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Stranizza d'amuri (2023)

Aggiornamento: 8 apr


Stranizza d'amuri

Italia 2023 dramma biografico 2h14’


Regia: Giuseppe Fiorello

Sceneggiatura: Giuseppe Fiorello, Andrea Cedrola, Carlo Salsa, Josella Porto

Fotografia: Ramiro Civita

Montaggio: Federica Forcesi

Musiche: Giovanni Caccamo, Leonardo Milani

Scenografia: Paola Peraro

Costumi: Nicoletta Taranta


Samuele Segreto: Gianni Accordino

Gabriele Pizzurro: Nino Scalia

Simona Malato: Lina, madre di Gianni

Fabrizia Sacchi: Carmela, madre di Nino

Enrico Roccaforte: Franco

Simone Raffaele Cordiano: Totò

Antonio De Matteo: Alfredo Scalia

Anita Pomario: Giuseppina

Roberto Salemi: zio Pietro

Giuseppe Spata: Ciccio Scalia

Alessio Simonetti: Turi


TRAMA: Sicilia 1982. Mentre le televisioni trasmettono i Mondiali di calcio e gli italiani sperano nella Coppa del mondo, due adolescenti sognano di vivere il loro amore senza paura. Gianni e Nino si incontrano per caso e poi si amano per scelta. Il loro amore sarà puro e sincero, ma non può sottrarsi al pregiudizio del paese che non comprende e non accetta. Il loro amore non sarà compreso nemmeno dalle rispettive famiglie, generando così un conflitto interno forte e doloroso.


Voto 6

Ancora oggi, in Italia non siamo un popolo che si è deciso, in maniera definitiva, di accettare pacificamente le diversità di genere (e diverso è un aggettivo errato) o le scelte in campo sessuali (e scelto è un aggettivo errato), figuriamoci nei primi anni ’80, specialmente nelle zone del nostro Paese dove la mentalità era ferma a concetti retrogradi, poste in ogni angolo del territorio, da nord a sud. Questo ambiente fornì terreno fertile per una tragedia avvenuta a Giarre, in provincia di Catania, nel 1980 quando fu commesso un duplice omicidio il 31 ottobre ai danni di due giovani, Giorgio Agatino Giammona di 25 anni e Antonio Galatola di 15, scomparsi da casa due settimane prima, che furono trovati morti, mano nella mano, uccisi da un colpo di pistola ciascuno alla testa. Tutti conoscevano i due ragazzi, che nel paese venivano chiamati “i ziti” (i fidanzati). Giorgio, in particolare, era dichiaratamente gay poiché all'età di 16 anni fu sorpreso dai carabinieri del posto in auto insieme con un altro giovane e perciò fu denunciato. Per questo venne soprannominato in siciliano “puppu co bullu”, corrispondente a “omosessuale con il timbro” da intendersi ovviamente in senso dispregiativo ed alludendo alla circostanza che il fatto era stato accertato dalla pubblica autorità, verosimilmente, in un verbale. Scritta che si può notare sul muro del giovane anche nel film.

Da questi avvenimenti realmente accaduti, Giuseppe Fiorello, spesso chiamato Beppe, colpito dalla storia, ne ha tratto un film in maniera abbastanza libera, spostando la trama nel 1982 durante l’estate dei Campionati Mondiali di calcio vinti dall’Italia di Paolo Rossi e modificando l’età dei due protagonisti, che qui sono entrambi adolescenti. Scegliendo anche una diversa allocazione dei fatti e arricchendo la visione con i brani celebri del tempo, non solo per il momento storico ma soprattutto con canzoni che fanno chiaro riferimento alla omosessualità dei due giovani protagonisti, in primis la meravigliosa “Il mio mondo” di Umberto Bindi, straordinario cantautore genovese che fu parecchio discriminato dalla RAI, nonostante il successo che aveva, per la sua dichiarata vita sessuale.

Quindi eccoci catapultati nel momento storico adattato nel film. Nella Sicilia di quegli anni, Gianni è un ragazzino di 17 anni che non ha amici. Preso di mira da alcuni coetanei che hanno scoperto la sua omosessualità, subisce in silenzio il loro odio e pregiudizio. Unico suo conforto è sua madre, Lina, che lo sostiene anche quando si deve scontrare con il carattere burbero e violento del suo compagno, Franco, proprietario dell'officina dove lavora. La sua vita cambia e trova l’illuminazione di un presente fatto di sorrisi e di affetto quando incontra Nino, un sedicenne intraprendente, puro, semplice, spontaneo e sorridente. In sella ai rispettivi motorini, i due si scontrano accidentalmente ma quell'incidente fa nascere un'amicizia profonda che senza imbarazzo si trasforma in amore, in special modo quando i due cominciano a lavorare insieme per la ditta di Alfredo, il padre di Nino, che porta avanti una tradizione antica di famiglia: i fuochi d'artificio nelle feste di paese. In quella attività hanno modo di potersi incontrare più spesso e stare assieme, scoprendo le gioie di un affetto forte come succede a tutti gli innamorati, liberi, in quei momenti, dalla mentalità antiquata del paese e soprattutto fuori dalla portata degli sguardi e dei pesantissimi sfottò dei giovani nullafacenti sempre fuori al sole del bar Mocambo. Tutto fa presagire il peggiorare della situazione e il pericolo di violenze non solo verbali. L’omofobia è una brutta bestia e ne leggiamo nelle cronache quotidiane.

Quando le voci e i pettegolezzi si fanno più pressanti e pesanti, le due mamme sono spaventate e, lanciando moniti affinché la storia finisca quanto prima, poco fanno per difenderli sino in fondo (anzi,“Il più bel regalo che puoi fare al tuo amico è sparire”) e quando Gianni e Nino si accorgono che non riescono a vivere felici se non quando sono insieme, decidono ribellarsi e fanno ancora una volta una gita al torrente dove avevano consolidato il loro bellissimo legame. Dando così, purtroppo, in quel luogo isolato, la chance a chi aveva ricevuto il compito di eliminarli. Se fu, nella realtà, una propria iniziativa o un ordine di altri non è stato mai appurato dalle indagini, oltretutto perché il materiale esecutore pare sia stato un tredicenne, quindi allora neanche imputabile in un processo per delitto.

Le intenzioni morali di Beppe Fiorello sono encomiabili e da buon siciliano ha saputo scegliere gli ambienti assolati, la campagna assetata e pietrosa, le cittadine dell’entroterra, le feste popolari e i fuochi pirotecnici della piccola ditta del padre di Nino, i caratteri gioviali e festosi delle famiglie ma spesso rudi e arcaiche, le donne sempre un passo indietro rispetto agli uomini relegate alla cucina, l’arretratezza culturale (concime di quella mentalità) e la semplicità di quella vita provinciale. Inevitabile però notare una certa idea stereotipata dei personaggi, che a volte non risulta neanche ben spiegata, come succede al giovane Turi (Alessio Simonetti), che spadroneggia nella comitiva dei tanti sfaccendati del bar senza poter capire perché abbia tanto potere. Dove sia andato realmente a finire il padre di Gianni non è dato di sapere, per esempio, e quindi tutta l’attenzione della regia dell’esordiente attore dietro la macchina da presa è rivolta alla diffusa omofobia e alla relazione tra i due protagonisti. Inspiegabile anche qualche superficialità nei particolari, di cui si potrebbe stilare un piccolo elenco, su tutti il televisore del bar posto all’aperto per seguire le partite dei mondiali rivolto verso il sole, per cui in realtà non si riuscirebbe neanche a vedere se sia acceso o spento; per non parlare di come sparano a caccia lo zio e i nipoti, con un fucile che se ne va per conto suo ma fa sempre centro e con i conigli così vicini che sarebbero già scappati via; oppure il ruolo mai definito di alcuni personaggi e che gradi di parentela abbiano di preciso i vari componenti della famiglia Scalia. Donne incinte che fumano di continuo e maniere forti per farsi obbedire da parte degli uomini. Diciamo una regia non sempre molto attenta per uno spettatore attento. Bello il riferimento (voluto? non so) alla Cavalleria Rusticana in cui Santuzza saluto il figlio Turiddu che si avvia al duello finale, così come Lina rincorre per strada, con un brutto presentimento, Gianni che parte in motorino.

Di contro e di positivo la buona scelta degli attori: visi angelici per gli adolescenti innamorati (forse anche troppo) e visi rudi e rudimentali per i prepotenti. Le donne sono come da tradizione remissive e dall’espressione infelice. Ma tutto ciò, anche se ben selezionato e con criterio, porta sempre ad un’idea di stereotipo e di semplicistico che non fa bene al film. La sceneggiatura scritta a più mani è abbastanza buona e i dialoghi, spesso in vernacolo, sono efficaci e aprono al mondo di quei tempi e di quei luoghi. Molto pertinenti e bellissimi, persino suggestivi, sono i brani selezionati che potenziano alcune sequenze, dal già citato Bindi ai successi dei Pooh, ma specialmente le canzoni in siciliano del compianto Franco Battiato, il quale accompagna i titoli di coda con la canzone omonima del titolo, con testo siciliano. Le recitazioni sono incostanti e disomogenee, la parte migliore di queste è appannaggio di Antonio De Matteo (Alfredo Scalia, il papà di Nino), attore esperto di cinema e fiction TV, che, anche se casertano, se la cava egregiamente e dimostra una buona preparazione interpretativa. I due giovani Samuele Segreto e Gabriele Pizzurro sono ammirevoli ma inesperti e mostrano la loro totale ingenuità recitativa: troppo forzati i loro sorrisi, specie del primo. Brave invece le due mamme, Simona Malato e Fabrizia Sacchi, indecifrabili Anita Pomario (Giuseppina) e Giuditta Vasile (IsabellaScalia): che ruolo hanno in famiglia e nella vicenda? E Ciccio (Giuseppe Spata)? Un mistero!

Beppe Fiorello è il Favino della TV italiana e recita in molti ruoli, molto apprezzato dal pubblico casalingo, ma qui non ha avuto il giusto guizzo per allontanarsi della fiction e pur girando un’opera che è cinematografica senza dubbio non ha lasciato a casa le reminiscenze televisive. Intanto ha fatto esperienza e le giurie nostrane non gli sono state ostili: miglior regista esordiente ai Nastri d’Argento. È già qualcosa, un augurio, diciamo.

Da precisare che il regista non ha girato nel luogo stesso della vicenda originale ma, anche tramite l’uso del drone, le riprese si sono svolte tra Marzamemi, Ferla, Buscemi, Priolo Gargallo, Pachino, quindi nel siracusano, tanto da mostrare anche un’auto così targata.

È un film, nonostante le criticità rilevate, tutt’altro che disprezzabile, anzi meritevole di attenzione e di una visione ma anche un invito a sforzarsi di più nella precisione e nello studiare meglio Ozon e Dolan (da quest’ultimo ha forse preso spunto per l’amore-odio per la mamma), massimi esperti nel merito omo. Ci si può attendere di meglio, ma deve dimenticare la televisione e mettere da parte gli eccessi del melodrammatico, che qui è in alcuni frangenti davvero sovrabbondante.

Nel complesso, comunque sufficiente.

I reali protagonisti della storia vera



Ma innanzitutto necessita smettere di pensare che questi bei sentimenti si possano definire stranezze d’amore. È solo e semplicemente amore.


Riconoscimenti

2024 – David di Donatello

Candidatura miglior regista esordiente

Candidatura David Giovani



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