Past Lives
USA/Corea del Sud 2023 dramma 1h45’
Regia: Celine Song
Sceneggiatura: Celine Song
Fotografia: Shabier Kirchner
Montaggio: Keith Fraase
Musiche: Christopher Bear, Daniel Rossen
Scenografia: Grace Yun
Costumi: Katina Danabassis
Greta Lee: Na Young / Nora Moon
Teo Yoo: Hae Sung
John Magaro: Arthur
Seung Ah Moon: Nora da giovane
Seung Min Yim: Hae Sung da giovane
Ji Hye Yoon: madre di Nora
Choi Won-young: padre di Nora
Min Young Ahn: madre di Hae Sung
Jojo T. Gibbs: Janice
Emily Cass McDonnell: Rachel
Federico Rodriguez: Robert
Conrad Schott: Peter
Kristen Sieh: Heather
TRAMA: Nora e Hae Sung sono amici d’infanzia, profondamente legati, ma che si sono persi di vista quando la famiglia di lei è emigrata dalla Corea del Sud in Canada. Ventiquattro anni dopo i due si ritrovano a New York, dove Nora è sposata con Arthur e vivono una settimana nella quale si confrontano sul destino, l’amore e le scelte che hanno segnato il corso delle loro vite.
Voto 8,5
Ci sono film, come questo, che ci inducono a riflessioni scontate, forse un po’ retoriche, sicuramente inevitabili. Ci sono film, come questo, che narrano cose di tutti i giorni e di tutte le coppie che esistono, che avrebbero potuto essere, che non si sono realizzate, che non hanno avuto l’opportunità di unirsi per sempre, o che si formano tardi, che subiscono l’influenza delle decisioni altrui… Quelli che sarebbero stati felici sicuramente e che il destino non li ha aiutati. Già, il destino, la volontà, le decisioni importanti della vita che hanno deviato il corso che doveva essere e che non è stato. Quanti di noi si son trovati in questa situazione? Abbiamo influito sul nostro cammino e nelle nostre scelte? Oppure abbiamo lasciato scorrere il fiume lì dove il mare lo attende senza tentare di deviarlo come ci sarebbe piaciuto o desiderato?
La prima sequenza che sceglie la bravissima Celine Song (la cui vita personale e artistica sembra parallela alla protagonista femminile della trama: figlia di un regista sudcoreano, trasferita in Canada, laureata prima in psicologia e poi in drammaturgia, sposata con uno scrittore statunitense, autrice e regista teatrale e ora al cinema su un suo soggetto) è curiosa e divertente, mettendo nell’inquadratura tre persone sedute al bancone di un bar che chiacchierano amichevolmente, ma con la donna al centro dei due uomini che è principalmente rivolta a quello dai tratti somatici orientali, quasi di spalle all’americano. Una voce fuori campo stimola lo spettatore: “Chi pensi siano l’uno per l’altro?”. Attraverso la maestria della cinepresa di Shabier Kirchner, il direttore della fotografia, noi pubblico siamo immersi in uno sguardo lungo su quell’intrigante trio di personaggi: uno è Hae Sung (Teo Yoo) proveniente dalla Corea del Sud, la donna è Nora (Greta Lee) immigrata coreano-canadese e Arthur (John Magaro) è l’americano di origini ebraiche. La voce riflette sulla loro relazione ponendo l’interrogativo se siano fratelli colleghi o amanti, aprendo così le porte a un viaggio narrativo avvincente. Da questo punto di partenza il film ci catapulta indietro nel tempo di ben 24 anni conducendoci a Seul dove gli amici dodicenni di scuola Na Young e Hae Sung vivono in una connessione continua affettiva e competitiva. Ma un giorno, il loro destino è destinato a dividerli quando i genitori di lei decidono di emigrare a Toronto, separando così i piccoli innamorati. Tra il serio e il faceto, la mamma della bimba decide di far adottare alla piccola e al suo fratellino nomi occidentali, facendo diventare lei una nuova Nora. Lei non dà molto peso alla partenza e all’abbandono dell’ambiente natio e degli amici, lui invece resta malissimo e soffrirà l’assenza per sempre.
C’è una scena molto indicativa, quasi metaforica del destino beffardo che li separa: come tutti i giorni, loro due tornano assieme dalla scuola, avviandosi verso le case scherzando e stimolandosi a vicenda, stando sempre al gioco con grande affetto e sintonia. Quando giungono al bivio che li conduce a casa si dividono con dispiacere, guardandosi come fosse un’ultima volta, salutandosi lentamente come un addio, con Hae Sung che non nasconde la voglia di non lasciarla andare. Quel giorno, la bimba scopre che i genitori stanno preparando il viaggio che li porterà in Canada, lontano, via di tutti i ricordi dell’infanzia. Così, all’improvviso, senza darle il tempo di avvisare l’affezionato amico di sempre. Dodici anni dopo lei, traferitasi a New York, dove fa la scrittrice, scopre che l’altro la sta cercando continuamente e ora, con la tecnologia a disposizione, possono agevolmente rintracciarsi tramite social e videochiamate Skype. Il problema principale era che il giovane non immaginava che la ragazza avesse cambiato nome. Si promettono di incontrarsi ma nel frattempo lei conoscerà lo scrittore Arthur e lo sposerà, con grande rammarico di Hae Sung, il quale coltiva da sempre il sogno, comunque, di recarsi nella Grande Mela per reincontrarla e ricordare i vecchi tempi. Cosa che farà, ma solo dopo altri dodici anni, quando, ormai ultratrentenni, faranno quasi fatica a riconoscersi, senza che però nulla sia immutato nei loro rapporti, soprattutto quello del giovane che conserva intatto il suo amore.
Una settimana in cui Arthur, con grande comprensione e gentilezza, lascia che la sua donna incontri e passeggi nei tanti quartieri di New York e parli tranquillamente con quell’antico amore infantile, che però, si badi bene, in lui non è mai cambiato, anzi si è rafforzato, e in lei è rimasto assopito e custodito nel fondo del cuore, pronto a riesplodere tenuto a bada per correttezza verso l’uomo che ha sposato e a cui promette lealtà. Fino a questo momento il film è stato un semplice racconto di romanticismo infantile, un tratto biografico di due giovanissimi che amavano stare assieme e promettersi cose più grandi di loro; ora il film vira decisamente verso un registro sentimentale di enorme delicatezza e di commovente dolcezza, fatto di sguardi ora sfuggenti ora intensi (specialmente da parte di lui, che la ama ancora infinitamente e fortemente), di frasi nostalgiche, d’amor sfuggito, di argomenti generici per evitare quelli più pericolosi, dei progetti futuri, del passato, di come avrebbe potuto essere e non lo è stato, di come si può cambiare il destino e di quanto è questo a decidere diversamente. Di rimpianti, di alternative, di desideri, mentre lui non perde occasioni di regalarle sorrisi rugosi, di gioia mesta, triste, di dolore nascosto, di voglia di dirle quanto l’ami ancora, senza alcuna pausa in tutti quegli anni. Vite passate, vite trascorse, vite non andate come potevano sperare, vite divise dagli eventi. Cosa ne è stato del loro in-yun, cioè del loro fato, di quella predestinata epifania che ha accompagnato la loro fanciullezza durante la quale non avrebbero mai immaginato di separarsi? E a causa di tutto ciò, il loro amore viene idealizzato, mai messo sul terreno, sempre mancato e l’addio finale, con l’auto Uber che porta via il viaggiatore, si scioglie nell’unico sfogo possibile a quel punto, dopo un lunghissimo e silenzioso sguardo: un pianto che è una conclusione, un coperchio, un fotogramma che va in dissolvenza sulle scale di casa.
Appuntamenti per sette giorni prima che Hae Sung parta e che si lascino per sempre, con le solite inattese promesse di un viaggio a Seul, di ritrovarsi tutti assieme per una felice rimpatriata. Sette giorni di passeggiate, di gite in traghetto, di colloqui che nascondo la realtà intima per parlare di quella del momento, quella che consiste in due amori e tre persone, con la terza che comprende, assiste e attende, confidando nella serietà della donna. Ma 24 anni di attesa, di precarietà affettiva, di amore sospeso non si cancellano, non si possono mettere nella scatola delle foto ingiallite, almeno fino a quando l’amore di lui è chiaro ed evidente e quello di lei sembra un bollitore che non riesce più restare chiuso, mascherato solo dai suoi bellissimi occhi orientali che guardano e indagano il viso di colui che fa fatica a non stringerla a sé. È come un passato che rivive, che torna con forza a reclamare il suo diritto ad esistere, ma come fare a conciliare una duplice vita che fa la spola tra quella reale con Arthur e quella ideale con Hae Sung? Forse l’incrocio avviene di notte, quando lei, come dice il marito, dorme parlando in coreano: “Sogni in una lingua che non riesco a capire”, così come forse non ha capito bene neanche quello che sta succedendo con quella visita. Tranne quando intuisce che: “Nella storia io sarei il cattivo marito bianco americano che si oppone al destino. Sono il tipo che nella storia molli quando il tuo ex amante arriva a portarti via.”
Il titolo può essere bifronte: si riferisce alle vite passate, vissute, ricordate, ma anche ad un passato che rivive, che torna, almeno per una settimana, nonostante Hae Sung lo riviva da 36 anni, anzi da prima, dal giorno in cui si era infatuato di quella che ora si fa chiamare Nora, nome che non accetta ben volentieri: per lui è e resta sempre Na Young. Un film tripartito in fasi di 12 anni ciascuno.
“Ero seduta lì tra questi due uomini che mi amavano in modi diversi, in due lingue diverse e due culture diverse. E io ero l’unico motivo per cui questi due uomini parlavano tra loro. C’è qualcosa di quasi fantascientifico in questo. Ti senti come qualcuno che può trascendere la cultura, il tempo, lo spazio e la lingua.”
Comprensibile, esaminando il film, l’accostamento e la citazione, che viene fatta dalla regista ad un certo punto, a proposito di Eternal Sunshine of the Spotless Mind (evitiamo l’orrendo “Se mi lasci ti cancello”!): Montauk, la cittadina costiera nel nord dello stato di New York a Long island, è per i protagonisti di quel film un luogo reale che si trasforma in memoria e che poi fa il percorso inverso, uscendo dalla memoria per ritornare luogo tangibile, per farsi di nuovo vero. I nostri protagonisti coreani compiono qualcosa di simile andando via dalla loro cittadina, si ritrovano nella metropoli e potrebbero tornare alla loro ideale Montauk.
Vorrei evitare di ribadire, ancora una volta, che la delicatezza e la finezza della scrittura può scaturire solo dalla mano femminile, che stavolta si riflette anche nella regia, che pur se con un accenno di laccato, ribadisce la sensibilità orientale che ammanna l’intera opera nonostante buona parte del film si svolga in America sotto la fiaccola della Statua della Libertà: i lunghi minuti parlati in coreano ne hanno fatto un film davvero asiatico, tanto che è stato selezionato dalla Corea del Sud come candidato agli Oscar, ribandendo ancora quanto sia dolce ed equilibrato il cinema di quella nazione.
La regia di Celine Song è incantevole, il cast tecnico ha lavorato di fino ovunque, i tre interpreti sono solo da elogiare: a parte il bravo e mansueto John Magaro (pare lo stesso personaggio uscito dal bellissimo First Cow di Kelly Reichardt), Greta Lee incanta a 24 anni e a 36, con occhi penetranti e intelligenti, delicata e incisiva, una bella scoperta in un ruolo importante, dopo tante presenze da caratterista; miracoloso poi Teo Yoo, con una carriera alle spalle simile alla partner di set: misurato ed efficace, coglie l’occasione d’oro e la sfrutta magnificamente, manifestando tutta l’arte recitativa orientale. Due attori che è un peccato tenere in naftalina.
Se mi è piaciuto? Sono rimasto immobile e affascinato per minuti, mentre i titoli di coda scorrevano inutilmente. Incantato, innamorato anch’io, estasiato da tanta beltà, anche per merito delle bellissime musiche di Christopher Bear e Daniel Rossen mai invadenti, come un sottile tappeto su cui sdraiarsi durante la visione.
Film - acclamato dalla critica, nominato tra i migliori dieci film del 2023 dal National Board of Review e dall'American Film Institute presentato al Sundance 2023 - da dover rivedere subito: troppo bello!
Riconoscimenti
2024 - Premio Oscar
Candidatura al miglior film
Candidatura alla miglior sceneggiatura originale
2024 - Golden Globe
Candidatura al miglior film drammatico
Candidatura alla miglior regista
Candidatura alla miglior attrice in un film drammatico per Greta Lee
Candidatura alla miglior sceneggiatura
Candidatura al miglior film in lingua straniera
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