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Immagine del redattoremichemar

Styx (2018)

Aggiornamento: 16 gen


Styx

Germania/Austria/Olanda/Malta 2018 dramma 1h34’


Regia: Wolfgang Fischer

Sceneggiatura: Wolfgang Fischer, Ika Künzel

Fotografia: Benedict Neuenfels

Montaggio: Monika Willi

Musiche: Dirk von Lowtzow

Scenografia: Wolfgang Fischer, Ika Künzel, Benedict Neuenfels, Volker Rehm

Costumi: Nicole Fischnaller


Susanne Wolff: Rike

Gedion Wekesa Oduor: Kingsley


TRAMA: La dottoressa Rike decide di realizzare finalmente il sogno di raggiungere in solitaria, sulla sua barca a vela, l’Isola di Ascensione, nell’Oceano Atlantico.


Voto 7

I primissimi minuti del film mostrano un mondo completamente opposto a quello che si vedrà per tutto il resto della visione: due poli opposti il cui paragone, però, ha la valenza del contenuto dell’intero film. Qui, subito, in apertura, un inseguimento tra due macchine a folle velocità in una città tedesca durante le ore notturne. Un incrocio, un’altra auto che giunge ignara, una sbandata, un urto inevitabile con le auto parcheggiate sul marciapiede, un automobilista sanguinante e svenuto. Silenzio assoluto perché è notte ma nel giro di qualche minuto ecco le sirene della polizia, dei vigili del fuoco e dell’ambulanza. Dove i soccorsi sono efficienti, basta poco per far scattare l’allarme e l’arrivo del personale di turno impiega solo lo stretto tempo necessario per giungere sul luogo di un incidente e il malcapitato viene prontamente ed efficientemente visitato, caricato sulla barella e assicurato accuratamente sull’ambulanza mentre, dopo i controlli medici, gli vengono praticate le prime cure. È così che si salvano migliaia di vite umane dopo gli incidenti stradali: prontezza e preparazione professionale. Ma anche bravura e spirito di missione da parte del personale medico. Questo nei Paesi moderni ed evoluti. Ma altrove, cosa succede? E nei riguardi degli ultimi della terra?

Rike è una dottoressa intorno alla quarantina, il tipico modello di donna moderna e indipendente, amante della navigazione a vela, impegnata, dal carattere determinato, molto preparata nel suo lavoro e nel suo hobby, lo si nota presto vedendola allestire il suo 12 metri e la cura con cui allestisce il natante di tutto il necessario per la lunga traversata che ha in mente da tempo: raggiungere, partendo da Gibilterra, la sognata isola di Ascensione, nell’oceano Atlantico meridionale situata poco a Sud dell’equatore a 1.600 chilometri dalla costa dell'Africa, nei pressi della storica isola di Sant’Elena. Lì un discepolo di Darwin contribuì a istituire il cosiddetto Paradiso, un luogo naturale bello e rigoglioso, soprattutto bello da vedere: è quella la meta che la dottoressa si è prefissata e lo raggiungerà con il viaggio in solitaria, ma munita di un’attrezzatura adeguata ed una evidente esperienza che la fa star tranquilla.

Lo si nota da come, placidamente, inizia il viaggio con il viso sereno e convinto dei propri mezzi. Le si allarga presto il panorama dell’acqua blu dell’oceano e, con il buon tempo, la osserviamo dispiegare le vele in tutta sicurezza e prendere il largo. Davanti a lei, l’orizzonte infinito e il bel tempo che la accompagna. Tutto si prospetta positivamente e Rike si concede con piacere anche qualche nuotata nel mare accogliente e calmo. La radio di bordo e i mezzi moderni di comunicazione e radar sono un confort che aggiungono sicurezza al viaggio e quando un mercantile la contatta via radio per capire chi fosse, le comunica una non bella notizia: sul suo percorso è prevista una tempesta, che però non la preoccupa, sapendo come affrontarla e andare oltre. Ancora un film sulla sopravvivenza in mare? Ancora un survival movie come è successo con All Is Lost - Tutto è perduto o il diverso In solitario (con François Cluzet)? Il primo lo è davvero (oltretutto girato in studio) ma questo no, è tutt’altro, oltre che girato veramente in mare aperto). Non è lei che deve sopravvivere, lei va sul sicuro, anche se in questi casi non c’è mai da star tranquilli.

Piuttosto è ciò che succede dopo, quello che il film di Wolfgang Fischer vuole trattare. Durante la navigazione, dove tutto fila liscio, mentre Rike sta svolgendo le sue mansioni di navigatrice sente degli strani suoni, delle urla, qualcosa di anomalo in quel mondo a parte che è il mare enormemente aperto: è un barcone fatiscente stracolmo di migranti alla deriva, disperati, che reclamano aiuti. Diamine, che fare con il suo piccolo natante? Sono troppi e si stanno gettando in acqua illudendosi che lei, poverina, possa soccorrerli tutti. Facile e ovvio: lanciare il SOS alla guardia costiera! La quale promette aiuti e le raccomanda di stare alla larga, perché è compito loro e perché potrebbe far agitare troppo quei disperati. Lei rifiuta di allontanarsi ma decide di attendere l’arrivo dei soccorsi, proprio come fa lei nella vita professionale. L’imprevisto accade ed è rappresentato da un ragazzino che, nuotando a fatica, stremato dalla sete e dalla fame, oltre che dalla stanchezza della traversata, si avvicina alla sua barca. Normale che gli getti il galleggiante e lo tiri su, lo disseti, lo copra e gli fornisca una indispensabile flebo (è davvero fornita di tutto) per rimetterlo in piedi. Dallo svenimento al vederlo in forma e combattivo è una sorpresa.

Kingsley, così si chiama, non è proprio in gran forma ma il pensiero di aver abbandonato la sorellina sul barcone distante non molti metri e prevedere che presto tutti moriranno, dato che le ore passano e non c’è ombra di soccorsi adeguati, lo fa disperare. Vuole costringere Rike ad avvicinarsi agli altri e raccoglierli: ma è impossibile, si butterebbero tutti in acqua, morirebbero affogati, il suo “Asa Gray” non ha spazio per tutti! La donna rilancia l’allarme e chiede notizie dei soccorsi, ma le risposte sono chiaramente elusive e hanno il solo scopo di farla allontanare dal luogo del misfatto, affinché il mondo non sappia mai che quei derelitti sono abbandonati al loro amaro destino. Lei è un medico, sa che bisogna sempre soccorrere, aiutare, fare il massimo per salvare le vite umane, ma le politiche infami ed egoiste dei Paesi benestanti hanno idee diverse e non conoscono umanità.

Styx, lo Stige, uno dei cinque fiumi degli Inferi secondo la mitologia greca e romana, il fiume dell’odio: è questo quella striscia di Atlantico? è questo ciò che sta vedendo con orrore? Il suo bel viso sereno e soddisfatto ora è disfatto dalla stanchezza, dalla rabbia, dai tentativi vani che compie chiedendo aiuto, anche al mercantile con cui ha avuto contatti. Anche la risposta del comandante della nave commerciale le risponde, con sua grande delusione, che non è suo compito e che la sua Compagnia non glielo perdonerebbe. Il mondo gira gli occhi da un’altra parte mentre quei disperati, come tanti altri e chissà quanti, provano a sopravvivere ad un viaggio impossibile cercando una vita migliore. Il mondo ricco e civile non vuole saperne, non vuole fastidi.

Le intenzioni del regista sono descritte nella triste espressione delusa di Rike, la quale vuole fare di più ma avverte la sua impotenza. Con la bravura delle migliori attrici, l’ottima Susanne Wolff ci esprime solo con le espressioni il modo in cui tutti reagiamo posti di fronte a un dilemma, come accadrebbe per esempio passando accanto a un incidente stradale. Ogni scelta - intervenire o far finta di nulla - ha delle conseguenze: per questo il racconto è da guardare secondo la prospettiva della protagonista, che corrisponde alla gente impietosita, con una trama che non è fantasy o fantascienza, è aderente il più possibile alla realtà e alla plausibilità dei fatti. È un esame di coscienza tra chi si lava le mani e chi se le vuole sporcare per senso di umanità. E non è una semplice questione di Nord e Sud del mondo, dei Paesi sviluppati e Terzo Mondo, bensì è una perfetta metafora del presente, dove chi ha la buona volontà avverte un tremendo disagio dovuto all’impotenza: Rike è lì, non si allontana ma non può far niente. E il film termina con la sua espressione inespressiva, muta, sconcertata, immobile, sconfitta. Che mondo è questo? Quante volte ci si ripete: lo farei ma a che serve se lo faccio solo io? E siccome lo pensiamo tutti, nessuno fa nulla.

Il film è uno dei pochi, ora fortunatamente sono in aumento, che trattano temi come questo e non è facile renderli appassionanti e capaci di far arrivare chiaro il messaggio, ma il buon Wolfgang Fischer ci riesce benissimo e il film si segue con apprensione e rabbia, sconcerto e sfiducia. Come Rike: noi siamo lei e lei ci rappresenta con una empatia che sa di miracoloso. Su quel natante, che ogni tanto dà il senso del claustrofobico, ci sono i rappresentanti del mondo: lei, pronta a fare il possibile, lui, giovanissimo che non capisce il comportamento degli altri, che non ammette che si ignori la richiesta di aiuto richiesto. Solo con un sotterfugio Rike è riuscita a far arrivare la Guardia Costiera ma adesso dovrà perfino risponderne. La beffa oltre l’oltraggio umano. Attonita lei, sbalorditi noi.

Cosa stiamo diventando?

Dopo la presentazione al Festival di Berlino nel 2018, dove ha riscosso ampio successo, il film ha guadagnato ben 30 premi e 20 candidature.

Il giovanissimo Gedion Wekesa Oduor è diventato una piccola star (ha imparato a nuotare apposta per questo film) e lo attendono altri due impegni e Susanne Wolff è bravissima!


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