Nick mano fredda
(Cool Hand Luke) USA 1967 dramma 2h6'
Regia: Stuart Rosenberg
Soggetto: Donn Pearce (romanzo)
Sceneggiatura: Donn Pearce, Frank Pierson
Fotografia: Conrad L. Hall
Montaggio: Sam O’Steen
Musiche: Lalo Schifrin
Scenografia: Cary Odell
Costumi: Howard Shoup
Paul Newman: Luke Jackson
George Kennedy: Dragline
J. D. Cannon: Society Red
Lou Antonio: Koko
Robert Drivas: Loudmouth Steve
Strother Martin: capitano
Jo Van Fleet: Arletta
Clifton James: Carr
Morgan Woodward: boss Godfrey
Luke Askew: boss Paul
Marc Cavell: Rabbitt
Richard Davalos: Blind Dick
Robert Donner: boss Shorty
Warren Finnerty: Tattoo
Dennis Hopper: Babalugats
Harry Dean Stanton: vagabondo
TRAMA: Nick, soprannominato Nick “mano fredda” per la sua impassibilità, è un ragazzo ribelle e insofferente alle regole imposte dalla società. Un giorno viene arrestato per aver distrutto dei parchimetri sotto effetto dell’alcool e condannato a due anni di lavori forzati. Inizia così per Nick la sua esperienza in carcere dove scopre un mondo fatto di vessazioni e di crudeltà perpetrate da guardie senza scrupoli sui prigionieri e dagli stessi carcerati nei confronti dei compagni più deboli.
Voto 7,5
Per un film che è arrivato sulla scena alla fine degli anni ‘60 mentre un’intera generazione si ribellava all’establishment, è impressionante come il sentimento della mancata comunicazione – come dice il protagonista che poi è diventata una citazione celeberrima – riesca a mettere a nudo il clima sociale di quegli anni. È lampante come il capitano delle dure carceri rappresenti un regime oppressivo e autoritario, mentre il Luke di Paul Newman è l’anticonformista e il ribelle per eccellenza, quello che non si arrende mai. Mica per niente, il film di Stuart Rosenberg (mitici i suoi Detective Harper: acqua alla gola, Brubaker) usa una storia apparentemente semplice per offrire l’occasione per molte riflessioni sociali.
I tentativi di fuga del simpatico e irriducibile protagonista, puntualmente falliti, ne fanno una figura indimenticabile per il cinema, ma anche il capo indiscusso tra i carcerati (anche se non lo è), il più ammirato e (ri)cercato. Il film si svolge nel sud del secondo dopoguerra, dove Luke Jackson, un veterano decorato, si ritrova annoiato dalla vita. Così, una sera dopo aver bevuto troppo, prende un tagliatubi e decapita diversi parchimetri. Questo atto di sfida sociale gli fa guadagnare due anni in una gang di catene. All’inizio, sembra essere un prigioniero modello: è tranquillo e rispettoso, e se ne sta per conto suo. Ma, quando un disaccordo con il leader non ufficiale, Dragline (George Kennedy), porta a un incontro di boxe, Luke si rifiuta di fare marcia indietro, anche quando è chiaramente sopraffatto e sconfitto. La sua testardaggine gli fa guadagnare il rispetto anche dei più incalliti del gruppo, tanto che lo stesso Dragline lo soprannomina “Cool Hand Luke”, per via della vincita di poker dopo aver bluffato con una mano sbagliata.
Lui è, come riferimento sociale, la rappresentazione della ribellione e della libertà personale, di chi non si sottomette, e quando parla, con gli altri tutti intorno, è un messia che porta la novella, quella della rivolta. Strafottente come pochi personaggi del cinema di sempre. Difatti non mancano riferimenti persino alla cristianità: celebre l’inquadratura del disfatto protagonista steso su un tavolaccio a braccia aperte, una via di mezzo tra la crocifissione e la deposizione.
Un film che diverte anche (Paul Newman è in una forma smagliante!) ma è portatore di importanti messaggi sociopolitici. A lui si contrappone il bravissimo caratterista tipico del cinema americano: George Kennedy, premio Oscar non protagonista. Memorabile anche la scena in cui la donna che lava la macchina si bagna intenzionalmente i vestiti solleticando le reazioni dei detenuti.
“In galera o in libertà. Leggi, regolamenti, padroni… ma dato che tu mi hai fatto così vuoi dirmi dove posso sistemarmi? Senti vecchio, parliamoci chiaro: sono partito a tutta birra da giovane, ma ora ho il fiato grosso… Quando finirà? Cos’hai in pentola per me? Che devo fare adesso?”
Riconoscimenti
Premio Oscar 1968
Miglior attore non protagonista a George Kennedy
Candidatura come miglior attore protagonista a Paul Newman
Candidatura come migliore sceneggiatura non originale
Candidatura come miglior colonna sonora
Golden Globe 1968
Candidatura come miglior attore in un film drammatico a Paul Newman
Candidatura come miglior attore non protagonista a George Kennedy
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