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Niente da perdere (2023)

Niente da perdere

(Rien à perdre) Francia/Belgio 2023 dramma 1h52’

 

Regia: Delphine Deloget

Sceneggiatura: Delphine Deloget (Olivier Demangel, Camille Fontaine)

Fotografia: Guillaume Schiffman

Montaggio: Béatrice Herminie

Musiche: Nicolas Giraud

Scenografia: Edwige Le Carquet

Costumi: Bethsabée Dreyfus, Marie Meyer

 

Virginie Efira: Sylvie Paugam

Félix Lefebvre: Jean-Jacques Paugam

Arieh Worthalter: Hervé Paugam

Mathieu Demy: Alain Paugam

India Hair: Louise Henry

Alexis Tonetti: Sofiane Paugam

 

TRAMA: Sylvie vive a Brest con i figli Sofiane e Jean-Jacques. Una notte, il piccolo Sofiane rimane ferito mentre è con il fratello maggiore, da soli nell’appartamento con la madre al lavoro. Intervengono i servizi sociali che denunciano la donna e Sofiane viene portato in una casa ricovero. Armata di un avvocato, dei suoi fratelli e dell’amore per suoi figli, Sylvie non si arrende, convinta di essere più forte della macchina amministrativa e giudiziaria.

 

Voto 7



Problema non nuovo, situazione che si ripete e che accade per incuria dei genitori o per casi particolari di famiglie in difficoltà. Il cinema del reale se ne occupa più volte e, siccome narra di vicende realistiche, cerca di esplorare le cause che originano lo stato delle cose e i motivi che spingono l’intervento dei servizi sociali, in dovere di farlo per porre rimedio ai disagi dei minori e lavorare affinché la situazione migliori o per togliere definitivamente i figli a padre e madre. I casi, come vediamo sempre, sono i più disparati: genitori incapaci e quindi pericolosi per i figli, povertà, disoccupazione, immaturità degli adulti, cause esterne come droga e via dicendo. In tutte le situazioni osserviamo la ribellione degli accusati che non voglio mai perdere la patria potestà o il controllo insensato dei figli. Di certo, scoppia una guerra che diventa anche legale e ogni caso è a sé.



Prendiamo questo. Sofiane (un nome di cui un po’ si vergogna, ma la mamma dice che è bellissimo) è un bambino problematico, irrequieto e instabile. Vive con la mamma Sylvie (ancora una volta una meravigliosa Virginie Efira), che conduce una vita disordinata anche se la desidererebbe più comoda e tranquilla, spesso assente per lavoro, e con il fratello maggiore Jean-Jacques, forse l’elemento più razionale del nucleo familiare. Una notte Sofiane si alza e prova a friggere da solo delle patatine e come ci si può aspettare fa un disastro e si procura una ustione al petto tanto da essere soccorso in ospedale, mentre la mamma deve ancora rientrare in casa. Purtroppo l’incidente domestico fa scattare la denuncia del pronto soccorso facendo evidenziare la precarietà di Sylvie nel suo ruolo di madre e determina l’interessamento degli assistenti sociali, con la conseguenza di mandare Sofiane in un istituto, ma non ancora in affido. Con l’aiuto del fratello Alain, che cerca di inserirla nella sua azienda per permetterle di accedere a uno stipendio più vantaggioso, Sylvie inizia una battaglia legale che, tra speranze e soprattutto ostacoli, la convince alla fine, esausta e depressa, quando tutto sembra più difficile di prima, ad adottare una scelta radicale.



I casi più disparati, si diceva, e questo non fa eccezione, perché ad osservare quotidianamente Sylvie, non la si potrebbe mai giudicare incosciente o disagiata: lei è una donna rimasta vedova ben presto dopo la nascita del secondo figlio e per sbarcare il lunario si dà tanto da fare e ciò comporta prolungate assenze da casa anche in orari dove normalmente i genitori sono a casa, a preparare la cena o a curare i figli malati. Lei invece corre continuamente e cerca in ogni modo di non far mancare nulla ai figli, che ama moltissimo. La vera difficoltà è che questi, anche se apparentemente non sembra, hanno alcune problematiche di carattere psicologico, forse dovuto al fatto che sono cresciuti senza padre, e il forte legame che lega i tre non è bastato negli anni. E così succede che il maggiore si sveglia di notte per mangiare nervosamente e la madre lo ha aiutato a superare questa problematica facendogli studiare musica e inducendolo ad appassionarsi alla tromba che suona in una banda jazz, con buoni risultati. Solo in seguito si scopre che Jean-Jacques non ama lo strumento, che si vergogna ad esibirsi in pubblico e che la sua vera passione è invece la cucina, quella dolciaria.



L’altro, il piccolo, è irrequieto come tanti della sua età, forse anche troppo, sebbene le sue intemperanze siano quelle che si osservano tante volte nei bambini. Ma quando scoppia il caso dell’incendio in cucina, l’intervento sociale è inevitabile e, come da prassi, le domande che pongono servono a capire lo stato delle cose e quali migliori provvedimenti prendere per salvaguardare i figli, in particolare Sofiane, che viene prelevato con la forza e portato in un ambiente che loro giudicano adatto. Come prevedibile, la mamma Sylvie si ribella e fa il possibile per dimostrare all’autorità giudiziaria competente che lei è una buona madre responsabile e che non fa mancare mai nulla ai figli. La burocrazia e la giustizia minorile è sempre sorda quando le relazioni degli assistenti sociali sono chiari e convincenti e la battaglia della donna appare subito persa in partenza. Per il momento ha diritto di frequentare il piccolo solo una volta alla settimana e ciò è già un problema avendo trovato da poco un buon impiego che non la tiene via di notte, ma comporta ora di non potersi allontanare dall’ufficio di pomeriggio, se non con la supplenza dei colleghi volenterosi.



Come è facilmente prevedibile, la questione può solo peggiorare, dal momento che Sylvie ha dichiarato guerra con ogni mezzo e l’avvocata non va oltre quello che le è consentito dalla legge. Sarà guerra totale, con mezzi leciti e poco leciti, fino ad un gesto violento ed inconsulto quando lei aggredisce la paziente assistente M.me Henry. Peggio di così non poteva andare. Tranne prendere una decisione tanto improvvisa quanto inimmaginabile. Radicale, risolutiva, ma per nulla legale. Persino rinunciando ad un pezzo della sua vita. Una vita difficile, affrontata a testa alta e con coraggio, con chiunque, senza sottomettersi ad alcuno, da sola, senza un uomo al fianco che la possa aiutare e confortare. Ha messo da parte la parte sentimentale da anni, non guarda e non desidera uomo, non si concede divertimenti, deve correre dalla sveglia fino al riposo notturno, e forse neanche quello: quando vorrebbe rilassarsi di pomeriggio arriva la vicina che le lascia la sua bambina.



Vita dura e per giunta non capita dagli altri, tantomeno dalla giustizia burocratica: gli unici a confortarla sono il figlio maggiore Jean-Jacques, sempre pronto ad aiutarla e a incoraggiarla, quello che sembra il più assennato di tutti nonostante la giovane età, e i due fratelli Hervé e Alain, non sempre, ahimè, in linea tra di loro e con lei (probabilmente le cause dei problemi risalgono alla famiglia di provenienza?), ma almeno il più sbandato dei due è quello che si presta in ogni occasione e che le darà il necessario per quella soluzione finale. A nulla serve frequentare un gruppo di sostegno di coppie o single a cui è stato tolto un figlio da un magistrato. Lei le prova tutte ma sbatte sempre contro un muro e non ha più fiducia nella giustizia.



Storie già viste? Mamme allo sbando non nuove? No, non parrebbe. I due figli non vengono maltrattati, sono attaccatissimi alla madre, che ricambia con tanti gesti d’affetto e che cerca di creare l’ambiente adatto per crescerli bene ed educarli, ma è la vita che va in senso contrario, è il destino che non la e li aiuta. È la legge che è, giustamente, implacabile e deve fare il suo corso, ma quando diventa cieca e sorda e non guarda caso per caso e tutto si risolve come da manuali e codici scritti, ci si allontana dalla realtà. E, attenzione, la regista esordiente Delphine Deloget, che si scrive anche la sceneggiatura, non cerca alibi facili o tesi da dimostrare, lei fotografa e basta, segue da vicinissimo Sylvie e ne narra il dramma personale e familiare. A noi dedurre la morale. E poi a condannare o perdonare il gesto finale, una dolorosa scelta che può far felici gli infelici. Ma fino a quando?



Film non a tesi, quindi, che non giudica, che non vuole dimostrare nulla, tantomeno valutare la decisione finale: Delphine Deloget è fondamentalmente una documentarista e da tale si è comportata sul set, inseguendo camera in spalla la bionda protagonista, tumultuosa come la vicenda, inarrestabile e dotata di gran carattere. Un film alla Ken Loach, senza tirare in ballo paragoni impropri, ma la protagonista è una persona sola come i piccoli eroi del cineasta inglese. I diritti di una mamma messi in contrapposizione con le colonne rigide dello Stato, più o meno argomenti degni di Loach.



Il film non sarà perfetto, ma quei difetti non si riescono a notare nella forza caratteriale della protagonista e in quella recitativa di un’attrice che in ogni prova che le viene richiesta impiega tutto il corpo che possiede. Sempre a dare anima e corpo, appunto, ad ogni donna che deve rappresentare, con uno spessore impressionante, con determinazione da far paura. Non risparmiandosi mai.  Che brava, Virginie Efira, mi stupisce ogni volta anche se so già da prima che non c’è nulla da stupirsi. Alla stessa stregua di come non ci sia nulla da perdere con la conclusione, tanto stanno perdendo tutto. Cosa potrebbero mai perdere ancora i tre? Nulla!



Se prima o poi arriveranno riconoscimenti importanti per Virginie Efira, che nessuno si meravigli. Altrimenti vuol dire che non la ha mai osservata bene. Lodevole nel cast è anche il giovane ma già maturo Félix Lefebvre, che promette molto bene. Anche gli attori che interpretano i fratelli si rivelano bravissimi.



L’esordio di Delphine Deloget è da giudicare positivamente per l’impegno che ha messo in un argomento non facile da raccontare senza strafare o rendendolo poco credibile. Il suo scopo era esplorare come si vive una separazione all’interno di un nucleo familiare, offrendo al contesto uno sguardo sociologico, politico in qualche modo, perché ha a che vedere col modo in cui ciascuno di noi interagisce con l’esterno e con quello che è il ruolo sociale di ciascuno di noi: il tentativo non è di dare un giudizio ma semplicemente di constatare cosa avviene nelle nostre società. E questa ne è una chiara fotografia. Se era questo che doveva dimostrare ha centrato l’obiettivo. Come ha pure documentato come ognuno ha le sue prerogative e ragioni, per cui il comportamento oscillante dei fratelli della protagonista sono da comprendere, allo stesso modo dei figli e dei funzionari dei servizi sociali.



Buonissimo film, vibrante e coinvolgente. Facilmente si parteggia per Sylvie.

Virginie Efira mirabolante. Che grinta, che passione!



Riconoscimenti

Festival di Cannes 2023

In concorso per il premio “Un Certain Regard”

In concorso per la Caméra d’Or

Premio Lumière 2024

Candidatura per la migliore attrice a Virginie Efira

Premio Magritte 2024

Migliore attore non protagonista ad Arieh Worthalter



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