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Sweet Sixteen (2002)


Sweet Sixteen

UK/Germania/Spagna 2002 dramma 1h46’


Regia: Ken Loach

Sceneggiatura: Paul Laverty

Fotografia: Barry Ackroyd

Montaggio: Jonathan Morris

Musiche: George Fenton

Scenografia: Martin Johnson

Costumi: Carole K. Millar


Martin Compston: Liam

William Ruane: Flipper

Annmarie Fulton: Chantelle

Michelle Abercromby: Suzanne

Michelle Coulter: Jean

Gary McCormack: Stan

Tommy McKee: Rab

Calum McAlees: Calum

Robert Rennie: Scullion

Martin McCardie: Tony


TRAMA: Liam sta per compiere sedici anni. Sua madre Jean uscirà di prigione in tempo per festeggiare il suo compleanno, e lui decide di darsi alla criminalità pur di trovare il denaro necessario per comprare una casa in cui vivere insieme alla madre e alla sorella


Voto 7,5

Ken Loach nel 2002, dopo due film di lotte di lavoratori e di precariato come Bread and Roses e Paul, Mick e gli altri (due opere appena al di sotto del suo standard sempre ottimale), torna ai temi popolari della sopravvivenza della gente comune senza prospettive, per un motivo o per un altro. Joe cercava uno sbocco felice alla sua vita difficile da raddrizzare, cercando anche di aiutare persone vicine a lui, qui il protagonista è un adolescente di strada, Liam, giovane infelice e irrequieto con la madre Jean in galera che sconta una pena per spaccio (ci risiamo) e consumo, mentre Stan, l’uomo con cui sta, le fa pervenire dosi da vendere alle altre carcerate. Non è suo padre e lo odia perché continua a rovinare l’esistenza della donna, si ribella alle sue angherie e a quelle del padre dell’uomo, che non ha alcuna intenzione di chiamare nonno. Ha un amore sconfinato per la madre, che però non riesce ad allontanarsi da Stan. Sbarca il lunario vendendo da sempre sigarette di contrabbando assieme al fratello di strada, il rosso Flipper, ed ha un sogno: trovare una casa per andarci a vivere con la mamma Jean quando uscirà dalla galera, anche per farla allontanare dall’uomo che la rovina, e magari assieme alla sorella Chantelle (con il piccolo Calum) che invece non sopporta la madre, chissà perché. Come ribaltare la situazione e realizzare questo sogno? Facile, abbandonare le sigarette, che producono un guadagno minimo, rubando le piccole forniture di Stan e iniziare un commercio sicuramente più redditizio. Ha adocchiato una sorta di caravan, una casetta prefabbricata fuori città, per allontanarsi dai soliti luoghi sullo sfondo di Inverclyde di Greenock, Port Glasgow e la costa di Gourock. Piccola è piccola, ma è accogliente e potrebbe essere la soluzione per avere finalmente una famiglia e una casa in comune con le sue due donne.

Non è un salto di qualità (ovviamente dequalificante, essendo un’attività criminosa) ma un piccolo passo avanti per mettere da parte il gruzzolo necessario per pagare le prime rate della casetta. Il vero salto mortale carpiato con avvitamento che lo rende un reale spacciatore importante avviene quando il grosso boss della zona, Tony Douglas, ha modo di apprezzarne il coraggio, quasi incosciente ma che lo caratterizza, la rapidità di ragionare, la voglia esaltata di sfondare e fare quattrini, la sfrontataggine. Invece di punirlo per l’invasione di campo, lo ingaggia e lo mette anche ad una durissima prova di iniziazione. No, Liam può essere tutto ma killer no, è pur sempre giovanissimo e difatti, trovandosi davanti a questo tremendo bivio, ha un attimo di esitazione e…

Ora guadagna bene, il boss gli ha messo a disposizione un appartamento di lusso in un quartiere bene della città, con veduta panoramica sul Clyde. Tra poco la madre esce di galera e lui finalmente condurrà in porto il sogno di sempre, mettendo fuori dalla vita della donna Stan e suo padre Rab, due soggetti pericolosi per il loro felice futuro. Ma abbiamo mai visto che una persona che vive con espedienti riesca davvero a sfondare nella vita? Difficile! In un film di Ken Loach, mai. È gente troppo sfortunata, a cui capita sempre qualcosa anche quando fanno il possibile per cavarsela dignitosamente e onestamente. Figuriamoci se campa con strattagemmi illeciti. Non è che lui (e noi) voglia quasi giustificarli, i suoi personaggi, ben che vadano, sono border line, hanno buon cuore, ma sono sempre piccoli delinquenti e se ce li mostra come persone da comprendere, muovendo la compassione dello spettatore, facendoli sembrare persino simpatici, beh, in ogni caso sono da condannare. Loach vuole solo dimostrarci che sono persone che partono svantaggiate, che devono fare più giri di noi per arrivare ad un risultato positivo, che non hanno mai un punto di partenza che li aiuti. E l’ambiente in cui crescono è già un campo di concentramento all’aperto, dove è sempre possibile commettere piccoli reati. O grossi.

L’incipit del film, come piace sempre al regista, è tumultuoso e divertente, mostrando come Liam e Flipper (Pinball, in originale) riescono a fornirsi di stecche di sigarette, come le smerciano nei fumosi pub e come scappano via dopo uno scherzaccio ad un agente di polizia in moto per le strade della città e tra la gente. Perbacco! Ma questa scena l’avevamo vista in Trainspotting!

Ah, sweet sixteen! Dolce adolescenza, 15 anni di gioventù che stanno per diventare 16 quando Jean finirà la pena detentiva e potranno festeggiare nella bellissima e agiata casa nuova: doppia festa per il ritorno ed il compleanno. Dolci sedici anni! Anni senza scuola ma pieni di ferite di corpo e di anima, di affetti e gravidanze indesiderate che inimicano i figli, di battaglie tra piccole insignificanti band di sobborghi. Cosa può succedere ora che Liam è riuscito a trovare una eccellente soluzione a tutto? Anche a far rappacificare madre e sorella? Semplice: il ritorno in scena di Stan, che non vuole mollare Jean, la sua personale spacciatrice e prossima ad intossicarsi di nuovo. Stavolta la soluzione è la risposta sbagliata. Ah, maledetti sweet sixteen, come sono amari e aspri i dolci sedici!

L’adolescenza di Liam è dura. È nato in un luogo, in una famiglia e in un ambiente che è una giungla d’asfalto dove lui, piccolo leone, deve difendere coi denti quello che può, quel poco che ha, specialmente la devozione cieca per una madre egoista che non merita tutto l’amore viscerale che le riversa, mentre lui cerca di riunire la famiglia tirando a sé, e quindi verso la madre, la sorella che non prova più affetto per chi l’ha generata controvoglia e che, invece, ama, cura e protegge il fratello e il suo piccolo. È commovente come il ragazzo cerchi di tirar fuori dalla palude in cui ama rifugiarsi la madre, è struggente vederlo adoprarsi in ogni modo per salvarla dal compagno nocivo e tornare a formare un nucleo affettivo nella insperata casa che ha avuto come compenso dal boss e dare finalmente un senso alla sua breve vita (per dare tenore a queste sequenze, il regista dà un emozionante impulso tramite il bellissimo A’ll Stand by You dei Pretenders). E per difenderla, per strapparla via si troverà nel pantano della riva del fiume con il destino segnato. Ancora una volta, Ken Loach non dà soluzioni, lui illustra drammaticamente le realtà del suo Paese e del mondo costruito tra chi ha e chi no, chi può e chi no, puntando l’attenzione sulle difficoltà psicologiche adolescenziali e sulle condizioni di vita dei soliti “ultimi” che vivono nei sobborghi. Il suo fidato sceneggiatore Paul Laverty ancora una volta descrive la società dei poveri e dei piccoli criminali, spiegando chiaramente la natura del film e quello che voleva raccontare: “La genesi del film risale alla lavorazione di My Name Is Joe. Immaginate una storia in cui dozzine di personaggi reclamano attenzione e ognuno grida ‘Scegli me, me!’. Non possiamo ovviamente occuparci di tutti loro, altrimenti la storia crollerebbe. Tuttavia c’è un personaggio che non vuole assolutamente rassegnarsi. Pretende la nostra attenzione. Quel personaggio è Liam. Fin dall’inizio, io e Ken eravamo d’accordo sul fare un’altra storia che riguardasse la sfera privata di un individuo, che raccontasse di come un giovane cerca di dare un senso alla propria vita. Un tema semplice e complesso al contempo. Gli amici, la famiglia e la comunità si relazionano o si scontrano l’uno con l’altro creando una infinita varietà di legami. Liam si trova in un momento delicato della sua vita. Alcune cose ancora non vanno, malgrado la sua assoluta determinazione a usare le sue grandi capacità e faccia tosta per farle funzionare. Ciò che mi ha colpito, quando ho parlato con molti assistenti che lavorano con i bambini, è stato che, a prescindere dai problemi presenti nella vita familiare, la maggior parte di loro desidera ancora un legame con la madre. L’adolescenza possiede una marcia in più, un’energia speciale, esilarante ed esplosiva; coraggio e fragilità sono spesso due caratteristiche che facilmente si trovano l’una accanto all’altra. Volevamo cercare di catturare alcune di queste peculiarità nella nostra storia.”

Sicuramente il film raggiunge questo scopo, prima di tutto con l’estrema cura con cui il regista sa fare il suo lavoro, macchina a spalla vicinissima ai personaggi, fisicamente e metaforicamente. Il suo è un personale neorealismo, perché, come ho scritto più volte e come sono convinto, questo è, anche se con una cifra più moderna e attuale, con i personaggi di oggi ma con le medesime problematiche di allora. Lo dimostra anche la sua predilezione per attori non professionisti che recitano con una tale naturalezza che risultano altamente credibili, parlandosi uno addosso all’altro, vicino anche pochi centimetri, e accavallando le frasi l’un l’altro, come accade nella vita reale, con i tempi che non hanno nulla del classico recitativo. Liam è Martin Compston, preso dopo alcuni provini da una scuola, ed è l’unico che, esordendo come tutti gli altri, ha fatto una buonissima carriera di attore, sia nel cinema che in televisione (Guida per riconoscere i tuoi santi di Dito Montiel, 2006, Il maledetto United di Tom Hooper, 2009, La scomparsa di Alice Creed di J Blakeson, 2009, il bellissimo Sister di Ursula Meier, 2012, Maria regina di Scozia di Josie Rourke, 2018, giusto qualche esempio). Non è da meno la bravissima e sorprendente Annmarie Fulton (Chantelle), davvero superlativa, una ragazza che studiava recitazione ma anche lei esordiente. E poi Michelle Coulter (Jean), che era una consulente di riabilitazione dalla droga che non aveva mai recitato prima, così come tanti altri del cast. È proprio per questo che le interpretazioni hanno una semplicità e una precisione sempre convincenti, in un film che è, ovviamente, politico e sociale, così come il nostro grande regista. Al proposito, mi viene in mente quanto letto tempo fa da un critico che conosceva un operaio e sindacalista in pensione che gli disse che, se avesse parlato male di Ken Loach, gli avrebbe dato una randellata (!).

Utilizzando questi attori inesperti (come spesso fa nei suoi film), Ken Loach ottiene una freschezza spontanea e le scene sembrano innovative ed originali perché gli attori non hanno mai fatto nulla di simile prima e perché non ci sono barriere di stile e tecnica tra lo spettatore e i personaggi. Però è vero, alla fine del film non vediamo alcuna speranza nella storia, ma c'è speranza nel film stesso, perché guardare alle condizioni della vita di Liam significa chiedersi perché, in un paese ricco, le sue scelte devono essere così limitate: il primo delitto della sua carriera criminale non è stato forse quello commesso contro di lui da quella società? Non ne ha semplicemente seguito l'esempio? Liam non è scusabile, sia chiaro, è un piccolo delinquente, ma va compreso nei suoi enormi sbagli. Va aiutato.

Riflettiamo, gente, riflettiamo con Loach.

Lunga vita a lui!

Annotazioni a margine.

L'uso delle parole fuck (313 volte) e cunt (circa 20 volte) portò il British Board of Film Classification a vietare il film agli spettatori di età inferiore ai 18 anni. La Spagna seguì questa decisione, ma altri paesi, come la Francia e la Germania (non sotto i 12 anni) avevano un sistema di valutazione diverso. Ken Loach e Paul Laverty protestarono fortemente contro la procedura britannica sul quotidiano The Guardian.

Laverty affermò che si trattava di censura e pregiudizio di classe perché aveva ottenuto molte informazioni per scrivere la sua sceneggiatura da persone in giro per la Scozia, molte delle quali non avevano 18 anni, e quindi a questi fu negata l'opportunità di vedere il film. La su citata BBFC ha riconosciuto che c'è qualche variazione in tutta la Gran Bretagna nel modo in cui alcune parole sono percepite come offensive, ma ha confermato la certificazione e ha sostenuto che la maggior parte della pubblicità intorno al film è stata per lo più generata dal regista scontento.

Le proiezioni a Inverclyde, la città natale di Martin Compston, dove è stato girato il film, sono state mostrate solo con un certificato di identità di almeno 15 anni.


Ancora una volta, come accadde con il film su Joe, i personaggi parlano uno scozzese così stretto, così slang, che la pellicola andò negli USA con i sottotitoli.

Riconoscimenti

10 premi e 17 candidature, tra cui:

2002 - Festival di Cannes

Premio per la miglior sceneggiatura

2002 – BAFTA Scozia

Miglior attore a Martin Compston

2002 - British Independent Film Awards

Miglior film

Miglior attore esordiente a Martin Compston

Candidatura miglior attore esordiente William Ruane

Candidatura migliore regia

Candidatura migliore sceneggiatura


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