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Napoli – New York (2024)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 17 ore fa
  • Tempo di lettura: 7 min

Napoli – New York

Italia 2024 commedia drammatica 2h4’

 

Regia: Gabriele Salvatores

Soggetto: Federico Fellini, Tullio Pinelli

Sceneggiatura: Gabriele Salvatores

Fotografia: Diego Indraccolo

Montaggio: Julien Panzarasa

Musiche: Federico De’ Robertis

Scenografia: Rita Rabassini

Costumi: Patrizia Chericoni

 

Dea Lanzaro: Celestina Scognamiglio

Antonio Guerra: Carmine

Pierfrancesco Favino: Domenico Garofalo

Anna Ammirati: Anna Garofalo

Omar Benson Miller: George

Anna Lucia Pierro: Agnese Scognamiglio

Tomas Arana: capitano

Antonio Catania: Joe Agrillo

 

TRAMA: Nell’immediato dopoguerra, tra le macerie di una Napoli piegata dalla miseria, i piccoli Carmine e Celestina tentano di sopravvivere come possono, aiutandosi a vicenda. Una notte, s’imbarcano casualmente come clandestini su una nave diretta a New York per andare a cercare Agnese, la sorella di Celestina emigrata anni prima.

 

VOTO 6,5



Se uno spettatore si accinge, come è capitato a me, a vedere l’ultimo film di Gabriele Salvatores senza conoscere nulla al proposito, immagina in un primo momento di stare a guardare un fantasy per bambini, un’opera avventurosa i cui protagonisti sono due fanciulli. Forse lo è anche, ma via via che scorrono le immagini e informandosi delle origini del soggetto, ci si accorge che è altro, che è un racconto di sopravvivenza, di riscatto e di formazione, il tutto svolto come un’avventura raccontata con il tono della fiaba on the road, che diventa addirittura on the sea, se non addirittura on the ocean, dato che una parte consistente si svolge su un transatlantico che solca l’Oceano Atlantico per trasportare viaggiatori benestanti che si spostano per piacere e tanti migranti italiani poverissimi e non ben messi in salute che sperano di trovare un futuro nella prosperosa America, quella dei sogni. Andando più a fondo nelle informazioni di base, si scopre perfino che il soggetto è uno scritto firmato Tullio Pinelli e Federico Fellini datato 1948 ma dimenticato chissà dove, e a questo punto si intuisce anche il motivo del tono da favola che predomina la stesura e lo svolgimento del film: quello spirito fanciullesco che abbiamo sempre notato nell’animo di Fellini e del suo fedele drammaturgo, sceneggiatore e coautore Pinelli, che viene trasportato con diligenza e intelligenza dal regista milanese, napoletano di nascita.



Siamo nella Napoli del 1949, quattro anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando la città è ancora piegata dalla miseria e un formicaio di esseri umani vivono tra le rovine e si dibattono nel tentativo di sopravvivere. Tra questi, i piccoli Celestina e Carmine (Dea Lanzaro e Antonio Guerra). Lei ha perso la zia, sua ultima parente, nel crollo dell’edificio venuto giù per l’esplosione di una bomba inesplosa. Se è un’abilissima fornitrice di carte vincenti nel gioco del mazzetto nascoste all’interno del cappottino, lui è uno scugnizzo vivace e sveglio, costantemente in cerca di qualche americano a cui spillare denaro, pronto a vendere sigarette di contrabbando, fatte eventualmente anche di segatura. Lei lo conosce da tempo e quando resta senza parenti e senza casa, pensa bene di andare a rifugiarsi nella tana in cui vive l’altro, il quale, nel frattempo, sta cercando di concludere un affare con il cuoco di colore di una nave ancorata al largo pronta a partire per gli Stati Uniti. Celestina ho solo un sogno: andare in America verso cui la sorella più grande Agnese è partita anni prima per andare a sposare l’americano che le ha promesso il matrimonio. Ora non ha idea di come cercarla ma il sogno resta.



Per un contrattempo degno di una commedia anni ‘60, i due si ritrovano a bordo mentre sta salpando e così diventano passeggeri involontari e clandestini. Allora non resta che nascondersi a bordo, anche con l’aiuto dei tanti italiani migranti sistemati sottocoperta e senza soldi. Inevitabile a questo punto che prima o poi vengano scoperti dal commissario italiano della nave Domenico Garofalo (Pierfrancesco Favino), uno dei pochi che ce l’ha fatta, nel senso che è ormai un americano a tutti gli effetti, vive a New York con la moglie in una bella e grande casa. Scoperti sì ma accolti dall’uomo e poi aiutati a sbarcare con un sotterfugio escogitato dal cuoco George. L’avventura è appena cominciata e ne succederanno di ogni colore.



Se, come ammesso dal regista, la prima parte è l’elaborazione del trattato Fellini-Pinelli, da questo momento in poi è Salvatores che sviluppa la sua sceneggiatura autonoma e la fiaba avventurosa e ricca di colpi scena prende il volo, con risvolti imprevedibili, soprattutto dovuti al fatto che i due, una volta sbarcati in un mondo a loro sconosciuto ma non per questo spaventati – è evidente come i due siano intraprendenti fino all’incoscienza – hanno solo un piano minimo per rintracciare l’Agnese che nessuno conosce nel quartiere di Little Italy. Gli immigrati italiani conoscono vagamente la storia della ragazza e del suo ipotetico fidanzato ma ciò non è sufficiente per riuscire in quell’impresa impossibile in una metropoli come New York. Gli altri imprevisti sono in primis la scoperta delle condizioni assurde di Agnese e poi la, per loro, incosciente scoperta del sempre presente razzismo che condiziona la vita degli immigrati e degli italiani in particolare. Per gli americani, loro non sono bianchi, sono semplicemente italiani, una razza quasi africana, di colore differente, puzzano e non si cambiano neanche quando si lavano. Faranno pure tenerezza i due bambini sbandati, ma sono da tenere da parte.



È il tempo del massimo fulgore dell’arte del neorealismo e Salvatores non evita di omaggiarlo tramite sia lo stile con cui racconta le peripezie di Celestina e Carmine, sia con citazioni dei film che arrivano in America, dove nelle sale proiettano Sciuscià. Inoltre, richiama atmosfere conosciute con inquadrature che ricordano C’era una volta in America e La leggenda del pianista sull’oceano, la devozione degli italoamericani per la processione del busto di San Gennaro (vedi Il Padrino), l’accenno alle mai dimenticate origini che questi portano sempre nel cuore, a cominciare proprio dal commissario di bordo Garofalo, che nel frattempo ha accolto in casa i due piccoli e comincia a immaginare un futuro di una famiglia a quattro. Un fantasy ma anche una malinconica commedia all’italiana condita dai simpatici comportamenti istintivi degli inarrendevoli ragazzini, dalla compartecipazione degli immigrati e delle tante cittadine americane che sfruttano la vicenda di Agnese per i diritti egualitari delle donne. La tragedia è a un passo ma è la commedia che guida il film, persino con una piccola storia d’amore in miniatura che condizionerà l’inevitabile finale felice, una scena degna della migliore commedia all’italiana, condita dalla furbizia che ha caratterizzato il comportamento di Celestina, sempre protetta dall’affezionato Carmine.



Una trama raccontata con il consueto sorriso che accompagna il percorso artistico di Gabriele Salvatores, che ancora una volta affronta una storia di fuga, tema a lui sempre caro. È un racconto popolare che non disdegna di parlare di migrazioni, di razzismo, del futuro di chi parte svantaggiato, degli argomenti morali. Come anche di solidarietà, della durezza della condizione, sempre attuale allora come oggi, della condizione di immigrato, ma con leggerezza, mai con tono da dramma vero, con lo spirito partenopeo che fa sorridere anche quando la situazione pare peggiorare. Ed invece, con la spontaneità e l’arguzia napoletana si viene fuori da ogni situazione scomoda, anche con l’inventiva e con la “bona sciorta” la scappatoia si trova comunque.



Dea Lazzaro e Antonio Guerra sono simpaticissimi e sanno dare accenti di brillantezza ai loro ruoli, forse un po’ troppo caricati di una eccessiva scioltezza nei dialoghi – a tratti da adulti – ma hanno il merito di entrare immediatamente in empatia col il pubblico, così come succede nella trama quando i grandi li vogliono punire o bloccare, finendo invece per aiutarli e ad accoglierli. Pierfrancesco Favino è ancora a suo perfetto agio in un personaggio adatto a lui (o è lui che sa sempre adattarsi) e ci offre una bellissima prova dall’alto della sua ben riconosciuta polivalenza. Anna Ammirati è la moglie Anna, attrice che naviga con sicurezza in questo tipo di ruoli. Simpatico e arrembante come sempre il bravo Antonio Catania.



Il racconto è organizzato in più fasi partendo dalla miseria postbellica e dagli espedienti per cavarsela, passando per la traversata oceanica, poi le prime scorribande tra le strade metropolitane, il ritrovamento disarmante di Agnese, la parte del dibattito in tribunale, la proposta familiare. E, anche se si può parlare di realismo magico, la storia non contiene gli elementi surreali e onirici che hanno caratterizzato la produzione successiva di Fellini, scritta in un momento di passaggio per il nostro cinema tra il neorealismo, la commedia all’italiana e i primi tentativi di un cinema più fantastico. Potrà ovviamente sembrare un racconto non realistico ma è indubbiamente legato alla realtà e quindi risulta verosimile, almeno per quei tempi. Ha un sapore di antico ma ha stilemi di cinema moderno.



La storia del soggetto è, come accennato, abbastanza particolare. Racconta il regista: “Già solo il fatto di essere venuto in possesso di una storia scritta da Federico Fellini e Tullio Pinelli, di cui si sapeva poco o niente, mi è sembrato meraviglioso. Quando poi ho letto questo trattamento-sceneggiatura la meraviglia è diventata desiderio e spinta creativa. È una bellissima storia ambientata alla fine degli anni ‘40 a Napoli, poi su un piroscafo in viaggio per New York e infine nella grande metropoli americana. Il viaggio, l’altrove, la solidarietà sono temi che ho spesso trattato nei miei film. Ho anche spesso lavorato con i bambini ed è una cosa che mi ha sempre dato gioia. I bambini non recitano, vivono davvero quello che stanno facendo in un gioco molto serio. Mi sono trovato davanti a una storia avventurosa, divertente, commovente che ci racconta, tra l’altro, come una volta eravamo noi i migranti, gli stranieri, i diversi (un tema molto attuale!). Ci sono due bambini napoletani come me, c’è il tema del viaggio, del cambiamento, il problema di diventare adulti... il tutto scritto da Fellini e Pinelli. Come fare a non lasciarsi coinvolgere?”



Buona la fotografia di Diego Indraccolo che si accende all’improvviso in forte tonalità quando accediamo al ponte di coperta pieno di gente, evidenti invece i contributi in digitale perché mal mascherati (il film non è stato girato nei luoghi descritti ma a Napoli, Tieste e Croazia), musiche moderne bellissime in quanto d’autore, tra le quali Salty Dog dei Procol Harum (e qui svengo, essendo il brano che ritengo il più bello che io abbia mai conosciuto), Be My Baby dei The Ronettes, Somewhere di Tom Waits, Pay Me Money Down di Bruce Springsteen e tanti altri; e brani classici di Roberto De Simone o operistici di Mascagni e Leoncavallo.



Riconoscimenti

David di Donatello 2025

Candidatura alla miglior sceneggiatura adattata

Candidatura al miglior attore non protagonista a Pierfrancesco Favino

Candidatura ai migliori effetti speciali visivi

Candidatura al premio David Giovani

Ciak d’oro 2024

Candidatura miglior film drammatico

Candidatura miglior regista

Candidatura miglior attore protagonista a Pierfrancesco Favino



 
 
 

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cinefilo da bambino

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