top of page

Titolo grande

Avenir Light una delle font preferite dai designer. Facile da leggere, viene utilizzata per titoli e paragrafi.

Cerca
Immagine del redattoremichemar

Rustin (2023)


Rustin

USA 2023 dramma biografico 1h46’


Regia: George C. Wolfe

Sceneggiatura: Julian Breece, Dustin Lance Black

Fotografia: Tobias A. Schliessler

Montaggio: Andrew Mondshein

Musiche: Branford Marsalis

Scenografia: Mark Ricker

Costumi: Toni-Leslie James


Colman Domingo: Bayard Rustin

Chris Rock: Roy Wilkins

Glynn Turman: A. Philip Randolph

Audra McDonald: Ella Baker

Aml Ameen: Martin Luther King Jr.

CCH Pounder: Anna Arnold Hedgeman

Michael Potts: Cleveland Robinson

Jeffrey Wright: Adam Clayton Powell Jr.

Bill Irwin: Abraham J. Muste

Da’Vine Joy Randolph: Mahalia Jackson

Thomas W Wolf: Barnes

Carra Patterson: Coretta Scott King

Adrienne Warren: Claudia Taylor

Gus Halper: Tom Kahn

Johnny Ramey: Elias Taylor


TRAMA: Nel 1963 l’attivista politico Bayard Rustin è influenzato dai discorsi, dai pensieri e dalle azioni di Martin Luther King. Quando gli viene affidato il compito di organizzare e coordinare una marcia per la libertà e i diritti civili verso la Casa Bianca con circa 100.000 persone, ci mette anima e corpo. Il suo entusiasmo e la sua energia contagiosa motivano i suoi colleghi a fare del loro meglio per portare a termine con successo il grande evento.


Voto 7

Parafrasando un titolo cult del cinema di decenni fa, chi è Bayard Rustin, e perché in tanti lo ostacolano, lo frenano, lo evitano lo vogliono uccidere politicamente? Il problema principale è che molti, il sottoscritto in prima fila, ignorano chi sia e perché sia stato così importante per la gente di colore americana e perché le sue battaglie facessero tanta paura negli Stati Uniti, in particolar modo negli ambienti conservatori dove il razzismo era latente ovunque. È per questo motivo che, siccome siamo di fronte, ancora una volta, ad un film che tratta la vita di una personalità, necessitano alcuni cenni biografici del personaggio, un uomo di forte carattere, pieno di energia, che non si intimoriva delle chiare ostilità sociali che doveva affrontare tutti i giorni, specialmente fuori dalla sua cerchia più fidata.

Bayard Rustin, originario della Pennsylvania, era un attivista molto dinamico e di primo piano tra i movimenti per i diritti civili, in nome della nonviolenza e per i diritti degli omosessuali. Nonostante la sua riconosciuta dote di leader, non riusciva mai ad ottenere incarichi importanti, ostacolato dalla coerenza delle scelte praticate. Nero, pacifista, sostenitore delle “non violenza” e omosessuale: caratteristiche che nell’America degli Anni Cinquanta e Sessanta erano potenti ostacoli alla sua decisiva affermazione. Amato e sostenuto dai suoi seguaci più vicini, era un vero idolo per l’energia e l’impegno anche morale che metteva nel quotidiano compito che si prefiggeva. Le autorità lo tenevano d’occhio sin dalla gioventù a causa della sua iscrizione al Partito Comunista americano, che ha sempre, dappertutto e in ogni tempo, rappresentato il più valido motivo per loro, la polizia e l’FBI per restare attenzionato senza sosta e anche motivo per essere bloccato in ogni iniziativa. Per giunta, anche l’omosessualità era considerata un pretesto valido per l’arresto. Inoltre, Rustin rifiutò la chiamata alle armi motivando la sua scelta con la sua fede quacchera e con l'appartenenza ai movimenti pacifisti e venne quindi condannato a 3 anni di carcere per renitenza alla leva.

Nel dopoguerra si impegnò nel movimento contro le cosiddette leggi Jim Crow per mettere fine alla segregazione razziale ed alla discriminazione degli afroamericani negli Stati Uniti, sostenendo il metodo della disobbedienza civile e la necessità di una cooperazione tra bianchi e neri nella risoluzione della questione razziale, in evidente contrapposizione con Malcom X e con i leader delle Black Panthers che sostenevano invece posizioni addirittura separatiste. Per giunta, nel 1953, fu arrestato per omosessualità anche se lui non aveva mai nascosto le sue tendenze sessuali e ciò fu spesso utilizzato contro di lui dai suoi detrattori e contribuì a farlo restare dietro le quinte del movimento senza mai diventarne portavoce.

Il film, affidandosi alla carismatica interpretazione di Colman Domingo, ricalca queste orme ed evidenzia egregiamente le idee che portava avanti con convinzione, senza timore e soggezione, orgoglioso e consapevole dell’importanza sociale di tutto ciò, trovando incoraggiamento anche nell’uomo - tra i pochissimi bianchi al suo fianco, come poche altre ragazze - che frequentava in privato, Tom (Gus Halper), con cui però non riuscì mai ad avere un vero legame, con il dolore dell’altro. Piuttosto perse la testa per un giovane uomo di colore Elias (Johnny Ramey) che ricambiò tutto l’affetto, anche fisico, pur essendo sposato, ma che lo mollò quando seppe dalla moglie di stare a diventare padre. Stavolta con il dolore e la delusione del protagonista, il quale, in un’accesa discussione con Martin Luther King, accorgendosi che volevano sfilargli l’organizzazione della marcia perché non pareva a grandi leader la persona più adatta, fa presente con impeto il suo passato e il suo presente, con un discorso che illumina la persona e le sue battaglie: “Spiegami perché, con tutto quello che c’è in sospeso, sono costretto di nuovo a giustificare la mia esistenza. Ci viene insegnato in modi subdoli e crudeli che siamo inadeguati, incompleti. Sopportiamo questa sensazione di non valere niente solo individuando chi crediamo inferiore perché più povero più scuro di noi, o perché desidera qualcuno che le nostre chiese e le nostre leggi non approvano. Quando raccontiamo bugie così e cominciamo a crederci, agevoliamo i nostri oppressori opprimendo noi stessi. Strom Thurmond [politico americano repubblicano] e Hoover [il capo dell’FBI] se ne fregano di me! Ciò che in realtà vogliono distruggere è la possibilità di radunarci e di chiedere che questo Paese cambi. Si aspettano le mie dimissioni?” “Alcuni sì” dice l’attonito Martin Luther King. E lui riprende con un gran finale: “Allora dovranno licenziarmi, perché io non mi dimetterò! Il giorno in cui sono nato nero, sono nato anche omosessuale! O credono nella libertà e nella giustizia di tutti o non ci credono.”. Ecco chiari i motivi per cui la sua vita era diventata una missione per portare alla libertà e ai diritti sia gli uni che gli altri. Per qual momento, comunque, vinse la guerra intestina e divenne quello che voleva essere per il suo popolo, anche con l’aiuto del reverendo che si adoperò per lui impegnandosi in prima persona.

La marcia su Washington del 1963 è stata uno degli avvenimenti più importanti per la storia dei diritti civili statunitensi e, come è facilmente intuibile, non è avvenuta da un giorno all’altro. Ci sono voluti anni e anni di progetti, pianificazione, discussione, qualificazione, costruzione di un piano e aggiramento di ostacoli burocratici. Buona parte del film è dedicata a come Rustin ha combattuto per ottenere il privilegio di poter gestire l’organizzazione del grande evento, avendo trovato mille posizioni ostili proprio tra i potenti uomini neri che non volevano, come, tra gli altri, il deputato Adam Clayton Powell (Jeffrey Wright): alla fine vinse la sua caparbietà e nel giro di sette mesi portò in porto la marcia trionfalmente. Ciò che poi è avvenuto in quella calda giornata del 28 agosto 1963 nella capitale ha cambiato il mondo, rendendolo migliore. Ma, va ancora ribadito, ha dell’assurdo che una delle persone che più di tutte hanno reso possibile la marcia su Washington abbia un nome che finora è stato più o meno nell’ombra. Forse proprio per le sue peculiarità, di cui però lui non si vergognò mai e anzi ne era orgogliosamente fiero.

A produrre il film, tra i diversi nomi spiccano quelli di Michelle e Barak Obama (ancora una volta, come in Il mondo dietro di te), notoriamente sempre impegnati a favore di cause sociali e civili, mentre a dirigerlo è George C. Wolfe, un regista di colore già fattosi notare con l’interessante Ma Rainey's Black Bottom (2020), ma più votato a regie, sceneggiature e produzioni teatrali, con moltissime opere all’attivo. Dato il soggetto, questi sceglie il registro del film pieno di dialoghi, molto parlato, proprio perché serviva spiegare le difficoltà in essere per un popolo, quasi ancora allo stato di segregazione, per potersi esprimere liberamente e marciare senza subire la repressione e la violenza della polizia e dei militari già allertati. L’opera di Bayard Rustin viene dispiegata molto bene, passo passo, con tutti gli incitamenti morali che lui sapeva seminare e distribuire tra i tanti collaboratori che pendevano dalle sue labbra, come un santone seguito dai fedeli.

Il film è la celebrazione di quell’uomo perché è stata la persona che ha maggiormente contribuito a trasformare la manifestazione nella capitale da una serie di idee teoriche scritte in un evento di portata mondiale. Perché aveva un sogno. E grazie ai suoi sforzi, il sogno di un raduno pacifico di massa che chiedeva la libertà divenne finalmente realtà. La regia è adeguatissima e competente, essendo George C. Wolfe una persona preparata sui fatti e facente parte, essendo di colore, di una porzione di società che ha sempre avuto difficoltà. Oltre una perfetta fotografia, una eccellente e performante sceneggiatura, quello che risalta con molta evidenza è la meravigliosa colonna sonora che accompagna l’intero film: è la musica di Branford Marsalis, il cui contributo va oltre i meriti del film, una musica bellissima e affascinante che lui suona con i suoi vari tipi di sassofoni riempiendo l’atmosfera di jazz sopraffino e trascinante. Tra tutti questi eccellenti nomi emerge quello che risalta maggiormente e che ha raccolto non solo la stima dei critici ma anche le candidature ai premi importanti. Mi era capitato di imbattermi in Colman Domingo – che ha recitato in molti film, anche importanti, ma non lo avevo mai notato - in un film minore, The God Committee - La scelta, dove mi aveva impressionato per la bravura fino a farsi notare come il migliore in tutto il cast e avevo apprezzato molto il modo di esprimersi e di recitare con espressività. Qui ha modo di sciorinare il suo completo repertorio, dimostrando il suo valore per intero, esprimendo la vivace qualità di verve oratoria di cui era dotato il protagonista di questa storia. Vicenda e biografia ben spiegata dal regista anche per merito dell’attore: espressioni, occhi saettanti, sorrisi da ammaliatore, recitazione fisica e attoriale rimarchevole. Un grande attore che si è guadagnata la nomination ai premi.

Opera interessante e istruttiva e manifestatamente politica che, pur se naviga nel mare dei tanti film che possono passare inosservati, emerge per l’importanza storica dell’evento che va ricordato e fatto conoscere. Tra le mille battaglie che il popolo osteggiato ha dovuto sostenere per liberarsi dalle catene non solo materiali.

Da godere i titoli di coda per ascoltare il bellissimo e trascinante brano di chiusura a cura di Lenny Kravitz e per le immagini e i video di repertorio.

Bayard Rustin e Martin Luther King


Riconoscimenti

2024 – Golden Globe

Candidatura al miglior attore in un film drammatico a Colman Domingo

Candidatura alla miglior canzone originale a Lenny Kravitz (Road to Freedom)


4 visualizzazioni0 commenti

Post correlati

Mostra tutti

Land (2018)

Comments


Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

bottom of page