Omicidio al Cairo
(The Nile Hilton Incident) Marocco/Svezia/Danimarca/Germania/Francia 2017, thriller, 1h51’
Regia: Tarik Saleh
Sceneggiatura: Tarik Saleh
Fotografia: Pierre Aïm
Montaggio: Theis Schmidt
Musiche: Krister Linder
Scenografia: Roger Rosenberg
Costumi: Louize Nissen
Fares Fares: Noredin Mostafa
Mari Malek: Salwa
Yasser Ali Maher: Kammal Mostafa
Ahmed Selim: Hatem Shafiq
Hania Amar: Gina
Mohamed Yousry: Momo
Hichem Yacoubi: Nagui
Ger Duany: Clinton
TRAMA: Al Cairo, settimane prima della rivoluzione del 2011, il detective della polizia Noredin lavora alla famigerata stazione di polizia di Kasr el-Nil quando gli viene assegnato di risolvere il caso legato all'assassino di una star della musica. Ben presto, si renderà conto che l'indagine riguarderà anche l'élite di potere vicinissima al Presidente.
Voto 7
Noredin Mostafa è un maresciallo della polizia egiziana che presta servizio nella capitale ma che si trascina stancamente nel suo lavoro. Vedovo, deluso, forse perfino annoiato di quella vita senza soddisfazioni, accetta con un senso di insofferenza, ma accetta, le frequenti mance e mazzette come fanno tutti nella stazione per ogni occasione che capita. La corruzione è la prassi che condisce la vita quotidiana di quella stazione di polizia, come tutte le altre d’altronde. Fuma moltissimo, di continuo, anche qualche sostanza arrotolata che si gusta come fosse autoerotismo, giusto per dare una variante alla monotonia che lo circonda. Ricorda subito quei detective, privati e non, dei tipici gialli americani, sembra uscito di sana pianta da un romanzo di Raymond Chandler che come lui hanno sì presente il senso innato della giustizia e del proprio dovere ma che stante le circostanze di tutto ciò che li circonda credono opportuno oppure (forse soprattutto) per pigrizia si adattano e seguono il corso di quel fiumiciattolo chiamato andazzo. Anche lui ha un padre malandato fisicamente che ha bisogno della sua assistenza – il quale gli ricorda sempre che la dignità non è una cosa che si può comprare - ma l’espressione perenne di un fantastico Fares Fares, sempre più a suo agio nei ruoli di poliziotto buono in ogni ambiente, è quella di chi tra un ‘La pace sia con voi’ e un altro, ben dimostra che Noredin Mostafa sa perfettamente che quella dignità l’ha persa da sempre, fin da quando ha accettato supinamente l’atmosfera che abita l’ambiente della polizia del Cairo.
Se trasportiamo le peculiarità del deluso e stanco poliziotto americano nella vita egiziana qualche giorno prima della rivoluzione di Piazza Tahrir, in quella società araba di quel particolare momento, in una città enorme e brulicante come una casbah di affaristi, di piccoli criminali, di approfittatori e di politici protetti e intoccabili dalle leggi inique vigenti sotto il potere potente di Hosni Mubarak, ecco che il bravo regista Tarik Saleh, di passaporto svedese ma egiziano di origine, ci mostra un contesto in cui tutto può succedere, tant’è che parte subito con la sequenza di un fatto delittuoso, commesso appunto, come dice il titolo originale, nel lussuoso Nile Hotel. Prendendo spunto dalla morte di una nota cantante libanese, Suzanne Tamim, avvenuta a Dubai anni fa, Saleh trasferisce il delitto in quel momento nella capitale egiziana dando inizio ad una indagine che il protagonista non vuole mollare, come un risveglio della sua dignità ma anche del suo istinto di poliziotto.
La verità in Medioriente può avere tante facce, può avere mille risvolti, ma ha sicuramente le resistenze e le reticenze degli ambienti del potere politico, corrotto anch’esso e soprattutto motore della corruzione nazionale. Fares Fares è straordinario nel trasmettere tutti queste sensazioni sullo schermo: con quel naso che pare la punta di un concorde annusa la preda, intuisce la trama, ha paura per chi vuole proteggere trascurando i pericoli per se stesso. E quando gli comunicano la promozione a colonnello capisce che la pista è quella giusta. Sempre, quando il potere ti premia il potere vuole la tua collaborazione. Tra una bella divisa e rotoli di denaro anche il più intransigente dei poliziotti può vacillare.
Noredin Mostafa no. Nel suo sano rigurgito di uomo cerca il riscatto: ne sarà contento il padre, ne sarà contenta la povera ragazza sudanese che sta cercando di salvare, sarà felice la popolazione che si riversa all’inizio del 2011 in Piazza Tahrir per manifestare la ribellione verso un regime falsamente democratico che opprime la sua Primavera.
Un bellissimo film, eccellente nel mostrarci l’ambientazione di quell’Egitto, nel fotografare la situazione politica e sociale di quei giorni, che zumando su un piccolo avvenimento ci allarga lo sguardo panoramico, ancor più evidente dall’alto della terrazza della stazione di polizia, dove arriva l’ordine di sparare sulla folla disarmata. Anche se ambientato quindi così a sud, rientra benissimo nel filone dei notevoli thriller che il Nord Europa ci sta offrendo negli ultimi anni. Non ghiaccio e neve, non Volvo e personaggi biondi, ma inverno caldo, sabbia, pelle olivastra, Peugeot scassate e Mercedes di quinta mano. Ed un attore svedese/libanese, che tra un concerto rock e l’altro, si esibisce sempre in buonissimi film, scelti sempre con oculatezza, da bravissimo immigrato perfettamente integrato in occidente, anzi nei Paesi Baltici. Il che non è poco.
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