelle ore che precedono il parto esulta di gioia. Ana invece è un’adolescente spaventata, contrita e traumatizzata. Janis tenta di rincuorarla mentre passeggiano tra le corsie dell’ospedale come delle sonnambule. Le poche parole che scambiano in queste ore creeranno un vincolo molto forte tra le due e il fato, nel fare il suo corso, complicherà in maniera clamorosa le vite di entrambe.
Voto 8
Il grande Pedro imbastisce una storia piena di argomenti, tutti trattati con estrema bravura, senza trascurare di rendere esauriente ognuno degli aspetti: la Storia tragica della Spagna franchista, la ferocia dei falangisti che portarono via tanti antenati maschi alle famiglie e poi sepolti in fosse comuni, la maternità vissuta da due donne tanto diverse, la generosità di Janis (strepitosa Penélope Cruz), le disgrazie di uno scambio drammatico, le donne forti e volitive che solo lui sa raccontare, le donne che dominano la sua vita e le sue opere, dalla madre e tutto l’universo femminile che lo ha circondato. Attimi con atmosfere hitchcockiane con un sottofondo musicale degno dei suoi thriller, dipinti da un solo colore predominante: il rosso. Rosso come i mobili della cucina, come il pullover di Janis, come la camicetta di Rossy (!) de Palma, come i libri della libreria, come le vaschette per cucinare, come le cornici dei quadri, il golfino, il tailleur, la lampada sul comodino, rosso come il colore dell’amore (e non importa tra quali sessi) mentre il bianco sventola come una bandiera trionfante con la tenda mossa dal vento mentre Janis concepisce la bambina con Arturo, l’uomo di cui si è innamorata.
La prima parte del film ha un sobbalzo temporale, sovrapponendo due scene simili in cui Janis apre la porta rossa di casa ad Arturo, l’antropologo che è interessato alla sua iniziativa di riaprire il caso delle fosse comuni in cui prevedibilmente sono sepolte le vittime dei rastrellamenti ad opera dei falangisti franchisti: una volta quando lo riceve per parlarne ed organizzarsi, affinché si possano trovare i fondi necessari per le ricerche e gli scavi; la seconda, molto simile, diversi mesi dopo, quando l’uomo vuole finalmente conoscere la bimba che è nata dal loro amore. Arturo non è convinto, osservandola, che sua veramente la loro figlia, avendo tratti somatici molto differenti da loro due. Il sentimento da parte sua non è cambiato ma Janis l’ha voluta fortemente quella figlia e la richiesta di aborto dell’altro l’ha spaventata e allontanata da quello che sembrava l’uomo della vita. Nel frattempo, la sua amica adolescente, conosciuta nella medesima stanza di ospedale, Ana, sta crescendo con impegno e amore la piccola che ha partorito lo stesso giorno. Difficile spiegare il dramma che è successo quel giorno nell’ospedale senza rivelare la scoperta che salterà fuori in seguito, ma è uno dei punti cardini della trama, che è imperniata anche su quel tragico episodio: l’altro è la forte volontà di Janis – che di professione è una importante fotografa di moda per riviste – di portare alla luce la Storia drammatica della Spagna durante il periodo della dittatura del generalissimo Franco. Lei discende da una di quelle tantissime famiglie che videro in quegli anni portar via i loro uomini dalle guardie falangiste senza far più ritorno. Immaginare quelle migliaia di corpi ormai diventati scheletri consumati che non hanno una degna sepoltura non la fa stare in pace, così come succede alle tante altre donne che persero così drammaticamente i loro avi. Per costruire il futuro devi conoscere il passato: è questo il messaggio forte che lancia il film per bocca della protagonista che rimprovera la sua amica Ana di essere rimasta ignorante in materia, di non essersi mai interessata all’argomento.
Lo storia, quindi, si sviluppa in due tronconi. Da una parte quella parallela delle due donne che si conobbero prima di partorire, il ritrovarsi dopo qualche mese e l’aiuto reciproco per far crescere le due bimbe; dall’altra l’impegno di far conoscere compitamente all’opinione pubblica, soprattutto a quella delle nuove generazioni (come Ana), i terribili avvenimenti verificatisi durante la guerra civile (1936/39) ad opera dell’esercito del dittatore. È un compito severo e arduo quello che si è imposto Janis e si rende sempre più conto della necessità di portarlo a termine accorgendosi quanti giovani non ne sanno nulla, facendo seppellire ancora di più, non solo sotto la terra ma anche nella memoria collettiva quegli eccidi e quei poveri resti di contadini ed operai animati da tanta dignità e onestà sociale. E non solo. Perché i padri, i nonni, i bisnonni, anonimi eroi di famiglie, sradicati alle mogli e alle figlie vengano ricordati per sempre e soprattutto riesumati e degnamente sepolti accanto alle loro vedove. Per non dimenticare la cattiveria disumana del fascismo spagnolo. Pedro Almodóvar non manca di scagliare frecce acuminate, anche con dialoghi che solo apparentemente non c’entrano con la Storia e con la società attuale, a favore dell’impegno e del pensiero politico di sinistra e contro la mancanza di presa di posizione da parte di buona parte della popolazione, come succede con Teresa, la madre di Ana, attrice di teatro lanciata verso il successo, suo unico ed egoistico obiettivo di vita, con pochissimo istinto materno: “Tu sei di sinistra?” “No, sono apolitica, il mio scopo è piacere a tutti!”.
Come succede solo nei grandi film, ogni parola ha un peso importante, ogni dialogo della bellissima sceneggiatura scritta dallo stesso regista ha uno scopo ben preciso e nulla è scritto per puro divertimento cinematografico. In fondo, questa è stata una caratteristica preponderante in tutte le opere del Pedro deLa Mancia: mai ha lasciato al caso la scrittura, ha sempre dato importanza ad ogni dialogo sia che si parlasse di amore che di società, sia di rapporti umani che di sesso. E se qualche volta sceglieva la strada della metafora, nel raccontare le ambasce di due belle madri parallele non è andato per il sottile ed è stato molto chiaro ed incisivo. E come sempre ha disegnato le figure femminili con grande maestria, non solo di gran carattere ma anche di notevole femminilità, donando alle attrici bellissimi ruoli, dialoghi significativi e abiti e scenografie degne di nota, sia negli ambienti benestanti della città che in quelli modesti ma dignitosissimi della campagna spagnola, ove vediamo quasi esclusivamente donne. E regala anche un bellissimo senso di generosità, tutta femminile, allorquando la protagonista Janis fa un passo indietro (no spoiler!) sacrificando faticosamente ciò a cui teneva di più in quel momento. Dal punto di vista “coreografico”, commovente è la scena finale in cui, dopo aver scavato nel posto giusto (e chissà in quanti altri si troverebbero i reperti delle stragi) ed estratte le ossa da seppellire, le donne del luogo in primis e tutti gli operai che hanno lavorato, compreso il ritornato Arturo, si sdraiano nella fossa con le medesime posizioni dei desaparecidos: la camera da presa si alza per una piccola panoramica sui vivi che ricordano gli antenati. Emozionante! Adesso siamo lontani dal frastuono di Madrid, dagli appartamenti eleganti dei viali centrali, dalla moda fotografata da Janis, dalla Summertime della Joplin che ha dato il nome al personaggio di Penélope Cruz.
“Alla fine è la voce umana a risanare, perché la Storia non si può zittire.”
Eduardo Galeano
È più di una sensazione, ho proprio la convinzione che questo maturo Pedro Almodóvar, certamente diverso da quello dei grandi successi mondiali firmati in gioventù, stia girando i migliori film della sua lunga carriera: film più pacati e riflessivi, che guardano sì ad un cerchio ristretto di personaggi ma che rimandano ad argomenti di interesse generale, con uno sguardo d’autore persino migliorato. Efficaci piani-sequenze seguono i primi piani sul viso delle donne, anche quando vediamo Penélope Cruz del tutto struccata nei momenti della sala travaglio, osservata dai grandi occhi da cerbiatto di Milena Smit, giovane attrice spagnola che ha convinto i giudici del Premio Goya candidandola come coprotagonista, mentre, ça va sans dire, la fantastica Penélope ha vinto la Coppa Volpi a Venezia 2021. È stato meraviglioso vederla all’opera così impegnata e immersa nel ruolo! E se Rossy de Palma ha fatto in pratica se stessa, come quasi sempre, chi mi ha destato curiosità è l’Arturo, interpretato da Israel Elejalde che pare il fratello minore di Javier Bardem, tanto si rassomiglia nell’espressione, viso, barba, tranne ovviamente nel peso. Dal suo canto, Aitana Sánchez-Gijón se la cava egregiamente ed elegantemente con la sua Teresa, la madre assente/poi-presente della giovane Ana. Curatissime come d’abitudine le ambientazioni, come gli abiti delle donne (e ci mancherebbe), splendido il commento musicale del solito Alberto Iglesias mai invadente e sempre appropriato, con punte di accenni mistery che accompagna i momenti in cui il thriller psicologico riguardante le due neonate si affaccia prepotente, alla maniera hitchcockiana.
Pedro Almodóvar è in stato di grazia e questo film - che innegabilmente è un mélo anche politico, un’orchestrazione al femminile che incrocia la strada di due mamme single paralelas, di coincidenze e di segreti, dilemmi, di riconoscimenti e disconoscimenti, di accertamenti di DNA - ne è la conferma, trasformando la sua magnifica mania cinefila in impegno sociale. È tra i pochissimi al mondo capace di mettere a confronto, mai astioso, le diverse generazioni di donne di tempi diversi, di ogni qualsiasi estrazione sociale, provenienza, età. A cui basta incontrarsi, guardarsi e magari abbracciarsi (e in questo film gli abbracci ci sono), senza evitare che qualche volta lo scontro diventi necessario per chiarirsi. Ma tutto questo, nell’occasione, serve solo a ricondurre i due tronconi della trama ad una sola via maestra: la testarda determinazione con cui Janis/Penelope Cruz vuole portare alla luce la fossa comune del suo paese d’origine, dove riesce a riunire tutte le sue donne. Dando anche alla strepitosa Penélope Cruz la grande occasione per i premi più ambiti dell’anno. Che sono arrivati e potrebbero ancora arrivare.
Pensavo che sarebbe stato un bel film, ma il grande regista è andato oltre le attese. Applausi!
Riconoscimenti
2022 – Premio Oscar
Candidatura per la miglior attrice protagonista a Penélope Cruz
Candidatura per la miglior colonna sonora
2022 – Golden Globe
Candidatura per il miglior film straniero
Candidatura per la migliore colonna sonora originale
2022 – Premio BAFTA
Candidatura per il miglior film non in lingua inglese
2021 – Festival del cinema di Venezia
Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Penélope Cruz
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