Race for Glory - Audi vs. Lancia
Italia/Irlanda/UK 2024 biografico/sportivo 1h49’
Regia: Stefano Mordini
Sceneggiatura: Filippo Bologna, Stefano Mordini, Riccardo Scamarcio
Fotografia: Luigi Martinucci
Montaggio: Davide Minotti, Massimo Fiocchi
Musiche: Venerus
Scenografia: Isabella Angelini
Costumi: Grazia Materia
Riccardo Scamarcio: Cesare Fiorio
Daniel Brühl: Roland Gumpert
Volker Bruch: Walter Röhrl
Katie Clarkson-Hill: Jane McCoy
Esther Garrel: Michèle Mouton
Rebecca Busi: Fabrizia Pons
Enrico Oldrati: Christian Geistdorfer
Haley Bennett: giornalista
Giorgio Montanini: Ennio
Gianmaria Martini: Hannu Mikkola
Giulio Brizzi: Ugo Kurt
Gloria Cuminetti: moglie di Gumpert
Lapo Elkann: Gianni Agnelli
TRAMA: I fatti realmente accaduti durante la feroce rivalità tra l’azienda tedesca Audi e l’italiana Lancia nel Campionato Mondiale Rally del 1983.
Voto 6 –
Dal 1970 al 1987 le case automobilistiche investirono milioni di dollari nel rally realizzando prototipi pronti ad essere trasformati in automobili per il mercato. Vincere un rally significava vendere migliaia di auto per appassionati. Il duello Lancia contro Audi accese gli animi di milioni di spettatori. Il 1983, nel mondo dei rally, è da tutti indicato come il Campionato in cui si fece la storia.
Infatti, quell’anno, la squadra Audi Sport e Lancia Abarth Martini Racing sono in competizione e in rivalità per la conquista della vittoria: da una parte la potente ed organizzata squadra corsistica del mitico marchio tedesco, con la sua professionalità e la grande preparazione ingegneristica, dall’altra la enorme voglia del gruppo italiano di mettersi alla pari e tentare di strappare il titolo mondiale e sconfiggere l’egemonia degli avversati, che da qualche anno vincevano senza troppe difficoltà. Un Davide contro un Golia potente che pareva imbattibile. Il team manager Cesare Florio (Riccardo Scamarcio, qui oltre che attore anche sceneggiatore e produttore, assieme ad un colosso come Jeremy Thomas) ha convinto i vertici dell’azienda torinese a finanziare la sua idea, sebbene questi siano molto perplessi, sia per lo sforzo economico che viene richiesto, sia per le poche speranze di riuscire negli intenti.
Loro hanno una macchina super collaudata e con il riuscito sistema di trazione integrale e con accorgimenti tecnici all’avanguardia (vedi la trasmissione con un differenziale di due alberi coassiali), la Lancia è ferma ancora alle due ruote motrici, motivo per cui Florio presenta un progetto ai suoi superiori che vede un’auto che deve sopperire all’inferiorità tecnica con una maggiore agilità e un peso del mezzo parecchio inferiore di quello dell’avversario. Argomento poco convincente che però riesce a far partire l’operazione per la forza persuasiva dell’uomo e anche per merito della bravura dei meccanici italiani.
Il direttore sportivo della divisione sportiva Audi, Roland Gumpert (Daniel Brühl, ormai avvezzo a questo ambiente dopo l’interpretazione nel ruolo di Niki Lauda in Rush) li osserva alla presentazione delle auto con sufficienza, convinto che quella macchina non potrà mai battere la sua efficientissima squadra. In risposta, l’espressione di Florio è di sfida rabbiosa, non parla ma sembra dire all’altro di non stare tranquillo perché avranno pane per i loro denti. La determinazione dell’ex pilota italiano non crolla neanche dopo le prime due gare perse, tanto da riuscire a vincere la terza, dando morale e fiducia proprio quando i vertici dell’azienda stavano per chiudere i rubinetti dei finanziamenti. Perfino l’avvocato Agnelli – che dal 1969 aveva comprato la Lancia – si era fatto vivo alla sua maniera (un omaggio al nonno, dato che lo interpreta Lapo Elkann, un cameo) e ora, dopo la prima vittoria, sembra interessato e si aspetta altri risultati.
La vicenda sportiva è molto fedele alla realtà e a quello che succedeva in quegli anni, perlomeno per ciò che riguarda i rapporti di Florio con il suo pilota preferito Walter Röhrl (Volker Bruch), che nel frattempo, per liberarsi dalla pressione agonistica, si era dedicato alla apicoltura; i rapporti con la dirigenza sempre dubbiosa; l’estrema determinazione che lo animava, dedicandosi anima e corpo all’impresa. Nulla scopriamo sulla sua vita privata, per esempio delle donne, con cui non disdegna approcciarsi ma che non corteggia, nulla sappiamo della sua famiglia, da cui vive lontano per gli impegni stressanti. Lascia tardi il suo ufficio, la mente è sempre rivolta a migliorare la macchina e a scovare espedienti per vincere e dare la soddisfazione all’azienda. Nell’intervista concessa alla giornalista (Haley Bennett), i cui stralci vengono seminati lungo buona parte del film, come intermezzi alla tensione delle gare, è laconicamente chiaro: ciò che lo spaventa di più in questo sport pericoloso è… perdere. Non esiste un modo di perdere bene o male, c’è solo la sconfitta, che lui non sopporta.
Se questa è la trama nelle parti essenziali, il regista Stefano Mordini (quinta volta che dirige Scamarcio dopo Pericle il nero, Il testimone invisibile, Gli infedeli, La scuola cattolica) sa che deve ripartire il film tra le vicende sportive e la vita privata, come sempre viene praticato, ma quest’ultima, come detto, è parecchio messa in disparte, se non per qualche sequenza della passione dell’apicultore-pilota Röhrl, la festa di compleanno del figlio del protagonista e per qualche party in uno dei quali Florio viene a conoscere una bella dottoressa, esperta di alimentazione, utile agli stanchi e stressati uomini della squadra, Jane McCoy (Katie Clarkson-Hill). No, se normalmente la classica sceneggiatura sfrutta un’occasione come questa per un incontro dai risvolti romantici, qui invece ogni aspetto ha un solo scopo, quello di far migliorare le prestazioni agonistiche. Argomento chiuso.
Come ogni film sportivo, la parte sempre difficile, che non soddisfa mai il palato degli intenditori, è quella che riguarda le riprese delle azioni agonistiche. Enormemente ardue sono le sequenze di un’azione di calcio, football, boxe, corse, perché i registi preferiscono dedicare primi piani ai loro eroi e raramente sanno riprendere un’azione spettacolare nel complesso. Solo con alcuni film di boxe si è potuti restare appagati. Il difetto si ripete anche qui: non si ha mai l’impressione di assistere a qualcosa di appassionante e adrenalinico, di avere un’idea piena della gara in senso compiuto (non sono stati usati effetti speciali), anche, purtroppo, per le disponibilità sicuramente inferiori rispetto alle potenti opere americane. Senz’altro si apprezzano alcune scene ma troppo poco per trasmettere il clima altamente agonistico e sfibrante di un rally. In ogni caso, il film punta a restituire il racconto sia da un punto di vista sportivo che da un punto di vista umano. Va da sé che il rally non è uno sport facile da raccontare, si corre contro il tempo, non contro l’avversario.
Siccome siamo italiani, il regista si è divertito ad inserire delle trovate, delle genialate, diciamo pure degli “espedienti” per buggerare avversari, giurie e Federazione internazionale: trucchi furbastri al limite del raggiro. E siccome, ancora, siamo italiani ci divertiamo vedendoli sullo schermo. Che poi siano veramente accaduti non si sa, ma siamo quasi nel campo della commedia all’italiana.
Per quanto riguarda la recitazione non c’è molto da osservare, non sono attori shakespeariani, non si cerca la formazione attoriale indimenticabile, ma l’efficacia e la resa, a cominciare dal vero patron del film che è Riccardo Scamarcio nelle varie vesti con cui si è presentato e che ha voluto fortemente il film, puntando tutto sul confronto tra l’umanità, la genialità, la passione, l’audacia, il coraggio, un briciolo di follia e astuzia di un uomo che riesce a mettere in crisi l’arroganza delle tecnologie e del denaro, utilizzando la metafora di un modo di essere, di uno stile che poteva rinfrescare le idee su chi siamo e da dove veniamo. Tutto all’interno di una competizione sportiva, che è un elemento che intrattiene e incuriosisce. Semplicità e onestà: sono due aggettivi un po’ in disuso che stanno però alla base del film, la semplicità di un mondo ancora analogico, meccanico, e l’onestà di un uomo che ha sfidato la tecnologia. Ed onestamente va detto che Scamarcio ha recitato meglio in altre occasioni, forse perché il film è stato girato in inglese e, pur cavandosela, era troppo impegnato nella pronuncia, temo.
Insomma, è la storia del piccolo Davide italiano vs. il gigantesco Golia tedesco e portare a casa la testa del campione dei filistei fu una grande impresa. Di rito la ripresa finale dei due acerrimi rivali alla fine della gara decisiva che si guardano dai due lati della strada, uno ammettendo la sconfitta, l’altro con la faccia sempre grintosa e nervosa ma soddisfatta: ce l’ho fatta!
Complimenti alla Lancia Martini Racing!
E le donne? Poca roba, però belle. Si intravedono appena Esther Garrel (della dinastia Garrel) che è Michèle Mouton, ex pilota di rally e dirigente sportivo francese, tra le poche donne ad avere vinto gare valide per competizioni di serie mondiali e dal 2009 dirigente della Federazione Internazionale dell’Automobile; la moglie di Gumpert (Gloria Cuminetti); la ben nota Haley Bennett nei panni della giornalista. Chi primeggia è la dottoressa Jane McCoy (Katie Clarkson-Hill) solo perché entra a far parte del team, ma mai un attimo di attrazione tra una donna molto professionale ed un uomo che non vuole perdere, tempo e gara. Non è un film per donne, insomma.
Con la vittoria della Lancia 037, il mondiale del 1983 fu l’ultimo a essere vinto da un’auto a due ruote motrici.
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