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Sotto accusa (1988)


Sotto accusa

(The Accused) Canada/USA 1988 dramma/thriller 1h51’


Regia: Jonathan Kaplan

Sceneggiatura: Tom Topor

Fotografia: Ralf D. Bode

Montaggio: O. Nicholas Brown, Gerald B. Greenberg

Musiche: Brad Fiedel

Scenografia: Richard Wilcox

Costumi: Trish Keating


Jodie Foster: Sarah Tobias

Kelly McGillis: Kathryn Murphy

Bernie Coulson: Kenneth Joyce

Leo Rossi: Cliff “Scorpion” Albrect

Ann Hearn: Sally Fraser

Carmen Argenziano: procuratore distrettuale Paul Rudolph

Steve Antin: Bob Joiner

Tom O'Brien: Larry

Peter Van Norden: procuratore Paulsen

Terry David Mulligan: tenente Duncan

Woody Brown: Danny

Scott Paulin: procuratore Ben Wainwright


TRAMA: Dopo che una giovane donna ha subito un brutale stupro di gruppo in un bar una notte, un prosecutore aiuta ad assicurare i colpevoli alla giustizia, compresi quelli che hanno incoraggiato e applaudito l'attacco.


Voto 7,5

Sarah Tobias (Jodie Foster), cameriera in un bar con una pessima reputazione, una sera viene violentata in un bar da tre maschi, tra l’incitamento di alcuni avventori e l’indifferenza di altri. La procuratrice Kathryn Murphy (Kelly McGillis) si occupa del caso, e accetta un patteggiamento per lesioni colpose (escludendo così lo stupro) per i tre aggressori. Spinta dalla vittima però, con la quale instaura pian piano un rapporto di solidarietà, si rende conto di aver condotto superficialmente il caso. Con l'aiuto di un testimone, lo studente Ken Joyce, la legale decide di portare in tribunale anche tutti gli uomini che hanno istigato i tre alla violenza, accomunati da una notevole avversione per la femminilità della vittima, costretta a subire violenza dopo essere stata invitata a giocare a flipper e ubriacarsi. La causa viene vinta ed oltre a far mandare in prigione gli istigatori, ottiene il risultato di far aumentare la pena da scontare ai tre stupratori e la modifica dell'imputazione da lesioni colpose a violenza sessuale.

Siamo nel decennio degli ’80 e questa storia fa scalpore ma, purtroppo, fino ad un certo punto: la legittima ribellione delle donne (che certamente non riguarda solo il fenomeno sociale del femminismo) che è esplosa letteralmente nei primi anni del XXI secolo, è ancora lontana e in quegli anni poteva sembrare perfino una notizia di cronaca come tante, soprattutto nella profonda provincia americana. Non credo che allora facesse tanto clamore da svegliare dal torpore quotidiano l’opinione pubblica che si incuriosiva alla vicenda solo perché appunto cronaca. Oggi, per fortuna o, meglio, per maggiore indignazione, i notiziari se ne interessano di più ma, bisogna ammetterlo, queste sono diventate notizie così frequenti che la reazione è sì indignata ma anche assorbita dalla impressionante reiterazione del reato. E non parliamo dei femminicidi che hanno raggiunto statistiche impressionanti, degne da bollettino di guerra. Ma da punto di vista sociologico è interessante osservare come Jonathan Kaplan sappia aprire questa ferita della civiltà e guardarci dentro senza fronzoli, mostrare la dura realtà senza inibizioni, senza evitare una narrazione sommaria. Più è analitico, più è efficace, e quindi raggiunge facilmente lo sdegno che una persona civile può provare.

Un aspetto che colpisce nella storia e che notiamo succedere ancora oggi, quindi sempre nelle vicende simili anche oggi, è la modalità di difesa degli accusati e purtroppo anche di buona parte dell’opinione maschile insensibile e che ogni volta, come in questa trama, si cerca di colpevolizzare la donna: se l’è cercata, era provocante, com’era vestita, era ubriaca, aveva provocato il comportamento degli stupratori. Senza dimenticare l’insopportabile sospetto malizioso che punta a dimostrare che la donna non ha fatto intendere chiaramente che non era d’accordo, che non ha manifestato chiaramente il suo diniego. Tutte caratteristiche che sentiamo oggi nei commenti a margine e che qui si ritrovano pari pari nella sceneggiatura di Tom Topor, che non ci risparmia proprio nulla. Se inizialmente pare che la descrizione particolareggiata voglia essere evitata ma fatta solo intuire, nella seconda parte, a seguito della testimonianza dello studente presente alla scena di violenza, Ken, il regista ce la descrive nei minimi dettagli, in una serie di scene insopportabili, ottenendo efficacemente la reazione emotiva dello spettatore. Perché più si è chiari, a maggior ragione si ottiene il quadro reale degli avvenimenti, senza spazio per la fantasia o l’immaginazione.

Indubbiamente il film è particolare, perché è composto da due tronconi, da due dibattiti giudiziari. Prima con la denuncia da parte dell’offesa Sarah Tobias, poi per l’insoddisfazione morale della donna che induce la procuratrice Kathryn Murphy a procedere con l’accusa di istigazione per tutti coloro che vi hanno assistito, i quali, invece di intervenire in favore della vittima, hanno contribuito al reato incitando, esaltando l’ambiente e incoraggiando l’azione malefica dei tre, già condannati in prima istanza ma in maniera troppo morbida per via di un accordo tra le parti legali. Infatti, era successo che la Murphy aveva avuto la sensazione, in verità errata, di aver ottenuto il massimo delle condanne pattuite nel primo processo, ma in seguito - anche e soprattutto per l’insistenza di Sarah, convinta di non aver ottenuto giustizia per il grave oltraggio subito - aveva cominciato a ripensare al caso e a considerarlo diversamente. Motivo per il quale si è messa alla ricerca dell’unico vero testimone oculare che avrebbe cambiato completamente la prospettiva nell’aula di tribunale e avrebbe indotto, comunque tra mille difficoltà e scetticismo generale (tra cui quello del suo capo, che ormai minaccia di licenziarla), la giuria popolare a far comminare condanne anche agli astanti colpevoli e maggiori pene ai tre già riconosciuti responsabili dello stupro.

Affinché la giustizia trionfi. Anche se non può bastare a frenare, sciaguratamente, questa malattia sociale.

Allora come oggi. Stesso comportamento malvagio dell’uomo predatore, convinto della propria forza fisica impunita, con la persistente convinzione di essere superiore rispetto alla donna, maschilista convinto che si meraviglia quando viene messa in dubbio questa ipotetica supremazia primordiale. Fa impressione rivedere questo film oggi, accorgendosi che nulla è cambiato, se non, appena, un minimo di risveglio della coscienza maschile e di tutta la società al riguardo, anche da parte del legislatore. Che ancora non ha fatto tutto il possibile affinché le donne non vengano più molestate sul lavoro, in strada, e soprattutto in casa. La povera Sarah provava a dire NO, ma la bocca gliela tappavano, le mani erano bloccate e, colmo dei colmi, in tribunale gli avvocati della difesa, che ovviamente svolgevano il loro compito, chiedevano con insistenza e scherno se la donna avesse fatto il possibile per difendersi, chiedere aiuto e far capire che non ci stava, perché (si sa, vero?) se non ti opponi in maniera che i violenti capiscano vuol dire che sei consenziente. O, peggio, se li hai prima provocati poi ne subisci le conseguenze. Facile immaginare il disagio della vittima che non sempre ha la capacità psicologica – dato lo stato d’animo - di dimostrare il contrario, specialmente di fronte ad un avvocato esperto che sa metterla in difficoltà durante l’interrogatorio in aula. Tanto, a volte, da saper far ribaltare i giudizi.

The Accused, dice il titolo originale: gli accusati, oppure, come si voleva dimostrare, Sarah, accusata di aver provocato gli uomini, che quindi avevano attenuanti a loro favore?

Per fare tutto ciò erano necessarie e indispensabili due attrici in gamba e in forma. Una è la allora bellissima Kelly McGillis, reduce dei precedenti successi planetari di Witness – Il testimone di Peter Weir (1985) e Top Gun di Tony Scott (1986), che, con la sua notevole presenza affascinante e con l’abbigliamento e la pettinatura di moda negli ’80, si mostra subito come donna volitiva e senza paura, preparata professionista nel suo campo. Peccato che dopo, pur lavorando fino a qualche anno fa, non abbia più trovato l’occasione per riaffermarsi e si è dovuta accontentare di film scarso successo. Chi brilla di luce propria, chi si prende la scena e i premi è una eccezionale Jodie Foster oramai in piena ascesa artistica. Qui è davvero superba: grinta, incisività, sicurezza, esibizione di sfumature recitative da diva esperta, caratterizzazione esemplare del personaggio. Durante la visione ci si accorge quale nobile razza di interprete sia e perché abbia fatto la carriera che l’ha portata sul set di grandi autori e a due Oscar, il primo dei quali vinto giusto con questo bel film.

Jonathan Kaplan sa gestire il suo compito di regista specializzato nel genere e realizza sicuramente il suo miglior film, sfruttando adeguatamente scenografia e costumi, senza trascurare il commento musicale caratteristico di quegli anni, con il merito di saper mettere a fuoco la problematica centrale, così come il ruolo dei personaggi, ad iniziare dalle due donne, certamente indovinate.

Ottimo film, che malauguratamente è ancora attuale, non è cambiato granché, quasi nulla. Ed è un male.

Riconoscimenti

1989 - Premio Oscar

Miglior attrice protagonista a Jodie Foster

1989 - Golden Globe

Miglior attrice in un film drammatico a Jodie Foster

1990 - Premio BAFTA

Candidatura miglior attrice protagonista a Jodie Foster

1989 - David di Donatello

Miglior attrice straniera a Jodie Foster


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