Nessuno sa che io sono qui (2020)
- michemar
- 23 mar 2021
- Tempo di lettura: 4 min

Nessuno sa che io sono qui
(Nadie Sabe Que Estoy Aquí) Cile 2020 dramma 1h31’
Regia: Gaspar Antillo
Sceneggiatura: Gaspar Antillo, Josefina Fernández, Enrique Videla
Fotografia: Sergio Armstrong
Montaggio: Christian López, Soledad Salfate
Musiche: Carlos Cabezas
Scenografia: Estefania Larrain
Costumi: Felipe Criado
Jorge Garcia: Guillermo "Memo" Garrido
Millaray Lobos: Marta
Nelson Brodt: Sergio
Luis Gnecco: Braulio Garrido
Alejandro Loic: Jacinto Garrido
Gastón Pauls: Angelo Casas
TRAMA: Memo ha vissuto in una capanna in una remota fattoria di pecore nel sud del Cile per 15 anni e nasconde la sua bella voce al mondo esterno. Da bambino voleva diventare una pop star, ma qualcosa è andato storto. Quando Marta lo sente cantare, lo registra e pubblica il video: la performance si diffonde rapidamente on line.
Voto 7

L’estetica e le qualità intrinseche. L’involucro e il contenuto. La presenza e il talento. Tante volte, troppe volte, queste caratteristiche sono in conflitto sebbene potrebbero convivere tranquillamente, almeno per giustizia etica e sociale. Ma la società moderna, anche se l’incongruenza morale esiste da sempre, è piuttosto implacabile al proposito, tanto che molto spesso se una persona non ha un aspetto aggraziato e, ancor di più, non rientra nei canoni in voga nella moda momentanea, non riesce ad emergere e ad avere i giusti meriti per quella qualità che ha dentro di sé. Succede che magari un ottimo attore non venga chiamato perché non è sufficientemente bello, che una giornalista (capita più alle donne che agli uomini, ammettiamolo) non presenti un programma e un notiziario perché non è dell’aspetto piacevole che secondo i funzionari quella persona debba avere. Succede, per esempio, che un ragazzino corpulento, ma dotato di una voce straordinaria e di una musicalità molto sopra la media, non venga ritenuto adatto ad esordire come cantante. Proprio come capita al protagonista di questa particolare e, per certi versi, drammatica storia.

Scopriamo ben presto che Memo, un giovanottone con una stazza notevole – diciamo che peserà un bel po’ oltre il quintale - vive in un remoto allevamento di pecore posto su un’isoletta del Cile, nascondendo una bellissima voce canora al mondo esterno: un autorecluso con un talento scintillante che non riesce a smettere di soffermarsi sul suo sfortunato passato. Ma cosa succederà una volta che qualcuno finalmente ascoltandolo scoprirà la strana situazione? È a questo che vuol rispondere il film d’esordio di Gaspar Antillo, regista cileno così immediatamente apprezzato dal ben più noto e premiato Pablo Larraín che ha provveduto a presentarlo nell’ambiente e a lanciarlo, fino al punto che Netlix ha prodotto questo film che sorprende non poco, sia per l’interessante trama che per il modo come è stato molto bene raccontato.

Memo è un giovane dotato di grande talento nel canto, ha una bellissima voce sicura e ben impostata naturalmente, capace di stuzzicare l’interesse di un produttore musicale, ma dato che non ha il fisico adatto per essere lanciato nel mondo del pop, essendo già a quell’età tendente all’obesità, quel produttore pensa bene di sfruttarne comunque la voce. In pratica gliela “ruba”, convincendo il padre, che contava nel successo del figlio, a far registrare la bellissima canzone che ha nel suo repertorio e affidarla, mediante il classico playback, ad un altro ragazzino ottimamente vestito e agghindato secondo l’ultima moda. La presenza di uno e la qualità canora dell’altro, unitamente al brano di sicuro successo, sono visti un connubio che certamente sfonderà nell’industria discografica e nello show business. Come infatti succede. La società moderna dello spettacolo, quindi, bada materialmente all’esito positivo dell’operazione trascurando totalmente la sensibilità e le conseguenze psicologiche di un ragazzino massacrato dalla scarsa considerazione che il mondo avrà di lui.

Dopo la breve sequenza iniziale, in cui appunto assistiamo alla contraffazione artistica, scopriamo la fine che Memo ha fatto: volontariamente isolato su un’isoletta della costa cilena a badare al gregge di pecore del fratello del padre e a conciarne i velli. Un lavoro duro, sporco, svolto in totale isolamento dal mondo, in una vita fatta solo di lavoro, con un perenne rimpianto nella mente e nell’animo. Però è anche successo qualcosa di tragico, nel frattempo, e lo sapremo solo verso il finale, dopo aver anche scoperto il rapporto rovinato con il padre che praticamente lo ha cancellato dalla sua vita. Perché nel frattempo Marta, una ragazza che fa la spola con l’isola per trasportare con la sua barca i velli degli animali, scopre quasi per caso le eccezionali qualità canore del giovanotto. Memo è una persona ormai non solo allontanatasi dal mondo ma anche isolata nei rapporti: non parla mai, sempre inseguendo e rimpiangendo la grande occasione persa, per giunta con l’afflizione che un altro ha approfittato della sua bravura senza che nessuno abbia apprezzato i suoi meriti. Una punizione che lo amareggia, che lo ha spinto in quel luogo remoto, senza alcun contatto con l’umanità rumorosa che dista da lui più dello spazio di mare dal continente. Sogna, sogna sempre, immagina un suo trionfo, cucendosi un mantello sfavillante da indossare sul palco mentre la folla dei fans lo acclama. Ed invece nulla, il silenzio, la solitudine, la fama mai raggiunta, nonostante il successo eclatante del suo brano cantato in inglese perfetto. Arriverà il momento della grande rivelazione e allora, nel momento giusto, preferirà uscire dallo studio televisivo sbattendo la porta, tornando nel suo piccolo mondo, godendo solo dell’apprezzamento e della stima, e forse qualcosa in più, della minuta Marta. Come un contrappasso, lui dalla enorme mole e dall’eterna espressione triste e lei piccola e sorridente aperta di mente e di cuore.


È più importante il cuore o il corpo? La qualità o la quantità? Il film è molto ben fatto e diretto da Gaspar Antillo, con il piglio del regista esperto, con una straordinaria fotografia (di Sergio Armstrong, fidato collaboratore di Larraín) ma sono convinto che senza il sorprendente Jorge Garcia non sarebbe stato lo stesso film. Con molte presenze in serie TV e qualche (inevitabilmente, vista la sua dote) contributo alle musiche del celebre Lost, è un attore che ha dato corpo (è proprio il caso di dirlo) e tanto contenuto ad una interpretazione eccellente, descrivendo il tragitto di rielaborazione di sé con uno sguardo sorprendentemente maturo nel catturare il disagio e la rassegnazione. Parla pochissimo e recita tantissimo con lo sguardo, gli basta poco per dire tanto: cosa chiedere di più ad un attore, che in Europa non conosciamo affatto? La negazione della sua voce è la ribellione al mondo che cerca divi di cartapesta, la sua serietà è il contrappeso al chiasso che riempie la società effimera dei successi stagionali. Un distacco totale e benefico da quel circo che ci circonda e a cui non facciamo più caso tanto ci siamo abituati. La musica è sublime, il rumore è dannoso.
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