One Life
UK 2023 dramma biografico 1h49’
Regia: James Hawes
Soggetto: Barbara Winton (romanzo “If It's Not Impossible…The Life of Sir Nicholas Winton”)
Sceneggiatura: Lucinda Coxon, Nick Drake
Fotografia: Zac Nicholson
Montaggio: Lucia Zucchetti
Musiche: Volker Bertelmann
Scenografia: Christina Moore
Costumi: Joanna Eatwell
Anthony Hopkins: Nicholas Winton
Johnny Flynn: Nicholas Winton giovane
Helena Bonham Carter: Babi Winton
Lena Olin: Grete Winton
Romola Garai: Doreen Warriner
Jonathan Pryce: Martin Blake
Alex Sharp: Trevor
Marthe Keller: Betty Maxwell
Samantha Spiro: Esther Rantzen
Juliana Moska: Hana Hejdukova
Henrietta Garden: Vera Gissing
Ffion Jolly: Barbara Winton
Adrian Rawlins: Geoff
TRAMA: Nelle settimane che precedono lo scoppio della Seconda guerra mondiale, Nicholas Winton, agente di cambio londinese, diviene il promotore di un piano apparentemente impossibile che finirà per salvare 669 bambini dall'avanzata nazista in Cecoslovacchia.
Voto 7,5
Il film di James Hawes, all’esordio nel lungometraggio dopo una vasta esperienza di TV movies e serie, inizia grosso modo al termine della trama di Monaco: sull’orlo della guerra (2021) che raccontava quando, in occasione della Conferenza di Monaco, Hitler incontrò il Primo Ministro britannico Neville Chamberlain, oltre a Édouard Daladier per la Francia e Benito Mussolini per l’Italia. Oggetto del contendere era trovare un accordo dopo che il dittatore germanico aveva manifestato l’intenzione di occupare la regione boema dei Sudeti posta tra la allora Cecoslovacchia e lo stato tedesco. Pensando ingenuamente di frenare così le ambizioni espansionistiche belliche del tedesco, concessero quel territorio ma, nel giro di poco tempo, questi iniziò l’invasione della Polonia e del resto d’Europa. Siamo infatti nel 1938, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale e il 29enne agente di Borsa londinese Nicholas Winton, leggendo dai giornali cosa stava succedendo nei Sudeti e preoccupato della sorte di quelle persone e soprattutto dei bambini, si reca a Praga e organizza l’operazione denominata “Kindertransport”, con l’obiettivo di salvarne quanti più possibile prima dell’ormai imminente invasione della Germania nazista di Hitler. Grazie all’aiuto di sua madre Babi e di altre figure cruciali, Winton riesce a far partire otto treni che portano centinaia di bambini in Gran Bretagna. L’impegno di quello che è stato ribattezzato lo “Schindler britannico” sarà pienamente riconosciuto solo negli anni Ottanta quando Winton avrà anche l’occasione di incontrare alcuni di quei 669 bambini che aveva salvato.
Nella vita reale, Nicholas George Wertheim nasce a Londra, figlio di genitori ebrei nel 1909. Il padre era un bancario e anche Nicholas intraprende la stessa strada, diventando poi un broker di successo ma anche coltivando passioni sportive, dove eccelleva in alcune specialità ma non potendo partecipare ai Giochi Olimpici del 1940 mai tenuti a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Ma lui fu ugualmente un campione in quegli anni, una medaglia d’oro di umanità, salvando, con l’aiuto di altre persone altrettanto motivate e coraggiose, la vita di 669 bambini, ebrei e non, cecoslovacchi portandoli via dal loro Paese prima che venisse invaso dai nazisti. Da Praga una serie di treni parti nelle settimane precedenti l’invasione, attraversando l’Europa e arrivando nel Regno unito, dove Winton si occupò di trovare loro delle famiglie che li accogliessero. L’ultimo treno purtroppo non giunse a destinazione, in quanto l’esercito di Hitler aveva già iniziato l’invasione. La sua storia rimase per molto tempo sconosciuta ai più, finché, per una serie di coincidenze, non ne venne a conoscenza Elizabeth Maxwell, moglie del magnate delle comunicazioni Robert Maxwell, anch’egli ebreo cecoslovacco.
Nel corso di una puntata della trasmissione popolare della BBC “That’s Life” del 1988 – dove peraltro lui non voleva andare perché rubrica leggera alla ricerca di emozioni facili - venne finalmente svelato il passato di Winton, il quale era tra il pubblico insieme, a sua insaputa, ad alcuni di quei bambini di allora che aveva salvato e ai loro figli e nipoti. E fu un trionfo, trasformando la trasmissione che diventò immediatamente ancora più popolare e di contenuti più seri. Almeno per quella occasione. Da tener presente che tra i tanti adolescenti tratti in salvo c’era anche Karel Reisz, diventato poi uno dei massimi esponenti del Free Cinema britannico e grande regista.
È ovvio e facile fare riferimento al film di Steven Spielberg e alla reale vicenda che raccontava, ma Nick (Anthony Hopkins) ha una sua storia indipendente ed altrettanto ammirevole, operando tra due nazioni molto distanti e facendo la spola continuamente sia lui che i suoi collaboratori e con l’importante aiuto della mamma Babi (Helena Bonham Carter), che si occupava dei rapporti con il Ministero per ottenere i visti per i bimbi da far arrivare e di raccogliere i fondi necessari per la difficilissima operazione. Mille e mille le difficoltà da affrontare e risolvere, in primis la burocrazia delle due nazioni, la iniziale e comprensibile resistenza psicologica dei genitori dei fanciulli, che ormai vivevano confinati in un ghetto e senza speranze, la ricerca delle famiglie disposte ad accoglierli, i soldi sufficienti per poter operare. Spesso prendeva il sopravvento lo scoramento, specialmente nella poco convinta Doreen (Romola Garai), ma anche in Trevor (Alex Sharp) e in Hana (Juliana Moska), i tre collaboratori, spesso ci si sentiva persi, sì, ma la forza di carattere e di volontà di Nick (Johnny Flynn, da giovane) pareva sovrumana, mai arreso alle tante complicazioni che sorgevano continuamente. Ma ogni partenza di un treno carico di bambini era un’esplosione di speranza ed ogni arrivo era una gioia immensa, che dava maggior impeto alle iniziative e alla voglia di fare di più. L’operazione “Kindertransport” ne aveva portato in salvo 669 ma potevano essere di più se l’ultimo treno, che ne avrebbe portati in salvo altri 250, fosse partito, bloccato invece dalle truppe naziste arrivate in stazione, con l’immenso rammarico di tutti e specialmente del nostro Eroe.
Tutto era iniziato con un lavoro paziente per convincere, prima delle famiglie disastrate, il rabbino del luogo, il quale innanzitutto avrebbe dato fiducia a quel giovanotto intraprendente e poi di certo avrebbe convinto gli altri. Colloquio che dà solennità al via dell’operazione, prima riferendosi al Talmud con la celebre frase di Schindler’s List che risuona sempre nella mente di noi tutti (“Chiunque salva una vita salva il mondo intero”) ma specialmente con un’altra, molto solenne, che è la via maestra del film: “In ebraico abbiamo un detto: Non iniziare ciò che non puoi finire.” Ed è proprio questo che dà forza al giovanotto che non si fermerà mai davanti agli ostacoli, se non la guerra.
Il film segue due tronconi con vari spezzoni in flashback: da una parte, come d’altronde inizia il film, con la vita dell’anziano Nicholas che vive in una villetta di campagna nella cittadina inglese di Maidenhead, dove è sovrastato dall’infinità di carte e documenti della sua vita eroica, con la moglie Grete (Lena Olin) che lo rimprovera continuamente per il disordine: dall’altro, i salti temporali all’indietro per narrare le gesta dei quattro per salvare i bambini. Uno tranquillo ma malinconico e l’altro agitato dai soldati e dai viaggi pericolosi. Il primo ha quelle caratteristiche perché il vecchio Nick deve ancora capire cosa fare di tutti quei documenti e specialmente del suo libro con i nomi e le storie dei bambini salvati (e non), e quindi, come tramandare la memoria di quegli eventi per le generazioni future. Che è una missione molto importante per non dimenticare. Ci sarà qualcuno della stampa che si rifiuta – pentendosi amaramente – di pubblicare, poi l’interessamento della menzionata Elizabeth Maxwell, ed infine la fortuna dell’interessamento della trasmissione televisiva, che diede una svolta ai fini della conoscenza delle vere storie e che riuscì a far mettere in contatto i sopravvissuti, che si dettero un bel nome: “I bambini di Nicky”, tutti riuniti per ringraziare, abbracciare e piangere assieme al loro eroico e caparbio salvatore. Che è rimasto in contatto con loro fino alla sua morte, avvenuta a 106 anni. Quindi, da un lato il dramma del salvataggio, dall’altro la ricerca di utilizzare al meglio il prezioso album dei ricordi, con le foto che lui ogni tanto andava a riguardare con il cuore gonfio.
Il buon James Hawes non è che realizzi proprio un capolavoro, non è che si stacchi del tutto dal suo cinema televisivo e seriale, ma compie bene il suo dovere. E se il quarto d’ora finale risulta troppo commovente gliene si può fare una colpa, ma non eccessiva, perché il fatto reale stesso è molto toccante, è degno di una storia che commuove per forza di cose: basta assistere e il nostro cuore si scioglie in lacrime. Se poi ci si mette persino Anthony Hopkins a versare lacrime che non si possono trattenere, non ci si salva più. Ah, già, Anthony Hopkins, che attore! Che magia crea con il pubblico! Oltre ad essere ingiudicabile per eccesso di bravura (dico, proprio fuori classifica) dà una lezione, al proposito, di come bisogna saper piangere sul set, dato che la stragrande maggioranza delle attrici e degli attori è incapace di andare oltre il semplice e fastidioso fraseggio lamentoso senza che una sola goccia esca dagli occhi di un viso atteggiato a piagnisteo fanciullesco. Ed invece lui, su un viso reso paonazzo dall’emozione, piange davvero. Un maestro. Buonissimi anche gli altri nomi eccellenti del resto del cast, a cominciare da Helena Bonham Carter, passando per tutte le altre e soffermandosi su Johnny Flynn, il giovane Nick, già fattosi notare in diverse apparizioni, che merita molta attenzione ed un giudizio molto positivo.
Nicholas Winton non aveva mai cercato gloria o gratificazioni pubbliche: aveva compiuto quel miracolo perché ne aveva sentita la necessità personale, era la sua missione, e poi era tornato al suo lavoro e alla sua vita in buon ordine, con la amata consorte. Però, dopo il clamore sollevato dalla TV e ritrovando i “suoi” superstiti, che non lo avevano mai dimenticato, constatò meglio quanto di buon ed eccezionale aveva fatto, non riuscendo a trattenere l’enorme commozione. Il riconoscimento di Membro dell’Ordine dell’Impero Britannico ricevuto dalle mani della Regina (ed altri premi anche internazionali) lo riempì sicuramente di orgoglio, pur mantenendo il riserbo che lo aveva sempre contraddistinto. Era davvero una persona perbene.
Per tutto questo il mio voto merita un commento, che generalmente considero solo un contorno: questa volta è parecchio alzato non per meriti artistici né tecnici, ma per la semplice ragione della straordinaria performance di quell’attore impareggiabile chiamato Anthony Hopkins, che meriterebbe un premio ad ogni sua presenza.
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