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Sesso & potere (1997)

Aggiornamento: 3 giu 2023


Sesso & potere

(Wag the Dog) USA 1997 commedia 1h37’


Regia: Barry Levinson

Soggetto: Larry Beinhart (American Hero)

Sceneggiatura: Hilary Henkin, David Mamet

Fotografia: Robert Richardson

Montaggio: Stu Linder

Musiche: Mark Knopfler

Scenografia: Wynn Thomas

Costumi: Rita Ryack


Robert De Niro: Conrad Brean

Dustin Hoffman: Stanley Motss

Anne Heche: Winifred Ames

Denis Leary: Fad King

Willie Nelson: Johnny Dean

Andrea Martin: Liz Butsky

Woody Harrelson: serg. William Schumann

Kirsten Dunst: Tracy Lime

William H. Macy: ag. Charles Young

John Michael Higgins: John Levy

Suzie Plakson: Grace

James Belushi: sé stesso

Craig T. Nelson: sen. John Neal

George Gaynes: sen. Cole


TRAMA: Poco prima delle elezioni, il presidente degli Stati Uniti viene accusato di molestie sessuali verso un'adolescente. Per distogliere gli sguardi dallo scandalo viene inscenata una finta guerra in Albania.


Voto 7

C’è un antico e ben noto detto siciliano che stabilisce se è meglio comandare o fare sesso, che tradotto in termini attuali si potrebbe riportare nel connubio tra il potere ed il sesso, che, ancora di più, diventano un’unica passione per chi siede nelle poltrone comode del comando. Il perché di questa semplificazione è presto spiegato: molto spesso chi ha il timone del dominio e quindi del potere in senso lato (a capo di una istituzione o organizzazione, che può distribuire posti di lavoro, che può assumere o far assumere, che può disporre di quantità di denaro per corrompere, e via dicendo) ha l’occasione o la prepotenza di sottomettere psicologicamente l’interlocutore per ottenere prestazioni sessuali. Affondiamo ancora di più la mano nel fango: oggi, come sempre, il potere è maschile e maschilista (i due concetti, come è evidente, non coincidono ma si sovrappongono) e di conseguenza l’interlocutore di cui sopra è facilmente una donna, sempre in difficoltà ad ottenere una mansione e quindi è sempre la parte debole della contrattazione, specie da parte di un uomo altolocato nella scala dominante. Una volta come oggi, mai nulla è cambiato. Se poi l’uomo potente ne approfitta perché, appunto, è potente, fa finta di nulla, sottovaluta per comodità, minimizza per smorzare le conseguenze.

Gli esempi sono tanti e le donne, nella storia, hanno spessissimo taciuto per vergogna o per sottomissione psicologica. Fino ad un certo giorno, perché recentemente la Donna si è ribellata, ha rivelato, ha urlato e si difende. È nato #MeToo. Qualche volta succede pure che, accadendo queste tristi vicende in politica, sono gli avversari che sollevano lo scandalo a corte. Come l’esempio di questa caustico film di Barry Levinson, che coglie al balzo il romanzo American Hero di Larry Beinhart e ne trae, con la grande esperienza che gli si riconosce, una dark comedy graffiante, cattiva e agghiacciante trama, scritta per lui da Hilary Henkin e da quel diavolaccio dello spettacolo (teatro e cinema) chiamato David Mamet, i cui prodotti sono sempre stati più che interessanti, tra il thriller mentale e quello fisico. La buona idea di partenza necessitava di un buon cast che rendesse tutto incisivo, motivo per il quale il regista ha chiamato una lista eccellente di attori da far invidia a tante produzioni.

Il caso eclatante trattato dal libro e dal film non è del tutto privo di fantasia ed è così attendibile che solo qualche mese dopo l’uscita nelle sale esplose il caso dello scandalo passato alla storia come Sexgate e cioè la relazione sessuale di Bill Clinton con la stagista Monica Lewinsky. Presidente USA che in seguito dovette fronteggiare (ma siamo proprio sicuri?) vari attentati alle ambasciate statunitensi in Africa, ordinando un'immediata risposta militare. Ebbene, la trama del film ci racconta che quando a pochi giorni dalle elezioni scoppia lo scandalo delle avance del presidente a una scout girl in visita alla Casa Bianca, Conrad Brean, il cervellone che si occupa dell'immagine del Presidente inventa nel giro di pochi minuti una guerra all'Albania. E per far credere a tutti che la guerra sia veramente scoppiata chiede aiuto a Stanley Motts, produttore hollywoodiano. In altre parole è la strategia che, quando serve e se viene ritenuta necessaria, si adotta nella politica di ogni luogo: quando un personaggio politico importante o addirittura un governo combina un grosso guaio o si scopre che è stato commesso un evidente errore, oppure ancora si vuol far passare in secondo piano una decisione importante che suscita clamore e proteste, si svia l’attenzione della pubblica opinione con un evento a sorpresa, un colpo di scena così eclatante che costringe tutti a parlar d’altro. Nel film il piano viene definito: diversivo.

Dunque, il Presidente ha abusato di una ragazzina in una stanza della Casa Bianca. La desolante notizia salta ben presto fuori e i media sono pronti ad imbastire una feroce polemica a soli pochi giorni della elezione che lo contrappone all’agguerrito avversario, il senatore John Neal, che, ovviamente, coglie con piacere la dorata occasione. Lo staff presidenziale deve assolutamente trovare una soluzione. Per fare ciò chiamano Conrad Brean, una sorta di Mr. Wolf, l’uomo che risolve problemi, una persona dalle mille idee, vulcanico e decisionista, che sa sempre trovare la via d’uscita anche nei labirinti. “Ci sto lavorando” ripete e chi gli fa obiezioni. Sicuramente dorme poco e dove capita in questi giorni febbrili. Coadiuvato dalla efficiente e sveglia Winifred Ames, il risolutore sceglie velocemente e si fa portare a Los Angeles nella lussuosa villa del produttore cinematografico Stanley Motss a cui espone il problema e il suo punto di vista per salvare il Presidente: inventarsi una piccola ma significativa guerra con l’Albania (!) dove si nascondono alcuni terroristi che armeggiano con una valigetta contenente un ordigno nucleare.

Fantasioso? Non credibile? Surreale? No, basterà montare un video e mostrare qualche sequenza della “guerra” fantasma e la gente ci crederà, semplicemente perché “l’ho visto alla televisione”. Ma cosa simulare? Semplice. Il produttore organizza nel giro di qualche ora un set dove, con opportuni trucchi di scena ed espedienti computerizzati, si mostra un villaggio albanese bombardato, dalla cui case semidistrutte sta scappando una dolce fanciulla con un gattino tra le braccia. Tutto finto. tutto non vero ma realistico, possibile. L’importante è che sia credibile, mentre, nel frattempo, gireranno voci di bombardieri smentiti, di un prigioniero di guerra dietro le linee nemiche e quant’altro. Lo scopo è distrarre l’opinione pubblica fino al giorno delle elezioni, dato che il Presidente è sempre in vantaggio in termini di sondaggi elettorali e che, come dice un vecchio detto più volte passato in TV in quei giorni, se la corsa sta andando bene perché cambiare il cavallo a metà percorso? Ci vorrà anche un buon sottofondo musicale e i due fenomeni, uno delle idee, l’altro della messa in scena, ingaggiano anche un noto musicista che scrive brani adatti per i filmati. E siccome siamo nel periodo delle canzoni scritte dai più noti cantanti a scopo benefico, ecco il coro adatto che, in perfetto stile We Are the World (vedi Michael Jackson e Lionel Richie), sarà l’impareggiabile base musicale per far commuovere, mentre la giovane albanese corre tra le grida spaventate degli abitanti del villaggio. Attenzione: la ragazza ha il giovane viso di Kirsten Dunst, non ancora assurta alla notorietà che raggiungerà due anni dopo con lo straordinario Il giardino delle vergini suicide di Peter Weir. Andrà tutto per il verso giusto ma il finale sarà davvero inaspettato, soprattutto o forse proprio perché tutto il film è assurdo (ma realistico!!!).

Un vecchio furbacchione come Barry Levinson ha tutto dalla sua parte, anche la grande abilità di chiamare sul set due attoroni in forma smagliante: Robert De Niro e Dustin Hoffman. Talmente divertenti e divertiti (lo si nota) che sono un vero spasso dal primo all’ultimo minuto. Il primo è il navigato Conrad Brean, lo spin doctor che porta tutti i segni dell’attore a cominciare dalle inimitabili smorfie che lo hanno reso celebre, la mimica, la velocità d’esecuzione, i dialoghi fitti, un parlatore che convince chiunque, anche gli agenti della CIA. L’altro è Stanley Motss, produttore vanesio, supponente, sicuro, che non sta mai zitto, convinto di essere uno dei più grandi imprenditori cinematografici, arrabbiato solo perché non esiste il Premio Oscar per la produzione. Quando, alla fine dell’avventura, cercherà di assicurarsi la ricompensa almeno morale, cadrà la sua testa. Una coppia di interpreti magistrali non molte volte visti assieme sullo schermo e questa era la loro seconda esperienza, diretti molto bene da Barry Levinson che li aveva già sufficientemente conosciuti l’anno precedente in Sleepers. Gigioneggiano un po’, innegabile, ma sono uno spettacolo insieme, tirano fuori la loro esperta recitazione come un gioco. L’autore, a parte qualche momento di stanca o di qualche passaggio a vuoto - essendo un film da commedia movimentata e brillante e molti dialoghi - ha saputo senza dubbio realizzare un’opera che diverte e destabilizza, perché in maniera surreale ci mostra come si può manipolare sia la verità che il falso, punzecchiando con ironia le strategie dei politici potenti che dispongono di uno staff preparato e senza peli sullo stomaco. Una commedia che è satira che non ha paura di tingersi di sarcasmo cinico. Come in fondo sono molti politici navigati, disposti a tutto pur di giungere al traguardo che si sono imposti.

Chissà se ci è capitato, a nostra insaputa, di essere stati (dis)informati su quell’accaduto o su quella guerra oppure su quell’incidente strano e se non abbiamo mai avuto dubbi su ciò che la TV ci narra tutti i giorni. C’è una scena in cui l’addetta alle pubbliche relazioni Winifred Ames (la povera Anne Heche) chiede all’impassibile Brean se anche una certa notizia, molto diffusa e data per vera, sia stata alterata e lui la guarda senza parlare… Film istruttivo? Forse. Fantasioso? Forse. Rivela i segreti della politica sporca o è tutto inventato da quel diabolico Mamet? E chi può dirlo!

A proposito del titolo originale: c’è una didascalia importante all’inizio della pellicola. “Why does a dog wag its tail? Because the dog is smarter than the tail. If the tail was smarter, it would wag the dog.” (Perché un cane scodinzola? Perché il cane è più intelligente della coda. Se la coda fosse più intelligente, scodinzolerebbe il cane.). Questo titolo, che può non significare nulla, lo si capisce ad un funerale di stato che fa parte della messinscena, dove un cane addestrato deve scodinzolare fedele.

Il Presidente non si vede mai, solo di sfuggita, di spalle, sfuocato. Lui è fuori dalla storia, è solo il pretesto. Il titolo del romanzo lo si deve all’eroe inventato, la pedina necessaria della scacchiera. In contorno, il commento musicale è di Mark Knopfler.

Sicuramente val la pena di vedere questi simpaticissimo film. Che ci apre gli occhi. Forse. Oppure no.

Riconoscimenti

1998 - Premio Oscar

Candidatura al miglior attore protagonista a Dustin Hoffman

Candidatura miglior sceneggiatura non originale

1998 – Festival internazionale del cinema di Berlino

Orso d'argento



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