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Quitter la nuit (Through the Night) (Una notte da dimenticare) - (2023)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 28 gen
  • Tempo di lettura: 8 min

Quitter la nuit (Through the Night) (Una notte da dimenticare)

Belgio/Francia/Canada 2023 dramma/thriller 1h48’

 

Regia: Delphine Girard

Sceneggiatura: Delphine Girard

Fotografia: Juliette Van Dormael

Montaggio: Damien Keyeux

Musiche: Sébastien Monnoye

Scenografia: Eve Martin

Costumi: Oriol Nogues

 

Veerle Baetens: Anna

Selma Alaoui: Aly

Guillaume Duhesme: Dary

Anne Dorval: Laurence

Adèle Wismes: Lulu

Gringe / Guillaume Tranchant: Pierre

 

TRAMA: Una notte, una donna in pericolo chiama la polizia. Anna risponde alla chiamata. Un uomo viene arrestato. Passano le settimane, la giustizia cerca le prove, Aly, Anna e Dary affrontano gli echi di questa notte che non possono dimenticare.

 

VOTO 6,5



La serata, ricostruita con molti flashback, doveva essere una festa ma con l’alcol e la voglia di passare qualche ora di libertà, anche sessuale, si trasforma in un disastro. Aly è una donna separata e vive con la piccola figlia nata nel matrimonio con Pierre e ogni tanto si concede uno svago, una variazione per riempire il vuoto che ha non solo in casa ma anche dentro. È una persona che si guarda spesso intorno e le piace divagare. Quella sera, come le capita e come vedremo in seguito, è lei che prende iniziative verso un amico che conosce da tempo, Dary, a cui proprio lei fa le prime avances e gli suggerisce di andare via da quel party per cercare un luogo più adatto per stare insieme e continuare a bere. Si è mai visto un uomo che rifiuta e non coglie l’occasione? I problemi nascono dopo, quando in auto, con una bottiglia di vodka che continuano a scambiarsi, lei pare quasi voler cambiare idea, giravolta che fa innervosire l’uomo che fino a quel momento sembrava un individuo quieto. Qualche scaramuccia, una discussione sempre più vivace, l’assalto del maschio. Ma siccome tutta la sequenza è mostrata a pezzi con la testimonianza successiva della donna e con gli accennati flashback, la ricostruzione diventa un puzzle poco chiaro che, a tratti, a seconda di come viene raccontata, pare anche fumosa, inaffidabile.



Pochi minuti dopo l’aggressione, Aly, spaventata e confusa, chiama con il cellulare la polizia, mascherando la chiamata con il pretesto di contattare la sorella Lulu, a cui fa finta di raccontare vagamente cosa sta facendo, con chi è in auto, la direzione dello spostamento. Chi sta raccogliendo la telefonata è Anna, l’operatrice del centralino, la quale è bravissima ed esperta e sa come porre le domande e capire il vero senso delle risposte, per non far sospettare l’uomo alla guida dell’auto. La passeggera riesce sufficientemente a fornire elementi utili per far localizzare la macchina e farla fermare da un paio di auto di agenti, che immediatamente arrestano Dary. I primi soccorso medici la tranquillizzano e la medicano, dandole appuntamento per il giorno dopo per effettuare le necessarie analisi sul corpo e sui vestiti affinché si possano ricavare elementi probatori della brutta vicenda e stabilire eventuali prove accusatorie chiare ed efficaci contro l’uomo.



Che Aly (una ottima Selma Alaoui) sia una donna con non poche incertezze e instabilità caratteriali salta presto agli occhi quando, tornata scossa a casa, invece di rimanere con i medesimi abiti, non solo si cambia ma fa anche una doccia, cosa che le avevano raccomandata di evitare. Nel frattempo, torna in scena Anna (Veerle Baetens, una garanzia di bravura), l’operatrice che, in maniera comprensibile, da donna capisce le sensazioni che un’altra donna può provare in quelle gravi situazioni: anche lei è parecchio scossa e non ha alcuna intenzione di accantonare quella notta restata impressa nella sua mente come una delle tante chiamate del suo lavoro. Vuole andare più a fondo, vuole sapere come vanno le cose, come sta reagendo la donna maltrattata, se ha veramente subito lo stupro. Le vuole essere accanto per aiutarla.



L’indomani di quella nottata convulsa, i tre protagonisti devono affrontare gli echi della violenza che li ha irrimediabilmente segnati. Aly cerca di tornare alla sua vita e minimizzare gli effetti dell’aggressione; Dary (Guillaume Duhesme) cerca di raccontare e darsi una versione dei fatti con cui può convivere; Anna decide che, anche se non sono strettamente fatti suoi, vuole comunque continuare a far parte della storia e cerca di contattare e avvicinarsi alla persona danneggiata. Sì, sembra una curiosa, se non proprio una ficcanaso, ma invece, come si intuisce nel prosieguo, ha davvero voglia di aiutare Aly perché ha preso a cuore la vicenda, ne è rimasta coinvolta emotivamente.



Il film dell’esordiente Delphine Girard, giovane belga nata nel Quebec, era iniziato come un racconto drammatico che piuttosto si spinge nella sfera del thriller allorquando accade il fattaccio e la polizia e, in seguito, il processo penale che ne scaturisce devono accertare quello che è successo realmente. C’è stata veramente un rapporto sessuale consenziente come racconta Dary, oppure è stata violenza e quindi stupro nonostante il rifiuto? Chi dei due dice la verità? Le certezze, per ora, sono scarse, soprattutto se noi spettatori osserviamo la calma e lo smarrimento che prova e dimostra l’uomo, mentre la donna non sembra pienamente convinta delle sue affermazioni. Anzi è lei che dimostra poca convinzione e la situazione pare precipitare quando addirittura sta pensando di rinunciare alla denuncia, come dichiara alla perplessa poliziotta che la interroga. Perché è così titubante? Era forse consenziente? D’altronde i due si conoscevano da tempo e lei era stata la prima a voler isolarsi con l’uomo.



I dubbi sono tanti e ogni personaggio interessato tira le conclusioni che vuole, anche per comodo. La mamma di Dary (interpretata dall’espertissima Anne Dorval), come ogni madre crede ciecamente a suo figlio e in cuor suo è sicura che sarà assolto. Così come gli crede la dirimpettaia della madre, single con figlio in cerca di compagno, ideale per lo sbandato Dary. Anna è in bilico ma è attratta dalla voglia di sapere la verità ma soprattutto si sente dalla parte di Aly, come donna e come poliziotta, sua fervida alleata per punire la meschinità e la spregiudicatezza degli uomini che si nascondono dietro il paravento del consenso mai veramente ottenuto. I personaggi di contorno, come il marito separato di Aly, sono semplici satelliti che girano intorno alla vicenda centrale e servono alla regista-sceneggiatrice per disegnare in modo esauriente il mondo in cui vive la co-protagonista (in effetti, è difficile scegliere questo ruolo tra la donna e la poliziotta, sono sullo stesso piano di importanza).



È qui che il film assume pienamente le vesti di thriller psicologico, di esplorazione mentale, di studio delle personalità, seguendo con attenzione le reazioni dei personaggi nei vari momenti di alti e bassi a seconda di come vanno le indagini degli inquirenti e i rapporti tra loro, che ogni tanto stridono per il comportamento inatteso e spiazzante. Anna ha paura di andare oltre i suoi compiti precipui e quindi prima avvicinandosi con cautela e poi stanziando nella casa della oltraggiata, ma non molla mai la sua attenzione. La sorella Lulu non le fa mancare mai il suo appoggio e il sostegno morale. La piccola figlia nota il devastante nervosismo che domina in casa e si impaurisce. La mamma dell’indagato sorride a cattivo gioco e lo difende a spada tratta da chi vuole farlo apparire un mostro. Ma soprattutto spiazza Aly, che si lascia andare a gesti affettuosi verso il marito separato, tentenna, non ha idee chiare. È questo, sopra ogni altra caratteristica delle persone e del contesto, che rende anche il pubblico dubbioso sulla veridicità della versione della donna.



E ciò è un danno. È un danno perché - è questo il messaggio implicito della regista - in tal modo si lascia sempre un pertugio aperto all’innocenza dell’aggressore, alle attenuanti del violentatore, che non è detto che debba essere per forza un violento per natura o per carattere: è sufficiente che si sia approfittato di un momento di debolezza della donna. In più, risiamo nel caso in cui si cerca, all’opposto, almeno dalla parte del difensore dell’accusato, di indebolire la parte offesa insinuando il dubbio che sia stata proprio la donna a “cercarsela”, termine volgare (anche giornalistico) e odioso che tende a dimostrare che questa abbia esagerato solo perché pentita di essersi concessa. Che in effetti è quello che il film mostra apertamente, giusto per dimostrare quanto sia sempre più debole la parte femminile in questo dibattito – giudiziario e sociale – e nella trama. Solo nel finale si scopre la verità e l’ultima scena è tutta da interpretare: Dary è seriamente pentito, è dietro la porta di Aly nel tentativo di parlarle. Perché non urla la richiesta di perdono?



Il soggetto dell’opera d’esordio di Delphine Girard nasce da un precedente corto, Une soeur, che ha raccolto premi in tutto il mondo ed anche una candidatura agli Oscar 2020 e sfocia in questa analisi sulle ambiguità delle violenze sessuali, ritrae sia un sistema giudiziario diventato inoperante, quasi inefficace, sia la difficoltà delle vittime a far sentire la propria sofferenza ed esplora, infine, ma con forza, la meccanica della negazione, sia individuale che collettiva. Come dice lei, diventa necessario capire gli effetti dell’aggressione, le cause che spingono una persona a commettere abusi. Quello che ha cercato di fare descrive senza retorica l’indagine della polizia che ruota attorno alla violenza e riesce a ripristinare il potere salvifico di una alleanza femminile tra la vittima e la poliziotta che risponde alla sua richiesta di aiuto. Infatti, a mio parere, l’aspetto più vistoso ed importante dell’intera trama è il legame, che a prima vista sembra anomalo, tra la donna offesa e la donna che ha capito più di tutti il trauma e il dramma dell’offesa. E qui viene fuori tutta la dote drammaturgica della brava Veerle Baetens.



Come è nato il film lo spiega Delphine Girard: “Due anni fa, dopo aver ascoltato una chiamata al 911 statunitense, iniziai a scrivere il cortometraggio. Si raccontava la storia di una telefonata d’emergenza fatta da una donna che era prigioniera in un’automobile guidata dall’uomo che l’aveva appena aggredita. Per chiedere aiuto, finse di chiamare la sorella. Quel lavoro mi colpì più del previsto. Dialogava con l’attualità e con l’improvvisa attenzione sugli effetti distruttivi causati dalle violenze sessuali. Terminai il cortometraggio con un senso di insoddisfazione, anche se non riuscivo a formulare bene le ragioni di quello stato d’animo. Solo partecipando alle proiezioni e alle successive discussioni, compresi quel disagio: nel cortometraggio mi era mancato il tempo necessario per esplorare la complessità del tema e per raccontare le storie dei personaggi come avrei effettivamente voluto. Cosa fa Aly, la giovane donna, dopo quello che ha appena vissuto? Come reagisce Anna, l’operatrice, a quella chiamata? Sente il bisogno di essere coinvolta? Cosa succede a Dary e cosa pensa delle sue azioni? È fondamentale, in questo particolare momento storico, e anche a livello personale, trovare il modo di dare una forma e una sostanza a tutto ciò. È necessario capire gli effetti di un’aggressione, al di là degli strumenti di cui si dota il nostro sistema per reagire. Vorrei mostrare le cause che spingono una persona a commettere un abuso, soprattutto perché non credo sia possibile mutare certi comportamenti senza prima comprenderli. Sono stanca (e furiosa) di vedere la quantità di donne la cui vita è stata sconvolta dalla violenza e sono esausta delle risposte semplicistiche che si danno a questi problemi, perché si finisce sempre con l’opporre i mostri alle vittime. Non credo che così si creerà il terreno fertile per un autentico cambiamento.”



In conclusione, il film è apprezzabile e merita attenzione, e i problemi che solleva e che vuole affrontare la regista sono pesantemente importanti nella società odierna e apporta un contributo alla discussione. La regista credo si sia dispiegata efficacemente e se mostra qualche incertezza è solo per la poca esperienza che non può ancora avere. Il film è un buon inizio di carriera.



 
 
 

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