Memento (2000)
- michemar
- 13 nov 2022
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 11 giu 2023

Memento
USA 2000 thriller 1h53’
Regia: Christopher Nolan
Soggetto: Jonathan Nolan (Memento Mori)
Sceneggiatura: Christopher Nolan
Fotografia: Wally Pfister
Montaggio: Dody Dorn
Musiche: David Julyan
Scenografia: Patti Podesta
Costumi: Cindy Evans
Guy Pearce: Leonard Shelby
Carrie-Anne Moss: Natalie
Joe Pantoliano: Teddy Gammell
Mark Boone Junior: Burt Hadley
Jorja Fox: Catherine Shelby
Stephen Tobolowsky: Sammy Jankis
Harriet Sansom Harris: signora Jankis
Callum Keith Rennie: Dodd
TRAMA: Leonard Shelby ha un'unica missione nella vita: rintracciare e punire l'uomo che ha violentato e ucciso sua moglie. La difficoltà nel rintracciare l'assassino di sua moglie è aggravata dal fatto che Leonard soffre di una rara, incurabile forma di perdita della memoria.
Voto 7,5

In seguito a un attacco subito da due uomini con il volto coperto, che avevano stuprato e ucciso la moglie, Leonard Shelby è affetto da un disturbo della memoria breve e non è quindi in grado di immagazzinare nuove informazioni per più di qualche minuto. Per cercare di sopperire a questa mancanza cerca di scrivere e prendere appunti il più possibile su post-it, foto e perfino sulla propria pelle. Il suo corpo è infatti ricoperto da numerosi tatuaggi che gli forniscono indicazioni su cosa è successo e cosa dovrà fare.
Il suo film d'esordio, l'intricato noir in bianco e nero Following, è datato 1998. Ma la rivelazione fu questo film, scritto e diretto a meno di trent'anni nel 2000, facendo diventare Christopher Nolan uno dei registi guida degli ultimi decenni di cinema, abilissimo nel capire le esigenze del grande pubblico ma ambizioso a sufficienza per proporsi sfide sempre più colossali, consapevole del grande rischio che più l'asticella si alza più è facile sprofondare nell'abisso dell'improbabile e del ridicolo. Un abisso da cui Nolan si è sempre tenuto alla larga, governando con mano saldissima, chiarezza e ritmo folle anche le trame più contorte, come quella che domina nell’opera più complicata che si possa ricordare, Tenet, follemente costruita come un meccanismo tanto preciso quanto inaccessibile senza una guida che ne spieghi i mille risvolti.

Assurto giustamente a film di culto nel corso degli anni, il film si fa ricordare per la sua incredibile struttura a incastro con i due estremi che convergono fino alla rivelazione. Nolan regala un appiglio agli spettatori più attenti per arrivare prima degli altri, ma è un appiglio piccolissimo, brevissimo, lungo appena qualche fotogramma. Verso la fine del film, durante il racconto al telefono di Lenny in uno degli ultimi inserti in bianco e nero, troviamo il paziente Sammy Jankis in ospedale dopo aver causato la morte di sua moglie, quando un infermiere gli passa davanti. Non esiste film al mondo come questo in cui si rimpiange l’assenza dell’ordine cronologico che avrebbe facilitato la lettura della trama ma ne avrebbe fatto un’opera sicuramente non memorabile come invece è. Persino una versione in home theatre contiene un perverso gioco attitudinale in cui, su un menu di 24 icone, solo sei danno accesso a una sottosezione. Poi bisogna rispondere a un secondo test psico-attitudinale, sul modello di quelli a cui viene sottoposto il povero Sammy Jankis durante il film, per avere accesso a una speciale versione del film montata in ordine cronologico, ma senza la possibilità di fare rewind o fast-forward. La costruzione del film sarà pure diabolica ma il gioco del disco casalingo lo è di più, maledetto Nolan! Ed anche sul set non fu semplice la recitazione per il protagonista interpretato da Guy Pearce, il quale, anni dopo, raccontò come il regista lo obbligasse in ogni ciak a dimenticare quello che sapeva del copione (quello che era già successo e quello che doveva ancora accadere) per essere pienamente immerso nel personaggio che viveva continuamente nella bolla di memoria che durava solo 10 minuti.

Vabbè, si potrebbe dire, questo non è stato certo il primo film a scomporre e sezionare una storia in flashback e flashforward (da Rapina a mano armata del Maestro Kubrick in giù, se ne potrebbero scrivere volumi) e non è stato nemmeno il primo noir a mettere al centro della scena un antieroe disturbato, ben lontano dallo stereotipo del cavaliere senza macchia e senza paura. E non è stato neanche il primo thriller a provocare esplicitamente lo spettatore, mirando a confonderlo per poi infilzarlo con un finale a effetto (il capostipite del genere, almeno per quanto riguarda i tempi recenti, è indubbiamente I soliti sospetti). Però questo è stato tutte queste cose insieme: un gioco intelligente – e anche un po' delirante – che ci accompagna nell'abisso psichico e fisico di un uomo perduto, cui è rimasta una sola ragione di vita che sconfina nell'ossessione. L'asso nella manica sta naturalmente nella sua scrittura: non semplicemente una vicenda lineare complicata da un montaggio non cronologico, ma un thriller concepito al contrario, già pensato in quel modo in fase di scrittura, in modo tale da piazzare il colpo di scena a metà storia. E se ogni spiegazione e aiuto paiono a primo colpo troppo contorti, forse – e sottolineo forse – può venire incontro il grafico pubblicato dal professore universitario Steve Aprahamian, che mette a confronto lo svolgimento della trama in ordine cronologico con il modo in cui è montata nel film.

Le trovate geniali di Nolan sono tante. Una consiste nel corpo di Guy Pearce – che per girare questo film si sottopose a una drastica cura dimagrante – usato come bloc-notes ricolmo di fatti utili alla causa. Il regista ricorda allo spettatore queste informazioni centellinandole con sapienza, ripetendocele ogni tanto ma senza insistere più di tanto. Certo, è necessaria una buona dose di sospensione dell'incredulità per capire come faccia Lenny – la cui memoria breve si resetta ogni tot minuti – a riprendere subito il filo del discorso anche quando è vestito e non ha uno specchio a portata di mano. Un'altra trovata molto brillante che Nolan utilizza per aiutare lo spettatore a orientarsi in un montaggio così contorto è l'alternanza di scene a colori e in bianco e nero: i due piani narrativi procedono avvicinandosi tra di loro lungo tutto il film, fino a unirsi nella scena finale. E se alcune sequenze di Tenet hanno meravigliato per essere state proiettate sullo schermo con movimento all’incontrario, in questo film c'è qualcosa di molto simile nella scena sui titoli di testa, quando la mano del protagonista agita la foto della Polaroid ma ottiene l'effetto contrario a quello previsto sbiancandosi e riavvolgendosi nella macchina fotografica. Sono solo alcuni esempi.

Lo spettatore potrebbe chiedersi il perché di tanta audacia narrativa e di tale meccanismo astruso e machiavellico, vero, ma ripensandoci non è un gioco dell’autore contro il pubblico, piuttosto sembra un gioco da sviluppare assieme al pubblico, che deve necessariamente accettare la sfida e utilizzare il film come uno strumento di un’esperienza interattiva e giungere così alla conclusione – non della trama, è solo un mezzo - della prova indiscutibile della tesi di fondo: cioè che il vero è un’illusione, che la mente è inaffidabile, che l’identità è solo ciò che pensiamo che sia, che il reale è inafferrabile e dipende molto dalla memoria che riusciamo a sfruttare. Non capita a tutti di ricordare tante cose della vita e dimenticare altri particolari che magari sono stati più importanti di quelli che sono rimasti fissati nella mente?
E comunque ognuno di noi può avere un giudizio sul film – che è geniale, a prescindere - differente dagli altri più che in ogni altro film, perché se non si restasse coinvolti e affascinati verrebbe da dire che è “una cagata pazzesca”. E sarebbe comprensibile. In più, se questo secondo film di Nolan sembra complicato, il più volte citato Tenet resta senz’altro il più difficile, fino al punto che io stesso sono ricorso ad un breve manuale per trovare spiegazioni, che trovate qui.

Scrittura straordinaria, proprio per la sua complessità, film culto di grandissimo fascino, regia impeccabile, recitazione al totale servizio e dedizione alla causa, con un eccellente Guy Pearce ed una bellissima Carrie-Anne Moss dallo sguardo magnetico. Anche a rivederlo per l’ennesima volta è sempre come la prima, perché non si può guardarlo pensando ad altro, e perché bisogna osservare attentamente. Come diceva Sherlock Holmes (quello vero!), Osservare, Concatenare, Dedurre.
Riconoscimenti
2002 - Premio Oscar
Candidatura alla migliore sceneggiatura originale
Candidatura al miglior montaggio
2002 - Golden Globe
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