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Tatami - Una donna in lotta per la libertà (2023)

Tatami - Una donna in lotta per la libertà

(Tatami) USA/UK/Georgia 2023 dramma sportivo 1h45’

 

Regia: Guy Nattiv, Zar Amir Ebrahimi

Sceneggiatura: Elham Erfani, Guy Nattiv

Fotografia: Todd Martin

Montaggio: Yuval Orr

Musiche: Dascha Dauenhauer

Scenografia: Sofia Kharebashvili, Tamar Guliashvili

Costumi: Sopo Iosebidze

 

Arienne Mandi: Leila Hosseini

Zar Amir Ebrahimi: Maryam Ghanbari

Jaime Ray Newman: Stacey Travisi

Nadine Marshall: Jean Claire Abriel

Lirr Katz: Shani Lavi

Ash Goldeh: Nader Hosseini

Sina Parvaneh: Azizi

Valeriu Andriuță: Vlad

Mehdi Bajestani: Amar Hossein

Farima Habashizadeha: Justina

 

TRAMA: La judoka iraniana Leila e la sua allenatrice Maryam partecipano al Campionato mondiale di judo con l’obbiettivo di portare a casa la prima medaglia d’oro dell'Iran.

 

Voto 7,5



La affiatata coppia della regia, in cui ritroviamo la bravissima Zar Amir Ebrahimi qui anche attrice di primo piano e già ampiamente stimata in Holy Spider di Ali Abbasi, iraniana con cittadinanza francese ed esposta attivista politica (con tutto quello che ne consegue), ci porta presto nell’atmosfera ad alto tasso agonistico. Nel bianco e nero scelto per narrare questa scombussolante vicenda politico-sociale-sportiva, ci troviamo nel pieno di un paesaggio di periferia ripreso da un autobus mentre si ascolta a tutto volume un brano hip hop (Jet di Justina, rapper iraniana). Poi l’ingresso di un gruppo di donne nel palazzetto dello sport di Tbilisi, in Georgia. Capiamo che sono atlete e vediamo che tra loro si distingue la forte Leila Hosseini, allenata da Maryam Ghanbari, un ex campionessa a livello planetario. Queste ragazze, capeggiate appunto dalla prima, formano la nazionale iraniana di judo, che si appresta a disputare i campionati mondiali. Subito cominciano i combattimenti, ma dopo il secondo match, che Leila stravince, dimostrando tutto il suo talento per il quale viene considerata la favorita al titolo, unitamente a quella israeliana, Maryam, in qualità di allenatrice e responsabile (spesso le cariche sportive e politiche coincidono per le incombenze statali iraniane) riceve dalle alte sfere politiche, presidente e guida suprema, insomma, dal vertice direttamente o indirettamente dello Stato, ma per tattica studiata per il tramite della federazione iraniana di judo, l’ordine di far ritirare la sua atleta simulando un infortunio a causa della possibilità concreta che si scontri con la sua omologa israeliana, vale a dire con la concorrente del “paese occupante”.



Facile immaginare lo stupore di Maryam, oltre che la rabbia di buttare al vento i tanti mesi di duro allenamento e la grande occasione per raggiungere un traguardo tanto ambito e sognato, sia da lei che dalla bravissima atleta, pressocché imbattibile. Infatti, L'iraniana Leile è in forma straordinaria e batte le avversarie una dopo l’altra. La medaglia d’oro pare davvero possibile e la temibile avversaria (in ogni senso) è battibile. Da lontano, in patria, la seguono con grande apprensione e tifo da stadio il marito e il piccolo figlio, assieme agli amici di sempre: in casa il televisore è sintonizzato con l’impianto sportivo georgiano. Mentre, ovviamente, da vicino a pochi metri dal tatami, la sostiene Maryam, la sua coach: la incoraggia continuamente, lo sostiene moralmente, non perde l’occasione per darle suggerimenti tattici, di mosse decisive. Anche le compagne sono trepidanti: è un’opportunità unica! Il problema è che l’avversaria più forte e che può incontrare solo in finale è la forte judoka israeliana e le probabilità sono altissime.



I potenti personaggi che dettano regole e leggi in Iran stanno osservando e sono molto contrariati. Delle fortune sportive della loro atleta non importa un fico secco, anche se darebbe onore e prestigio alla nazione ma che la donna possa sfidare in finale quella dello stato nemico è fuori discussione e parte l’ordine, prima con fermezza – affinché non ci siamo dubbi sull’esecuzione della richiesta – poi, visto che Leila, appena informata, si rifiuta categoricamente di ubbidire mettendo in grave difficoltà la sua allenatrice, gli ordini diventano perentori e minacciosi: dovrà fingere un infortunio e abbandonare i mondiali. Oppure trovare il coraggio di prendere una decisione impossibile e mettersi contro anche Maryam, la quale si trova tra l’incudine ed il martello. Da una parte il suo spirito sportivo e la voglia del titolo a cui lei stessa era andata vicino da giovane che potrebbe ora andare in mano alla sua allieva. Ormai il cellulare squilla ripetutamente e sugli spalti si affacciano facce poco raccomandabili che la osservano minacciosi: perché Leila non si ritira?



Doveva essere un film sportivo, un’avventura di coraggio e spavalderia agonistica, una sfida ad armi pari tra atlete di tutto il mondo, ragazze allenate e in piena forma. L’unica nota stonata, in questo bel paesaggio sportivo, è l’abbigliamento delle atlete musulmane, che devono tenere coperto tutto il corpo per rispetto alla loro religione. Solo l’ovale del viso è scoperto e si ha modo di notare le grazie femminili tipiche della notevole bellezza mediorientale. Ma ormai il viso di Leila è arrabbiato e triste, occhi pronti a piangere, irritata ma non arrendevole e non ha alcuna voglia di mollare. Quando potrà ripresentarsi un’occasione come questa? Quando potrà trovare ancora l’opportunità di diventare la migliore del mondo, riconosciuta da tutte le federazioni internazionali? Perché questi uomini, padroni della società e della politica, limitano sempre la libertà delle donne iraniane? Perché non darle questa unica e grande occasione? Perché obbedire alle loro opinabili decisioni solo per questioni politiche?



Purtroppo lo scontro tra le due donne è feroce e sfocia apertamente davanti agli occhi delle telecamere e degli astanti, dei cronisti e delle atlete nello stadio. La tensione sale altissima: il film, ora, è un thriller in piena regola, psicologico ovviamente, ma tesissimo. Giungono notizie di rappresaglie verso i familiari in patria dal momento che Leila non si ritira e l’integrità fisica dei parenti è in grave pericolo: si conosce la spietatezza dei vertici politici e militari di quel Paese e le minacce sono sempre attendibili. Cosa farà Leila? E Maryam si porrà davvero contro la sua migliore atleta? L’israeliana non perde un incontro e giungerà in finale come previsto. Ed ora? Le funzionarie della federazione mondiale sono in apprensione avendo intuito che qualcosa sta andando nel verso sbagliato e fanno il possibile per poter almeno sapere la reale situazione e magari poter aiutare le donne. In qualche maniera possono farlo, perlomeno dando aiuto giuridico e protezione da parte del mondo occidentale.



Ero dibattuto se catalogare questo film come dramma sportivo, perché qui lo sport c’entra e non c’entra. Qui prevale l’aspetto sociopolitico, la libertà delle persone, in particolare il moto di indipendenza delle donne, in primis. Non a caso diventa una metafora di una lotta personale, politica e sociale, che i registi restituiscono con l’eleganza del bianco e nero, il rigore di una narrazione essenziale, asciutta (soprattutto nella prima parte) e una messa in scena tesa, senza orpelli, concentrata, capace di tenere il pubblico con il fiato sospeso. La storia è frutto della fantasia degli sceneggiatori, ma racconta dei tanti atleti iraniani costretti a subire odiose imposizioni dal proprio Paese, tra dignità calpestata, resilienza, ostinata ricerca della propria libertà. Nella scena in cui la protagonista si toglie l’hijab per farsi medicare durante un incontro per poi continua a combattere a testa scoperta, la protagonista compie lo stesso gesto delle manifestanti iraniane impegnate a protestare nelle scuole e nei cortei che si strappano il velo che deve coprire i capelli. Quante persone sono ormai in esilio per poter esprimere i propri valori di cineasti, scrittori, sportivi, per poter semplicemente esprimere il proprio talento naturale e le loro passioni?



È un film, è una vicenda di fantasia, ma quanta realtà! Quanta indignazione! Eppure tutto ciò avviene tutt’oggi e sicuramente non solo in quella nazione dove persino ai tempi della dittatura dello Scià le donne potevano godere di maggiore libertà. È di questi giorni la notizia che non possono più far ascoltare la loro voce in pubblico, non possono studiare, non possono cantare. Che vita è? C’è voluto il coraggio di Zar Amir Ebrahimi e del suo collega Guy Nattiv, che è regista, sceneggiatore e produttore cinematografico israeliano, facendo nascere la prima collaborazione tra un regista israeliano e un’iraniana. Un miracolo artistico e politico. E va tenuto presente che tutti gli attori di nazionalità iraniana presenti nel film vivono in esilio.



Bellissimo, appassionante, coinvolgente, di forza politica impressionante, merito della regia ma anche della straordinaria interpretazione delle due attrici: Arienne Mandi e la tanto citata Zar Amir Ebrahimi sono superlative.

L’opera è coraggiosa, come le donne iraniane.

Presentato a Venezia 2023, ha vinto premi a Monaco di Baviera, Tokyo e Bruxelles.



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