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Misericordia (2023)

Misericordia

Italia 2023 dramma 1h35’

 

Regia: Emma Dante

Soggetto: Emma Dante (pièce)

Sceneggiatura: Emma Dante, Elena Stancanelli, Giorgio Vasta

Fotografia: Clarissa Cappellani

Montaggio: Benni Atria

Musiche: Gianluca Porcu

Scenografia: Emita Frigato

Costumi: Vanessa Sannino

 

Simone Zambelli: Arturo

Simona Malato: Betta

Tiziana Cuticchio: Nuccia

Milena Catalano: Anna

Fabrizio Ferracane: Polifemo

Carmine Maringola: Enzo

Sandro Maria Campagna: uomo montone

Marika Pugliatti: Daniela

Georgia Lorusso: Lucia

Rosaria Pandolfo: Rosaria

 

TRAMA: In un complesso fatiscente di baracche a ridosso sul mare, da qualche parte in una Sicilia onirica, un gruppo di prostitute conducono una vita degradata insieme ad Arturo, un ragazzo con disturbi psichici e fisici.

 

Voto 7



Scrivi misericordia, leggi miseria. E talvolta, peccato non più spesso, nella miseria si può trovare la misericordia, umana o divina. Che potrebbe significare rinascita o almeno comprensione e aiuto. A volte, troppo spesso, da quella miseria sai che non ce la farai mai ad uscire e subentra rassegnazione, sperando che, se non altro, potrà avere più fortuna la persona cara che accudisci. Intanto ci si adatta, si continua a vivere, a sopravvivere con quello che c’è o che può arrivare.



In quel pezzo di terra, sospeso come un limbo tra la montagna rocciosa che frana e il mare, nel degrado ambientale e morale che più non si può, vivono alcune donne che alternano il lavoro alla maglia e la prostituzione, unica fonte di un piccolo guadagno. Con loro, accudito come un bimbo bisognoso, vive Arturo, un giovanotto “difettoso” fisicamente e psichicamente, partorito da una di queste appena prima di essere uccisa a botte dal loro protettore, Polifemo, guercio violento e volubile che fa da padrone assoluto, dettando i tempi e le circostanze. Tra le catapecchie senza bagno e con l’acqua che penetra dai muri e dal pavimento, attorniate dai rifiuti della vita quotidiana e da resti di strutture chissà come mai capitate lì, vivono le donne che cucinano, litigano, si aiutano, mandano i loro piccoli a riempire le bottiglie di acqua dalla sorgente. E nell’arco dell’intera giornata, giorno e notte, badano amorevolmente a quel giovanotto che si comporta come un bimbetto: non parla, fa le giravolte, porta il pannolone, corre con i ragazzini, va calmato nei momenti di crisi epilettiche, è sonnambulo, va lavato nelle parti intime per un minimo di igiene, gira anche nudo completamente tra le case.



Non c’è vita se non le visite dei clienti o del magnaccia che le carica su un pickup per portarle a prestarsi in qualche luogo, o per portare rifornimenti. La vita non è che si trascini avanti, è più semplicemente tutta qui, senza passato e senza futuro. L’unico rammarico delle due donne che accudiscono Arturo, che sono Betta e Nuccia a cui si aggiungerà la giovane Anna, è non potergli dare di più, ma non gli fanno mancare affetto, protezione, comprensione. Misericordia? Forse. Di certo lo fanno in nome della madre picchiata a morte che Emma Dante ci mostra come un incanto scivolare già nella verde acqua del mare, su un fondale che fa da sepolcro. C’è anche il pastore di vello vestito ed Enzo che cerca di riparare l’irreparabile. La vita è tutta qui.



In questo universo oscillante tra realtà e fantasia, la regista drammaturga ci mostra a ripetizione la vita quotidiana, fatta di gesti e azioni senza variazioni, giorno dopo giorno, inducendo lo spettatore a chiedersi cosa mai stia guardando o se stia perdendo tempo. Ed invece il film conquista piano piano anche nella sua ripetitività e semplicità, con la speranza che qualcosa migliori, che le donne siano liberate dalla schiavitù e che Arturo trovi pace nella sua esistenza non goduta. Non c’è una vera trama, è solo una giornata dietro l’altra, un pasto frugale o la misera soddisfazione di completare una coperta di lana per il giovane cresciuto solo fisicamente. Siamo in un ambiente fortemente patriarcale dove gli uomini decidono come trattare le donne e i deboli come lui, che addirittura Polifemo vorrebbe uccidere per eliminare un fastidio. L’unico elemento femminile preponderante è quello naturale e minaccioso, è la montagna che li sovrasta e li spaventa, in cui la bianca cava serve al giovane come un luogo dove sentirsi libero di ballare una sua danza primordiale. Tra le rocce del mare era stato abbandonato e ritrovato, e nella pietra trova un habitat naturale. Una montagna che è stata utero, che urla frane come un coro da tragedia greca, ma che rinnova il legame primordiale tra Terra e creature.



Se è Betta quella che si occupa maggiormente del benessere di Arturo, è Nuccia quella che spera sempre una sistemazione migliore altrove per lui: mica per niente, solo per vederlo accudito nel posto giusto, per la sua felicità. E quando, come per miracolo, un’auto lo viene a prendere, finalmente lo vediamo rasserenato, con il viso senza smorfie, come un giovane qualsiasi della sua età, a bordo di una macchina sulla cui portiera c’è la scritta Misericordia. Sembra felice, anche se sta lasciando alle spalle persone che gli hanno donato il vero Amore senza ricompensa, senza nulla chiedere se non la sua pace.



Uscito nello stesso periodo di La chimera, il film ha avuto le stesse difficoltà di distribuzione, rifiutato o cancellato dalle sale, ma entrambi hanno ricevuto enormi consensi di critica e la rivincita nell’apprezzamento di chi ha voluto dedicare la meritata attenzione. Lodevoli le interpretazioni, in primis dell’ottimo Simone Zambelli, danzatore, protagonista della stessa opera a teatro, il quale ha saputo superare le enormi difficoltà nel recitare un Arturo difficilissimo da rendere attendibile e per questo premiato a Tallinn, nel cui Festival il film è stato premiato come il migliore. Fantastiche anche Simona Malato (già vista in Le sorelle Macaluso) e Tiziana Cuticchio, quest’ultima coraggiosa nell’esporre la nudità della sua esuberante abbondanza. Davvero brave nella esibizione di donne forti e sottomesse, litigiose e amorevoli. Polifemo è sulle spalle sicure di Fabrizio Ferracane, il che vuol dire non sbagliare scelta, attore indiscutibile.



La regia di Emma Dante è esemplare, viscerale come il suo riconosciuto teatro, sapendolo adattare agli spazi e alla luce del mezzo cinematografico, descrivendo la parabola sull’abbraccio inestricabile di vita e morte e sul tempo che scorre influenzando corpi e destini. Tra i suoi tre film, questo e il più costruito fra contrasti sociali, più che mai: odio e tenerezza, miseria e gioco, rifiuto del patriarcato e vitalità femminile e materna.

Film da vedere con gli occhi e la mente.



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