Pinocchio (2019)
- michemar
- 13 apr 2020
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 29 mag 2023

Pinocchio
Italia/Francia/UK 2019 fantasy 2h5’
Regia: Matteo Garrone
Soggetto: Carlo Collodi (romanzo)
Sceneggiatura: Matteo Garrone, Massimo Ceccherini
Fotografia: Nicolai Brüel
Montaggio: Marco Spoletini
Musiche: Dario Marianelli
Scenografia: Dimitri Capuani
Costumi: Massimo Cantini Parrini
Federico Ielapi: Pinocchio
Roberto Benigni: Geppetto
Rocco Papaleo: Gatto
Massimo Ceccherini: Volpe
Marine Vacth: Fata Turchina
Gigi Proietti: Mangiafoco
Maria Pia Timo: Lumaca
Davide Marotta: Grillo Parlante/Marionetta Pantalone/Coniglio
Paolo Graziosi: Mastro Ciliegia
Massimiliano Gallo: Corvo/direttore del circo/Mastino
Gianfranco Gallo: Civetta/Mastino/Medoro
Teco Celio: Giudice Gorilla
Enzo Vetrano: Maestro
Nino Scardina: Omino di burro
Maurizio Lombardi: Tonno
Ciro Petrone: banditore di Mangiafoco
TRAMA: Geppetto, un vecchio intagliatore, riceve un pezzo di legno perfetto per il suo prossimo progetto: un burattino. Una volta terminata l'opera, accade qualcosa di magico: il burattino prende vita e inizia a parlare, camminare, correre e mangiare, come qualsiasi bambino. Geppetto lo chiama Pinocchio e lo alleva come un figlio. Per Pinocchio, però, non è facile essere un bravo bambino: lasciandosi portare facilmente sulla cattiva strada, capitombola da una disavventura all'altra in un mondo popolato di fantasiose creature. La sua più cara amica, la Fata Turchina, cercherà di fargli capire come il suo sogno di divenire un bambino vero non potrà mai avverarsi fino a quando non cambierà modo di vivere.
Voto 6,5

“C’era una volta ... “un re!” diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. “
Gli aspetti educativi delle fiabe, la morale che troviamo in fondo ad ogni racconto per bambini, l’intrattenimento pediatrico a scopo educativo, sono le principali caratteristiche di ciò che abbiamo sempre raccontato noi genitori ai nostri figlioletti, per quietarli nella loro naturale esuberanza o per farli addormentare felici. Tutte le fiabe hanno uno sfondo moralistico, spesso semplice e facilmente comprensibile: il Bene che trionfa, il Male che viene sconfitto, la felicità che si trova nella quotidianità fatta di gesti generosi, l’altruismo. Quasi sempre facile retorica ma a fin di bene. In ogni parte del mondo e in ogni tempo sono esistiti e continueranno a nascere persone che scrivono le favole, molte di esse sono così belle che diventano eterne e più o meno, molto spesso, si rassomigliano. Alcune sono famose e diffuse tra tutti i popoli e si ripetono, si raccontano di generazione in generazione, sempre le stesse perché sono belle e fanno bene allo spirito persino di chi le racconta. Chissà, forse Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi è la favola più bella della Storia, la più ricca di avvenimenti, la più istruttiva. Di certo la più famosa al mondo almeno tra quelle italiane. È così bella e affascinante, soprattutto per il suo miracolo finale, che ha attratto anche il cinema, sia nelle realizzazioni grafiche (su tutte la versione di Walt Disney, che certo non poteva mancare) che in quelle che hanno utilizzato attori in carne e ossa.

Come ogni Autore che si rispetti, anche Matteo Garrone l’ha immaginata e realizzata alla sua maniera, quasi in continuità con un suo successo precedente, Il racconto dei racconti (recensione), riportandone l’atmosfera gotica, la desolazione materica (terra e pietre, campagna disabitata, case fatiscenti), il colore forte della fotografia (qui anche il buio nero come un horror notturno). Egli, in più dei precedenti tentativi degli altri registi, ha potuto sfruttare la tecnologia moderna che gli ha permesso di mettere al centro della scena un burattino legnoso che sembra effettivamente un bimbo e non un pezzo stilizzato di albero: un burattino che si muove, parla e agisce come un bambino, più che realistico, reale. La difficoltà vera, a mio parere, sta nella forzata contrazione della narrazione, essendo la favola originaria una lunga sequela di avventure e di pericoli: una riduzione (termine più che mai adeguato) che doveva pagare la durata accettabile del film, problema che la celeberrima versione televisiva di Luigi Comencini non aveva. E il paragone con quella meravigliosa e irripetibile trasposizione viene spesso in mente durante la visione del film, anche perché la magica presenza e la insuperabile rappresentazione del Mastro Geppetto di Nino Manfredi rimane irraggiungibile. Andrea Balestri, con il suo naturale accento pisano, divenne famoso, ma Manfredi ebbe modo di dimostrare il suo immenso valore. E rimarrà il miglior Mastro Geppetto di sempre, roba da Oscar!

La messa in scena di Matteo Garrone è indubbiamente apprezzabile, curatissima in ogni particolare, creando un mondo che è a metà strada tra il reale e il fantastico, costruendo un mondo che sa di antico ma che è anche senza età, sicuramente come ce lo potremmo immaginare. Gente povera di un paesino qualsiasi, con abitazioni spesso fatiscenti ma arredate come solo nelle fiabe, artigiani di ogni tipo, osterie dove un desco non si nega a nessuno, neanche a Mastro Geppetto, che si sa è un povero falegname a cui non danno neanche una sedia da riparare. Il film si ambienta quindi in un mondo contadino e dunque ne riporta la cultura e l’iconografia, persino con gli animali parlanti e in generale di un mondo animale che è sempre stato a stretto contatto con l’umano, tipico dell’ambiente contadinesco come è stato eternamente rappresentato dalla visione classica rurale. Il grillo (che è parlante, è l’esempio più eclatante, termine tutt’oggi utilizzato per indicare chi consiglia continuamente ma che può risultare insistente e insopportabile), il tonno, la lumaca, per non citare la coppia più cialtrona e truffatrice di tutte le favole: il Gatto e la Volpe. Al di là delle case la sconfinata campagna, umida e piena di pericoli: sembra di trovarsi nel villaggio di Shyamalan, dove la vita avviene dentro e fuori è solo minaccia. E poi c’è l’immancabile scuola, frequentata da ragazzini irrefrenabili, discoli e troppo pieni di energia.

I mitici personaggi della storia sono ben tratteggiati e ovviamente le attese per il Geppetto di Roberto Benigni erano alte. Il premio Oscar si è messo agevolmente a disposizione, essendo nei panni di un personaggio che ben gli si confà, anzi sembra proprio adatto a lui, pur essendo lontano e forse all’opposto da quello di Manfredi. Da quanto tempo non si vedeva un Benigni così in forma al cinema? Ma chi si prende la scena, chi ruba l’attenzione è un altro, è la Volpe di Massimo Ceccherini, il quale è stato così travolgente da impadronirsi perfino della sceneggiatura, scritta appunto a quattro mani assieme al regista. È un ruolo talmente adatto e scritto su misura che quando entra in scena ne diventa quasi il protagonista, oscurando a tratti pure il burattino. Il suo modo di esprimersi, il suo spiccato accento da toscanaccio, l’espressione spiritata, l’aggressività, l’approccio subdolo ne fanno la miglior/peggior Volpe che si possa immaginare e siccome nel frattempo Geppetto è sparito dal racconto per farvi ritorno solo nel finale della Balena, è lui che diventa il principale interlocutore di Pinocchio per buona parte del film. Tanti personaggi, tanti attori, alcuni solo di passaggio, ma tutti italiani. Tranne uno, la bellissima Fata Turchina con le sembianze della conturbante ma qui addolcita Marine Vacht, l’unica che può vantare il costume di un colore non cupo e aggressivo. Sullo sfondo di un’ambientazione da favola nera, con un raro sole che si affaccia a fatica, tra case diroccate, alberi che sembrano nascondere chissà che, gente che passa senza darti uno sguardo, tra sequenze per lo più girate di notte, quell’azzurro è uno spicchio di schermo che illumina la speranza. Unica eccezione il pezzo di stoffa di rosso falsamente “baroccato” ormai stinto e liso che da coperta del letto di Geppetto diventa il bel vestitino del burattino che deve andare a scuola, con in mano l’abecedario comprato con i soldi ricavati dalla vendita del cappotto (“la mi’ casacca”, dice il buon falegname) e del suo giubbetto. Altro insegnamento morale della fiaba: la rinuncia ad un oggetto quasi essenziale per poter offrire il necessario al proprio caro, un generoso sacrificio fatto senza il minimo ripensamento. Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, un encomio a parte per Mark Coulier, il responsabile del trucco, che ha trasformato il piccolo Federico Ielapi in burattino, conosciuto per il lavoro svolto in Harry Potter e per i due Oscar guadagnati per Grand Budapest Hotel e The Iron Lady.

La storia è quella, è bellissima, e nessuno la può cambiare, né permettersi di farlo, la rovinerebbe come minimo, e Garrone l’ha girata fedelmente. È la più bella di tutte forse perché ha insito la morale più alta che si può insegnare ad un bimbo: non è semplicemente l’eterna lotta tra ciò che è buono e quello sbagliato, è piuttosto la medaglia d’oro che si vince comportandosi bene, mantenendo le promesse, ritornando sulla retta via, capendo la gravità degli errori e farne tesoro. È il miracolo mai raccontato nelle fiabe, perché non è una principessa che si risveglia, non è un rospo che diventa principe azzurro, non c’è una strega cattiva che muore e neanche la povera e bella ragazza che si sposa e “vissero felici e contenti”, no. Qui si narra di un burattino che viene al mondo in casa di un poverissimo falegname, che urla felice fuori della porta che è diventato papà (“Svegliatevi, m’è nato un figlio!” “Ma come, da un giorno all’altro”). Qui si narra di un burattino monellaccio che si risveglia in un ovile e si ritrova fatto di carne e ossa, che stenta a credere tastandosi il viso e osservando le mani paffutelle e morbide. Anche se la coscienza (ce l’ha un pupazzo di legno?) gli aveva parlato sin dagli inizi, il Grillo Parlante, e poi sotto le belle sembianze di una Fata severa ma comprensiva e magnanima, solo il suo pentimento lo cambia veramente e lo fa diventare reale cittadino del mondo.
“Babbo, babboooooo, sono un bambinoooooo!!!” E la campagna splende di colori, sotto il cielo azzurro.
Tutto bene? tutto meraviglioso? Beh, nel complesso, non credo. È vero che non si poteva inventare nulla di nuovo, ma è mancato il colpo geniale, è mancata forse l’anima e ha dovuto soffrire di quella “riduzione” di cui sopra, difetto si portano dietro tutti i film che devono abbreviare libri ricchi e corposi. E soprattutto sconta il fatto che ognuno di noi ha un’idea precisa dopo aver letto un libro e che poi lo scopre differente sullo schermo. Quasi sempre.

2021 - Premio Oscar
Candidatura per i migliori costumi
Candidatura per il miglior trucco
2020 - David di Donatello
Miglior scenografo a Dimitri Capuani
Miglior truccatore
Miglior costumista
Miglior acconciatore
Migliori effetti speciali visivi
Candidatura per il miglior film
Candidatura per il miglior regista
Candidatura per la migliore sceneggiatura non originale
Candidatura per il miglior produttore
Candidatura per la migliore attrice non protagonista a Alida Baldari Calabria
Candidatura per il miglior attore non protagonista a Roberto Benigni
Candidatura per il migliore autore della fotografia
Candidatura per il miglior musicista
Candidatura per il miglior montatore
Candidatura per il miglior suono
2020 - Nastro d'argento
Miglior regista
Miglior attore non protagonista a Roberto Benigni
Miglior scenografia
Migliori costumi
Miglior montaggio a Marco Spoletini
Miglior sonoro in presa diretta
oltre ai complimenti al trucco, io citerei anche la scenografia centrata, bellissima. I luoghi scelti sono esattamente quelli del mio immaginario: i borghi, la campagna, le masserie tutti luoghi italiani sconosciuti ai più ma che rappresentano il nostro bel paese così unico e particolare. Anche i costumi meritano un applauso in particolare alla lumachina e al giudice davvero incredibili.
Il mio voto è 9, adoro le fiabe questa in particolare e poi stimo molto il regista Garrone.......