Maelström (2000)
- michemar
- 10 gen 2022
- Tempo di lettura: 5 min

Maelström
Canada 2000 dramma 1h27’
Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura: Denis Villeneuve
Fotografia: André Turpin
Montaggio: Richard Comeau
Musiche: Pierre Desrochers
Scenografia: Sylvain Gingras
Costumi: Denis Sperdouklis
Marie-Josée Croze: Bibiane Champagne
Jean-Nicolas Verreault: Evian
Stéphanie Morgenstern: Claire Gunderson
Pierre Lebeau (voce): il pesce
Klimbo: Annstein Karlsen
John Dunn-Hill: pescatore
Marc Gélinas: uomo nellametropolitana e bar
Bobby Beshro: Philippe Champagne
Marie-France Lambert: Marie-Jeanne Sirois
Virginie Dubois: Sara
TRAMA: Una sera Bibiane, di ritorno da una festa dove ha bevuto troppo, investe un uomo ma ubriaca com'è non si ferma e torna a casa, rendendosi conto dell'accaduto solo al mattino dopo. A quel punto comincia ad affrontare i sensi di colpa indecisa sul da farsi, finché un giorno, su un quotidiano, trova il nome dell'uomo e decide di andare a chiedere informazioni all'obitorio.
Voto 6,5

Una vita a rincorrere i due film precedenti di Denis Villeneuve prima che lo scoprissi e cominciassi ad amarlo totalmente con la visione epifanica de La donna che canta, il film che mi ha aperto gli occhi su quello che ritengo il più grande regista vivente, uno dei più importanti tra i contemporanei. Tra l’altro, quello che erroneamente viene ritenuto il migliore nel genere fantascientifico, dal momento che invece, secondo me, ha firmato opere che non fanno parte di quel genere e che rientrano di diritto tra i migliori film dell’ultimo decennio, a partire proprio da quello appena citato. Mi incuriosiva molto il film per capire come si muoveva un decennio fa, cosa aveva in mente come cineasta del suo futuro quando cercava, come tanti esordienti, di aprirsi una carriera come regista e sceneggiatore. Altro segnale importante è che già da allora scriveva da sé il copione, sintomo del fatto che non aveva necessità di ricorrere ad altri ma aveva idee chiare di ciò che aveva voglia di raccontare. Ed eccomi allora nel recupero della sua seconda opera, tutta canadese e con precisione interamente québécoise, essendo nato lui a Trois-Rivières e i due attori protagonisti, Marie-Josée Croze e Jean-Nicolas Verreault, a Montréal e Québec City, così come buona parte del cast. Siamo cioè nella terra di origine in cui tutti conoscono l’ambiente e la mentalità. Particolare che forse conta pure poco, in quanto il soggetto di Villeneuve è del tutto fuori dai registri più diffusi e più sfruttati, tanto da far scrivere alla critica italiana del tempo o di poco dopo che il regista aveva velleità presuntuose, con un film che voleva sembrare subito autoriale e di grandi ambizioni. Giudizio che mi trova solo parzialmente d’accordo perché se indubbiamente ho avuto l’impressione che il regista abbia cercato una tecnica di narrazione piuttosto ambiziosa, conoscendo oggi il suo valore capisco che invece era già nelle sue già grandi possibilità.

Ci si accorge peraltro e ben presto, nella visione, del suo essere ancora acerbo, non ancora maturo con i suoi soli 33 anni, ma le idee innovative si possono di certo notare. Sceglie inizialmente una narrazione alquanto didascalica, tramite la voce di un grosso pesce che giace sul bancone mentre l’operaio di una pescheria lo fa a pezzi per fornire il ristorante orientale della città. Il pescione (una specie di enorme scorfano) spiega filosoficamente quello che sta per succedere e sentenzia sugli accadimenti umani, voce che si riaffaccia più volte nel corso della visione. La situazione che lui ci illustra e che si sta creando è quella della protagonista Bibiane (una espressiva e intensa Marie-Josée Croze) che è in profonda crisi esistenziale avendo scelto di abortire dopo essere rimasta incinta da un uomo che sparisce ben presto di scena e solo la sua amica più intima Claire la esorta a reagire e a non pensarci più di tanto, avendo già lei fatto tre volte quella esperienza. In più il fratello, manager della catena di negozi di abbigliamento di cui lei gestisce uno dei negozi, la esonera dai compiti per aver commesso troppi errori di gestione: è distratta, non si concentra sul lavoro, sbaglia gli acquisti, si assenta spesso. Quando, dopo una conseguente serata alcolica passata in un locale con l’amica, torna a casa poco lucida e inavvertitamente investe con l’auto un uomo che si rivela essere proprio quell’addetto della pescheria. Quando alcuni giorni dopo legge dai giornali il nome dell’uomo trovato morto in casa dalla polizia, luogo in cui si era trascinato dopo essere stato travolto, si reca presso l’obitorio per capire chi fosse: lì viene in contatto con il figlio del defunto che è giunto appositamente dalla Norvegia, patria dei due, per ritirare l’urna delle ceneri. È in un tale stato depressivo che tenta anche il suicidio ma, come declama il pesce sul tavolo, se superi questa prova vuol dire che sei destinata a vivere.

Dietro l’insistenza del giovanotto, Evian, la donna accetta di prendere un caffè assieme, mai ammettendo, perlomeno subito, di essere stata la causa della morte del padre. Qui l’esposizione si fa più ellittica, con una trama condotta ad incastro, tra la storia tra i due che si fa più impegnativa e l’imminenza della ripartenza del norvegese, tra la raccolta e la pulizia degli effetti personali del morto e la voglia da parte di Bibiane di rivelare la verità e alleggerire il cuore del terribile segreto. Ora il loro rapporto, a prescindere dal ritorno a casa del giovane, può terminare traumaticamente oppure diventare una cosa seria e riunirli chissà dove, in Canada o meglio ancora in Norvegia, lì dove lei può ricominciare una nuova vita, attratta dal vero amore e dalla chiusura con i travagli che sta vivendo.

Denis Villeneuve, in questa sua seconda pellicola, lavora su una trama esposta con simbolismi e buio dell’animo, mettendo in evidenza contraddizioni e ripensamenti, tentennamenti e voglia di rinnovarsi, mentre Evian è perplesso ma anche innamorato, con molta voglia di proteggere quella donna che pare immediatamente fragile come un delicato oggetto di cristallo. Ed ecco allora l’acqua più volte inquadrata con i suoi vortici (Maelström) – del mare, della diga in cui lei si è buttata con l’auto in cerca della morte, delle onde -, i pesci narranti, i polpi come cena rituale e oggetto del litigio tra il ristoratore e il pescatore per via della qualità scadente, i marinai, la placenta risucchiata dal tubo chirurgico del ginecologo. È anche la dimostrazione lampante che è il destino che governa le coincidenze, un po’ come succede in Sliding Doors o nei film coloratissimi di Jean-Pierre Jeunet, in cui accade di tutto. Bibiane doveva incontrare l’uomo della vita nella maniera più impensabile dopo una serie di fatti quasi ingovernabili.

Non è un film memorabile ma resta interessante, diverso dai soliti schemi, è soprattutto importante per studiare gli esordi di un regista che è diventato fondamentale nel cinema moderno: Denis Villeneuve è quello che dopo il memorabile La donna che canta - che ha sbalordito tutti i festival a cui ha partecipato (e prima c’era stato l’interessantissimo Polytechnique) - è stato capace di produrre pilastri come Prisoners, Enemy e Sicario, prima di dedicarsi come nessuno nella fantascienza più visionaria: Arrival, Blade Runner 2049 e Dune sono capolavori che non ci si stanca mai di guardare. E questo film era solo l’inizio di una carriera fulgida. In questa occasione la regia è attenta e preferisce dedicare insistenti primissimi piani alla protagonista, Marie-Josée Croze, che è brava e bella, pienamente dentro al personaggio: il regista la fotografa da vicino per far emergere dal suo viso tutti i tormenti, i dubbi, il Maelström - cioè il vortice, il gorgo causato dalla marea che entra con prepotenza in passaggi molto stretti e non riesce a fluire agevolmente -, e ancora, prima la voglia di lasciarsi andare e poi quella di recuperare le occasioni perse con lo straniero di cui si è innamorata. L’attrice era al suo quinto film, a cui dopo seguiranno molti successi marcati Francia, tra i quali ho molto apprezzato, appunto, Non dirlo a nessuno. Jean-Nicolas Verreault è un attore di cui non ho notizie se non che lavori parecchio in serie TV canadesi. Il pesce credo sia stato ormai cucinato.
Film da vedere per il percorso artistico del grandissimo Denis Villeneuve.
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