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Raw - Una cruda verità (2016)


Raw - Una cruda verità

(Grave) Francia/Belgio 2016 horror 1h39’


Regia: Julia Ducournau

Sceneggiatura: Julia Ducournau

Fotografia: Ruben Impens

Montaggio: Jean-Christophe Bouzy

Musiche: Jim Williams

Scenografia: Laurie Colson

Costumi: Elise Ancion


Garance Marillier: Justine

Ella Rumpf: Alexia

Rabah Naït Oufella: Adrien

Laurent Lucas: padre

Joana Preiss: madre


TRAMA: Nella famiglia di Justine sono tutti veterinari e vegetariani. A sedici anni, Justine è una studentessa brillante e promettente ma, quando inizia la scuola di veterinaria, entra in un mondo decadente, spietato e pericolosamente seducente. Durante la prima settimana di riti iniziatori, si allontana disperatamente dai principi familiari e mangia carne cruda per la prima volta in vita sua. Presto, dovrà confrontarsi con le terribili e inaspettate conseguenze del gesto mentre la sua vera natura comincia venire a galla.


Voto 7

Justine è una timida sedicenne francese che si è appena iscritta all’università per diventare veterinaria. Da sempre vegetariana. facendo parte di una famiglia convinta di quel tipo di nutrizione, viene accompagnata dai genitori (lei ginecologa e lui dermatologo, professioni non casuali ai fini del quadro incorniciato della vicenda) al residence universitario dove però non trova la sorella Alexia, che lì studia, la quale aveva promesso di accoglierla. Il che è già un primo segnale inquietante, ma in quel momento insignificante, di cosa scoprirà in seguito. Ben presto si ritrova insieme alle altre matricole in balìa dei riti di iniziazione gestiti dai ragazzi dell’ultimo anno: un mix tra divertimenti imposti e prove da superare. Fra i ragazzi che reggono il gioco c’è appunto anche la sorella maggiore, che vede parecchio diversa da come lei se la sarebbe aspettata. Nel frattempo, la ragazza inizia a frequentare i corsi e ad interagire con compagni e professori, i quali non sempre la fanno sentire a suo agio: si legge facilmente sul suo viso quanto si senta disadattata, estranea, fuori posto, con la paura scolpita sula sua espressione. Il compagno di stanza è il suo unico amico, gay, e con lui condivide molti momenti, tra cui i festeggiamenti che seguono al primo rapporto sessuale del giovane. Quando Justine si ritrova costretta a mangiare carne per quel rito di iniziazione, durante il quale non riceve alcun sostegno dalla sorella, che ormai non è più vegetariana, inizia ad avere stimoli aggressivi e a mangiare carne in maniera incontrollata, oltre ad avere strane reazioni allergiche e una sempre maggiore voglia di apparire sensuale. Il risveglio di una mattina, ricoperta di chiazza rosse che prudono come un fuoco, conduce ad un folle e irresistibile bisogno di grattarsi sino a farsi del male. È già una scena da incubo.

Non poche volte i film horror, che spesso vengono considerati di serie b, hanno dietro la cinepresa autori di prestigio. È il caso di Julia Ducournau, che ad oggi ha firmato solo due film, entrambi acclamati dalla critica, sebbene non in modo universale, facendo nascere un dibattito nell’ambito. La sua dote principale è che non scrive film per far inorridire e basta, no: alla base ci sono motivazioni da studiare e da considerare con attenzione ed entrambi i film hanno infatti raccolto riconoscimenti in tutto il mondo. Con questa prima opera, anche se premiata a Cannes con il FIPRESCI, era rimasta ancora nell’ombra, almeno da noi, ma quando ha vinto la Palma d’Oro con il secondo, Titane, tutti, come svegliati dal torpore, sono corsi a riconsiderare questo film precedente: un esordio eclatante, stimolante, da osservare meglio. Erroneamente trascurato.

Inizialmente sembra un’opera di formazione, che però diventa “un body horror, una riflessione sugli abissi del desiderio e una fotografia della violenza sociale, un apologo sulla morale e un melodramma familiare” (come scrive Alice Cucchetti), cominciando come il debutto di una adolescente nel mondo dello studio più impegnativo e nella carriera da percorre. Ed invece le si spalanca un territorio che non solo non conosceva ma che la stravolge e la ingoia, facendola meravigliare - senza riflettere adeguatamente - sul suo cambiamento, tutta dedita alla scoperta delle nuove sensazioni. Era arrivata nelle aule con la fama di essere una prima della classe, intelligente e molto al di sopra della media rispetto al resto degli studenti, ma la deviazione che sente dentro di sé la distrae, la deconcentra, attratta sempre più dalla scoperta del sapore della carne. E non parlo di ricette culinarie. L’organo crudo di un coniglio che ha dovuto mettere in bocca in quel selvaggio rito iniziatico l’ha inorridita ma le ha aperto un nuovo orizzonte: il consumo di carne cruda risveglia in lei – alla pari di una inclinazione remota - una fame che non riesce a controllare e quando Alexia perde un pezzo di dito in uno strano incidente, Justine scopre che i legami familiari non sono un ostacolo a ciò che per lei potrebbe costituire cibo, in una sequenza che dà quindi l’inizio di un nuovo scenario di vita e di cinema.

Che la sorprendente Julia Ducournau abbia come numi tutelari e di ispirazione i grandi registi del genere è lampante e lei stessa ha avuto modo di dichiararsi ammiratrice di alcuni di loro [dice che La mosca la commuove…], e qualsiasi spettatore non può non andare col pensiero a David Cronenberg a maggior ragione dopo aver osservato attentamente il film successivo e i legami tra i protagonisti e la carne, e il metallo. Qui siamo solo nel campo del primo riferimento, la carne. Cruda. Umana. Ci aveva visto giusto M. Night Shyamalan dopo averla scoperta con un corto (suo reale debutto) ma dopo il primo lungometraggio, di cui era rimasto entusiasta, l’aveva ingaggiata da produttore per due puntate della serie Servant. La oggi quarantenne regista ha stupito per come ha tracciato il cammino della protagonista Justine descrivendo il ribaltamento che questa subisce, accompagnando la sua maturazione di ragazza chiusa e intimidita di vittima ad artefice delle scelte e a individuo che varca improvvisamente un confine quando le si accende una fame mai prima provata, da quasi anoressica a bulimica in fase bleeding. Quando non è più in grado di tenere a bada quella fame, lei, come automa ispirata, è in balia di un comportamento che sembra la rivalsa verso chi era, in un primo momento, il carnefice, figura che ora è la sua prerogativa. Justine, minuta e fragile, ora si sente forte e sfrontata. Dominatrice in grado di decidere e lasciarsi addirittura andare.

Sfrontata così come è il film, che è crudo (=raw) e feroce, ma che mostra tutta la baldanzosa sicurezza di una regista dalle notevoli doti: ogni scena, ogni inquadratura, ogni dialogo, l’intera sceneggiatura dimostrano solo quanto siano chiare le idee da portare sul set, di quanto polso sia in possesso. Sembra, in pratica, una cineasta di provata esperienza, in grado perfino di stupire con un finale davvero inatteso, quando sembra essere solo la tappa finale della folle corsa della giovane verso l’epilogo inevitabile. Ed è orrore e controcolpo di una scena girata con consumata vitalità da parte della sorprendente Ducournau, che non ci risparmia neanche l’ulteriore coda anch’essa inaspettata – ma rivelatrice - delle ultime immagini accompagnate dalle rivelazioni del padre delle ragazze. Come dire, l’origine del male.

Le ultime considerazioni vanno di diritto ai giovani attori che popolano un film denso di personaggi secondari, che servono ad infoltire lo sfondo in cui si snocciola il racconto, sia l’humus familiare di provenienza che quello vivace oltre ogni limite del villaggio e del campus universitario, tra eccessi trasgressivi tanto lontani dal futuro che li dovrebbe attendere. Giovani attrici e attori per nulla intimiditi dall’obiettivo della regista. Chi emerge, così come ci si attenderebbe, è la giovanissima Garance Marillier, diciottenne al momento dell’uscita dal film, ma dal viso angelicamente immaturo, ragazza che dimostra spavalderia e sicurezza alla pari della regista, interpretando magnificamente la Justine della metamorfosi delle sensazioni intime e delle espressioni relative, necessarie per raccontare l’evoluzione della protagonista con molta efficacia, da attrice esperta, quale invece non era (in una scena caotica, lei, in disparte e pronta a scattare, può ricordare l’Alex di Kubrick, con il viso abbassato. lo sguardo in avanti, il sorriso malefico). Interpretazione così riuscita da essere richiamata dalla regista parigina nel film successivo, con cui questa ha riscosso la notorietà definitiva, consacrata dai premi. Eppure, non esiterei a mettere entrambi i film almeno sullo stesso piano. Almeno. Basterebbe leggere i premi ricevuti, cioè 25 oltre a 45 candidature.

Riconoscimenti

2016 – Festival di Cannes (Settimana internazionale della critica)

Premio FIPRESCI

2018 – César

Candidatura miglior sceneggiatura originale

Candidatura miglior commento musicale

Candidatura miglior suono

Candidatura miglior regia

Candidatura miglior film

2016 – London Festival

Miglior opera prima


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