Rosalie
Francia/Belgio 2023 dramma 1h55’
Regia: Stéphanie Di Giusto
Sceneggiatura: Stéphanie Di Giusto, Sandrine Le Coustumer
Fotografia: Christos Voudouris
Montaggio: Nassim Gordji-Tehrani
Musiche: Hania Rani
Scenografia: Laurent Ott
Costumi: Madeline Fontaine
Nadia Tereszkiewicz: Rosalie Deluc
Benoît Magimel: Abel Deluc
Benjamin Biolay: Barcelin
Guillaume Gouix: Pierre
Gustave Kervern: Paul
Anna Biolay: Jeanne
Lucas Englander: Camilius
Serge Bozon: il fotografo
Eugène Marcuse: Jean
Juliette Armanet: Clothilde
TRAMA: Nella Francia del 1870, la giovane Rosalie nasconde un segreto: fin dalla nascita il suo corpo e il suo viso si sono ricoperti di peli. Una donna barbuta che non ha mai voluto diventare un’attrazione da fiera. Un giorno, il proprietario di un caffè sommerso dai debiti decide di sposarla per la dote, ma quando scoprirà la verità la rifiuterà. Ma Rosalie è una ragazza coraggiosa e intelligente, pronta a sfidare il mondo.
Voto 7
La lista dei film che hanno narrato le difficili storie di persone afflitte da anomalie più o meno gravi, di difetti fisici e mentali di vario genere e gravità, di pesanti malattie affliggenti e condizionanti, è lunghissima. A volte esibiti come fenomeni da barraccone, in altri casi nascosti alla vista degli estranei per la vergogna dei familiari o degli stessi, questi individui hanno comunque sempre sofferto, sia per i maltrattamenti subiti, sia per la inesistente possibilità di condurre una vita normale. Trame angoscianti per la cattiveria degli sfruttatori (vedi Venere nera di Abdellatif Kechiche,) ma anche trame fortemente drammatiche per la buona volontà di chi si metteva in testa di alleviarne le sofferenze corporali e psicologiche (vedi The Elephant Man di David Lynch), giusto per fare due esempi posti agli estremi dei casi.
Stéphanie Di Giusto - che già nel precedente esordio Io danzerò, si era occupato di una donna dal forte carattere e indipendente, la Loïe Fuller che rivoluzionò la danza all’inizio del ‘900 e che affrontava la vita con libertà e tormento – prende spunto da un caso realmente accaduto, ed esattamente dalla storia di Clémentine Delait, una parigina vissuta tra il 1865 e il 1939, una donna barbuta che comunque aveva trovato marito con cui divenne un’attrazione nel locale dove si serviva da bere. Qui, pur nella fantasia del soggetto e della sceneggiatura scritta dalla regista assieme a Sandrine Le Coustumer, quindi due donne che scrivono di una donna, siamo molto vicini alla realtà.
Rosalie (Nadia Tereszkiewicz) è una bellissima ragazza che il padre Paul (Gustave Kervern) protegge con molto amore e che non fa trapelare il segreto della casa, quello di una figlia nata con una forte propensione alla peluria, vistosamente sparsa per tutto il corpo, per giunta sul viso che la costringe a radersi tutti giorni. Lui invecchia e spera che in ogni caso la figlia trovi marito. L’occasione giunge quando un uomo non più giovane, Abel (Benoît Magimel), spinto dai debiti verso il sindaco e signorotto della zona, Barcelin (Benjamin Biolay), accetta, ignaro, di sposarla per via della allettante dote. Lui non sa nulla e né lei né il padre hanno rivelato il loro segreto, ma la ragazza, dolcissima e intelligente, piena di iniziativa, mai abbattuta per il suo aspetto, sorridente e disponibile ad ogni soluzione, purché pacifica, è determinata e coraggiosa (ho elencato molto pregi e nessun difetto, ma Rosalie è così!) e confida che tutto andrà bene, anche con l’aiuto della preghiera verso il crocifisso che custodisce sotto il cuscino, quello dedicato a Wilgefortis, la santa patrona delle persone trans e intersessuali, che si fece crescere la barba per proteggere la propria castità dalle mire dello sposo.
Facile immaginare come può andare la prima notte del matrimonio, con l’attendibile reazione dell’uomo e della rabbia che lo assale. “Speravo che lei fosse diverso” fa notare la ragazza, “Io, al contrario, speravo che lei fosse uguale alle altre” risponde Abel. Ma Rosalie non è un tipo arrendevole, si è abituata negli anni a resistere e a reagire positivamente alle avversità, nonostante sia rimasta sola da quando il padre, subito dopo lo sposalizio, ha preferito eclissarsi chissà quanto lontano dal paese. Ne nasce uno strano rapporto, inizialmente di guerra unilaterale, mentre la donna è sempre disponibile ad attendere tempi migliori. Che arrivano quando lei suggerisce all’altro che la sua presenza potrebbe dare impulso alla caffetteria che gestiscono, perché la gente del luogo verrebbe a maggior motivo a consumare nel locale per guardarla, ma – attenti – non sbarbata ma proprio con la barba cresciuta e curata, come un uomo qualsiasi. E questo succede veramente, fino a far cresce gli affari come non mai. Il rapporto migliora ma non matura mai verso un vero legame affettivo ed entrambi ricorrono ad altri espedienti per soddisfare le voglie sessuali: lui va a prostitute, lei si masturba sulla riva del fiume nascosto nel bosco.
Tutto sembra procedere nel verso giusto o almeno tranquillo, ma come in tanti casi simili, è la cattiva gente che rovina i piani: il clima di accettazione da parte della popolazione, falsa o sincera che sia, verso quel “fenomeno” che si aggira per le stradine come se nulla fosse, degenera in violenza e solo in questo momento Rosalie ha un momento di abbattimento e di delusione. Lei, che contava sempre sulla gentilezza, la disponibilità e la bontà, resta non solo delusa ma proprio ferita nel fisico e nel morale, avvertendo il primo attimo di resa. È qui che, finalmente, è Abel che fa più di un passo avanti, difendendola e apprezzandola. Fino al gesto eclatante, per cui il film da dramma raggiunge l’apice di tragedia e di dimostrazione di amore vero, quello tanto atteso dalla Rosalie piena di grazia.
Quindi, per la seconda volta su due occasioni, Stéphanie Di Giusto rivolge la sua attenzione e la sua arte a favore di una eroina, una donna differente, dolce ma combattiva che, pur di andare avanti per la propria strada e affermare la propria personalità, si scontra con l’ambiente. Rosalie è temeraria, sfrontata nel senso migliore, coraggiosa, pur essendo rimasta nel guscio protetto del padre fino al giorno del matrimonio, ha accettato la sfida con il mondo circostante e può sempre essere orgogliosa di come si comporta. Il suo sorriso, contorniato dai baffi e dalla barba, è disarmante e se le altre donne e gli uomini del villaggio reagiscono male è solo perché ne vengono affascinati, perché non sono capaci come lei di essere buoni e gentili, perché (ahimè succedere ancora oggi più che mai) hanno l’infondata paura verso il diverso. Come succede anche e persino al burbero padre-padrone del luogo, l’indisponente e severo sindaco Barcelin, che la affronta ogni volta per redarguirla e metterla al suo posto ma che finisce ogni volta soggiogato dalla sua fresca umanità, dalla sua soggiogante sensibilità. Rosalie ha il grande pregio di accettarsi e di avere la forza per combattere per farsi accettare. Peculiarità non comune. La protagonista abbraccia l’idea che ognuno di noi può diventare davvero quello che è e, di conseguenza, anche il film della Di Giusto è, in questi anni di remake, reboot, sequel, prequel, è un atto coraggioso di “uscita dal gruppo” con una storia che indubbiamente appassiona.
Magari ha qualche momento di stasi nella parte centrale quando si ripetono le scene di tentativi e di rifiuti tra i due coniugi ma sono, credo, necessari a mostrare sia le prevedibili perplessità di Abel sia la fermezza e la decisione insite nell’animo della inarrendevole Rosalie, altrimenti si arriverebbe alle battute finali senza averla adeguatamente capita nell’intimo. Per fare ciò necessitava di una regia che evitasse la celebrazione di una vittima della Natura come anche quello del cinema biografico classico e della solita storia dell’accettazione del diverso. No, la regista, con mano precisa, elabora una bella e drammatica vicenda e dirige molto bene un cast molto buono e indovinato.
Bisogna, per dovere di priorità, iniziare a parlare ed elogiare la bella Nadia Tereszkiewicz, dotata di una eccellente predisposizione attoriale e di una bellezza che riassume i geni di una biografia multinazionale, essendo franco-finlandese con origini polacche. Lei indossa i panni della protagonista con grande leggiadria, mostrando evidenti segni di talento naturale e facilità di recitazione. Davvero brava. Ma mi preme mettere in risalto, come se ci fosse inutilmente bisogno, l’ennesima prestazione di qualità di Benoît Magimel, ormai assurto ad attore di livello mondiale. La sua performance è straordinaria, soppesata, dai tempi eccezionali, di grande presenza scenica, maturo quanto i più grandi attori francesi, capace di far credere allo spettatore che ogni ruolo che interpreta pare cucito solo per lui. Dopo l’inizio giovanile di notevole importanza (non dimentichiamo che si era prepotentemente affermato con La pianista di Haneke), il periodo di appannamento dovuto ai suoi guai giudiziari pareva averlo allontanato dai set importanti, ma da qualche anno è tornato più forte di prima. Anche il resto del cast, a cominciare dal noto Benjamin Biolay, lavora molto bene e ciò è un’ulteriore dimostrazione della buona regia.
Non rimarrà un film indimenticabile, ma è bello e merita attenzione e ha la grande qualità di poter essere una storia senza tempo, essendo principalmente una vicenda che dimostra quanto sia difficile essere se stessi oggi come ieri, con il concetto di bellezza omologato e prestabilito a cui tante ragazze si adeguano. Rosalie, invece, si ribella e guarda dritto negli occhi degli interlocutori e degli spettatori per chiederci se questo è giusto, se deve arrendersi o continuare a resistere combattendo contro il pensiero appiattito dai canoni.
Riconoscimenti
Festival di Cannes 2023
Candidatura a Un Certain Regard
Candidatura Queer Palm
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