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Rapito (2023)

Aggiornamento: 4 mag


Rapito

Italia/Francia/Germania 2023 storico 2h14’


Regia: Marco Bellocchio

Soggetto: Daniele Scalise

Sceneggiatura: Marco Bellocchio, Susanna Nicchiarelli (Edoardo Albinati, Daniela Ceselli)

Fotografia: Francesco Di Giacomo

Montaggio: Francesca Calvelli, Stefano Mariotti

Musiche: Fabio Massimo Capogrosso

Scenografia: Andrea Castorina

Costumi: Sergio Ballo, Daria Calvelli


Paolo Pierobon: Papa Pio IX

Fausto Russo Alesi: Salomone Mortara

Barbara Ronchi: Marianna Padovani Mortara

Enea Sala: Edgardo bambino

Leonardo Maltese: Edgardo giovane

Andrea Gherpelli: Angelo Padovani

Samuele Teneggi: Riccardo Mortara

Corrado Invernizzi: giudice Carboni

Filippo Timi: cardinale Antonelli

Fabrizio Gifuni: Pier Gaetano Feletti

Aurora Camatti: governante Anna Morisi

Alessandro Bandini: padre Mariano

Paolo Calabresi: Sabatino Scazzocchio

Bruno Cariello: maresciallo Lucidi

Renato Sarti: rettore


TRAMA: Edgardo Mortara, un uno dei bambini della famiglia ebrea residente a Bologna, nel 1858, dopo essere stato segretamente battezzato, fu strappato con la forza alla sua famiglia per essere cresciuto come cristiano. La lotta dei suoi genitori per liberare il figlio divenne parte di una battaglia politica più ampia che contrappose il papato alle forze della democrazia e dell'unificazione italiana.


Voto 7

Nella sua notevole filmografia, Marco Bellocchio, grazie a Dio sempre in ottima forma fisica nonostante la sua età, si possono leggere parecchi titoli che si rifanno alla Storia e a diversi avvenimenti che hanno toccato la società italiana, anche e specialmente politica, ma spesso interessando l’aspetto religioso, che può riguardare i protagonisti o l’ambiente in cui si sviluppa la trama. E ciò mai teneramente, sempre facendo evidenziare le sue tante, chiamiamole così, perplessità in merito al credo imperante nel nostro Paese. Anzi, la religione la fa da padrone in alcuni film (Nel nome del padre, 1972; L’ora di religione, 2002, giusto per fare qualche esempio) ovviamente mai, come in questa occasione, trattata bene, facendone risaltare lo strapotere in alcuni frangenti della Storia e le contraddizioni che lui rileva. Stavolta trae il film da un avvenimento realmente accaduto in cui il clero, nella figura centrale del Papa, entra prepotentemente in una storia sconcertante e mai risolta, se si guarda al finale comportamento certamente contraddittorio del giovane Edgardo, a metà tra la ribellione e la sottomissione al cattolicesimo, tra il rifiuto della famiglia, in primis dei genitori che tanto soffrirono, e la voglia di tornare a casa.

Il rapimento di Edgardo Mortara, dipinto da Moritz Daniel Oppenheim nel 1862


Esaminiamo la vicenda dal punto di visto storico.

Il caso Edgardo Mortara fu una celebre vicenda storica che catturò l'attenzione internazionale tra gli anni ‘50 e ’60, riguardante la sottrazione di un bambino di 6 anni alla sua famiglia ebraica da parte delle autorità ecclesiastiche, avvenuta il 23 giugno 1858 a Bologna, allora parte dello Stato Pontificio, a cui fece seguito il suo trasferimento a Roma sotto la custodia di papa Pio IX, per esser allevato come cattolico. Nonostante le disperate e reiterate richieste dei genitori di riavere il bambino, il papa rifiutò sempre di riconsegnarlo. Ciò contribuì a creare nell'opinione pubblica sia italiana sia estera l'immagine di uno Stato Pontificio anacronistico e irrispettoso dei diritti umani. Infatti, quella sera, la Gendarmeria dello Stato Pontificio si presentò alla porta della famiglia ebraica di Salomone, detto Momolo, Mortara e di sua moglie Marianna Padovani, per prelevare il sesto dei loro otto figli (poi nove), Edgardo di sei anni e trasportarlo a Roma dove sarebbe stato allevato dalla Chiesa. La polizia agiva su un ordine della Santa Inquisizione, avallato da papa Pio IX. I rappresentanti della Chiesa avevano riferito che la cameriera cattolica della famiglia Mortara, la quattordicenne Anna Morisi, anni prima aveva battezzato il piccolo Edgardo durante una malattia ritenendo che, se fosse morto, sarebbe finito nel limbo. Secondo il Vaticano, il battesimo non era cancellabile ed il bimbo sarebbe rimasto cristiano per sempre e quindi non poteva restare nella sua famiglia ebraica.

Il film.

Partendo da questo strano evento e dal relativo libro Il caso Mortara. La vera storia del bambino ebreo rapito dal papa di Daniele Scalise, di cui si è servito come soggetto, quindi attenendosi parecchio alla storia originale, Bellocchio racconta analiticamente lo sviluppo della vita del piccolo Edgardo sin da quando viene rapito e inizia la vita collegiale e dottrinale sotto il vigile sguardo dei preti che lo educano, insieme a tanti altri, secondo i severi principi della Santa Romana Chiesa, sempre con lo sguardo privilegiato del Papa Pio IX (Paolo Pierobon) che sorveglia quasi in prima persona l’indirizzamento educativo di quei bimbi, tanti dei quali nelle stesse condizioni del piccolo protagonista. Seguendolo da vicino, il regista - accompagnando parallelamente gli sforzi del padre Salomone (Fausto Russo Alesi) per recuperarlo e la disperazione della madre Marianna (Barbara Ronchi) – ci mostra il percorso che lo conduce dallo spavento e dallo smarrimento dei primi giorni all’assuefazione alla nuova vita, imparando tutte le frasi latine per seguire in maniera partecipativa le funzioni religiose, arrivando anche alla Prima Comunione e poi alla Cresima. Mentre fuori dal Vaticano l’insofferenza che cova tra i cittadini che cercano di organizzarsi per abbattere quel Potere Temporale e per far annettere la città all’unificazione dell’Italia nascente, maggiormente mossi e scossi dalla vicenda dell’esfiltrazione del piccolo, i genitori di Edgardo non si arrendono e cercano di dimostrare in tribunale le loro ragioni, accusando il terribile e astuto capo dell’Inquisizione Pier Gaetano Feletti (Fabrizio Gifuni) di aver compiuto un reato ordinando ai gendarmi di portar via il piccolo Mortara.

La storia del film è lunga e percorre l’intera crescita del giovane che ormai è diventato anche sacerdote, dopo che ogni tentativo dei genitori per riaverlo è stato vano, sia perché la Giustizia ha dato loro torto sia perché il ragazzino ormai si è conformato alle idee cattoliche ed è stato catechizzato in una maniera che, usando un termine oggi in uso in modo negativo, si potrebbe anche definire radicalizzato. Anche dimostrato da un momento onirico (caratteristica che si ripete nel film anche per un altro personaggio, il Papa assalito da un incubo in cui sogna di essere circonciso – ogni tanto Bellocchio ama questi attimi di sogno, come in Buongiorno, notte, quando Aldo Moro viene liberato e si incammina con la musica di Schubert) in cui lui stacca i chiodi dalle mani e dai piedi di Gesù, il quale scende dal crocifisso per incamminarsi. Scena bis, si potrebbe dire. Storia lunga, appunto, che arriva sino alla mitica Breccia di Porta Pia (1870) e l’insurrezione che porta alla cacciata del Papa che si rinchiude nel Vaticano fino alla sua morte, durante il cui funerale la gente assalta il corteo funebre cercando di buttare nel Tevere la bara papale. Attimi di grande confusione popolare, anche da parte del giovane prelato Edgardo, che prima cerca di difendere il feretro e poi si unisce ai rivoltosi. Ad ulteriore conferma dello smarrimento e del disordine mentale che ha accompagnato tutta la sua giovane esistenza. A cui si contrappone il fratello maggiore che invece aveva già abbracciato convintamente la causa dell’Unità d’Italia. A scanso di equivoci, la didascalia prima dei titoli di coda ci ricorda che “Don Pio Maria Edgardo Mortara continuò fino al 1906 la sua vita di predicazione e di attività missionaria. Nello stesso anno si stabilì nel monastero dei canonici regolari di Bohay vicino a Liegi, in Belgio, dove morì l’11 marzo del 1940 quasi novantenne”.

Un caso sconcertante, è evidente, ma non l’unico, specialmente in quel periodo, e che purtroppo si verifica anche oggi sotto altre forme, caso che dimostra ancora una volta quanto conti nascere in un posto casuale del mondo o in una famiglia invece che in un’altra, degli educatori che i piccolissimi incontrano nella vita. Da tutte queste condizioni poi si sviluppa il carattere e l’educazione di un individuo: puoi crescere in un luogo dove si soffre la fame, dove puoi conoscere il benessere sociale, dove ti insegnano una religione invece che un’altra, e via dicendo. Cosa sarebbe successo al piccolo Edgardo se la cameriera non si fosse assunta l’iniziativa di battezzarlo in quella forma “amatoriale”? o se l’Inquisizione esistente in quel luogo e in quel tempo non fosse venuta a conoscenza? o se il bambino fosse nato in un altro periodo storico? Ma tant’è. E difatti questo “rapimento” (kidnapping è il titolo internazionale del film) è tanto fisico quanto spirituale. Comunque, non è di questo che Marco Bellocchio ci vuol parlare, piuttosto, siccome si era interessato per caso alla vita di Pio IX, ha rivolto l’attenzione al principio dell’intolleranza religiosa, dal momento che ogni religione crede in assoluto a certi principi ai quali non può rinunciare. La Chiesa è fondata sulla misericordia e sulla carità, ma di fronte a un battesimo non può derogare in alcun modo e far prevalere l’umanità. Il “non possumus” che pronuncia ad un certo punto il Papa indica tutta la rigidità dell’istituzione, generando una forma di violenza all’interno della quale Edgardo cerca di sopravvivere. Afferma: “A me interessava un film dove il sentimento venisse prima del pensiero, senza però teorizzare nulla, senza forzare la mano. Ormai non ho più voglia d’imporre al film un discorso politico, o come in questo caso antireligioso, ma lascio che a guidarmi siano la mia emozione, il mio coinvolgimento emotivo, dando al film una sua naturalezza che spinga gli spettatori a muoversi liberamente al suo interno.”

Nell’ambito di queste idee, il regista, lasciando da parte la sua vena dissacrante e sarcastica verso la religione, punta decisamente al travaglio del giovane protagonista. Dice: “Nella scena in cui Edgardo adolescente prima assale Pio IX e poi è costretto a leccare il pavimento disegnando una croce, più che la carica assurda ci vedo la lotta interiore del personaggio, l’obbedienza che mette fine a quelle che oggi potremmo definire le resistenze del suo inconscio.” E realizza il film alla sua ben nota maniera, con un’opera quadrata, direi addirittura tetragona, sicura, inquadrature ferme secondo il suo noto stile, film come al solito di grande tenuta formale, fortemente fotografata da Francesco Di Giacomo (ritroviamo i suoi colori p.e. in Martin Eden, Esterno notte, L’attesa). Ma, sebbene abbia apprezzato il film, il suo contenuto e la forma ineccepibile, non ho avvertito l’emotività che ho provato in tante altre occasioni. Bello e consistente, quindi, ma non memorabile. Data la mia dilettantesca preparazione non mi sento in grado di criticare il regista ma ritengo che abbia trascurato di descrivere meglio il passaggio psicologico e morale, dell’adolescente e del giovane, dall’educazione ebraica alla convinzione cattolica e papalina. Dal punto di vista prettamente storico e letterario, non so se si è attenuto strettamente al libro del soggetto (non avendolo letto) ma se si è scostato sarà stato di poco conto, in quanto le parti essenziali ci sono tutte. Tanto che, secondo la storica Marina Caffiero, il film rappresenta una fedele e moderata rappresentazione della vicenda storica. Piuttosto, ha suscitato alcune polemiche riguardo alla sua presunta natura anticattolica (che l’autore ha escluso come descritto prima), ma anche ammessa non sarebbe una novità. Sono invece d’accordo con chi, come alcuni critici, ha espresso delusione per il finale poco convincente e fin troppo didascalico. Quel che conta è che il film sia stato apprezzato per la sua storia paradossale, in alcuni momenti sconcertante, e per la grande ricerca formale.

Affidabile tutto il cast, tra cui emergono l’esperto attore teatrale e cinematografico Paolo Pierobon, il fedelissimo (del regista) Fausto Russo Alesi, l’eclettico Filippo Timi, lo straordinario Fabrizio Gifuni e la bravissima e sempre più cercata Barbara Ronchi, una garanzia. Celebrata nell’ultima e commovente scena in cui la madre, ormai morta, accarezza il suo perduto bambino che non ha mai più potuto riavere per recitare assieme i versi prima di farlo addormentare, come aveva raccomandato prima di farselo strappare dalle braccia.

“Mio figlio… È EBREO!”

Sì, questo fu un crimine.

Riconoscimenti

2024 - David di Donatello

Miglior sceneggiatura adattata

Miglior autore della fotografia

Miglior scenografo

Miglior costumista

Miglior truccatore

Miglior acconciatore

Candidatura miglior film

Candidatura miglior regia

Candidatura miglior attrice protagonista per Barbara Ronchi

Candidatura miglior montatore

Candidatura migliori effetti speciali visivi

2023 - Nastro d'argento

Miglior film

Migliore regia

Migliore attrice protagonista per Barbara Ronchi

Migliore attore non protagonista per Paolo Pierobon

Migliore sceneggiatura

Miglior montaggio

Candidatura al migliore attore protagonista per Fausto Russo Alesi

Candidatura alla migliore fotografia

Candidatura alla migliore scenografia


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