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The Front Runner - Il vizio del potere (2018)

Aggiornamento: 3 nov

The Front Runner - Il vizio del potere

(The Front Runner) Canada/USA 2018, biografico, 1h53’


Regia: Jason Reitman

Soggetto: Matt Bai (romanzo)

Sceneggiatura: Matt Bai, Jay Carson, Jason Reitman

Fotografia: Eric Steelberg

Montaggio: Stefan Grube

Musiche: Rob Simonsen

Scenografia: Steve Saklad, Cameron Beasley

Costumi: Danny Glicker


Hugh Jackman: Gary Hart

Vera Farmiga: Lee Hart

J.K. Simmons: Bill Dixon

Alfred Molina: Ben Bradlee

Mark O'Brien: Billy Shore

Molly Ephraim: Irene Kelly

Chris Coy: Kevin Sweeney

Sara Paxton: Donna Rice

Kaitlyn Dever: Andrea Hart

Courtney Ford: Lynn Armandt

Ari Graynor: Ann Devroy

Kevin Pollak: Bob Martindale

Mamoudou Athie: A.J. Parker


TRAMA: Nel 1988 Gary Hart, politico democratico, è considerato il favorito per la corsa alle elezioni presidenziali. La sua campagna subisce però una battuta d'arresto a causa dell'accusa di avere una relazione extraconiugale con l'attrice Donna Rice. In breve, ciò porterà il senatore Hart ad abbandonare i suoi propositi elettorali.


Voto 6,5


Storia vera, tutta vera, una delle tante che sconvolgono i piani di carriera in molti campi già preparati ma saltati per uno scandalo che riguarda la vita privata dei personaggi al centro dell’attenzione. Scandali che accadono e che poi qualcuno mette in piazza e per i motivi più variegati: fame giornalistica da gossip, rivalità, interessi in conflitto. Nella politica americana, poi, è un fenomeno ricorrente, roba da raccogliere in una enciclopedia. Dall’esplosivo Watergate al sexgate, dalla corruzione alle invadenze sessuali del #MeToo. Ce n’è per tutti e di tutti i gusti.



Anche questo è un fatto vero, quando un senatore del Colorado, Gary Hart, favorito dai sondaggi nella corsa alla presidenza, si vedrà sprofondare in un baratro del giudizio e additare da tutti in seguito a un articolo sulla sua relazione extraconiugale. Un cambiamento repentino del consenso, un brusco mutare che lo travolge sia pubblicamente sia privatamente. Il senatore, candidato e favorito alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America del 1988 per il Partito Democratico, vide sfumare la sua corsa a causa di una relazione extraconiugale con la modella Donna Rice Hughes. Hai voglia a far presente a tutti che le due cose sarebbero da tenere distinte, tutto inutile. Tra giornali e social (terreno pieno di mine) è impossibile uscirne puliti. E tutto per la ricerca assoluta e continua dei giornali per uno scoop esclusivo da pubblicare sui giornali il mattino seguente e mentre qualche redazione indugiava per essere certa della scoperta o magari per una certa renitenza verso la notizia stessa, quella che invece voleva essere la prima a dare la notizia in pasto all’opinione pubblica e soprattutto al corpo elettorale e vendere di conseguenza molte copie in più, non ci pensava due volte. Il puritanesimo ben risaputo degli americani è sempre stato determinante nelle scelte politiche e sociali, etiche e non etiche, ma sempre preponderanti, sempre muovendo la pancia del popolo, specialmente nei confronti degli uomini politici, a cui non ha mai perdonato nulla. Un fatto più che privato messo alla gogna della nazione, pur con qualche perplessità da parte dei giornalisti più importanti.



La regia di Jason Reitman, come ci aveva già abituati, realizza un film che sa anche di glamour, non essendo propriamente un autore di film impegnati e politicamente interessato al cinema d’inchiesta: a lui interessava l’aspetto umano e psicologico, per mostrarci in maniera quasi “spettacolare” il tracollo mentale lento ma inesorabile del senatore, sempre più preoccupato a causa delle insopportabili conseguenze all’interno della sua famiglia per la fuga di notizie sul suo comportamento fuori di casa. La scelta del regista è quella di oscillare con un continuo andirivieni tra i diversi ambienti: le bollenti riunioni delle redazioni dei grandi giornali – a cominciare dal mitico Washington Post – e quelle dello staff del senatore nella campagna elettorale. Inevitabile il paragone, perché di simile stampo, con il meglio riuscito Le idi di marzo, dove invece l’imprinting politico è di ben altra caratura. Ma come in quel film, Reitman filma la squadra efficiente di Gay Hart al lavoro senza pausa per preparare al meglio il terreno alla vittoria, data quasi per certa, alle presidenziali. Quindi continue consultazioni sul come comportarsi, su quali città visitare dove incontrare la stampa e i cittadini, le linee di comportamento a seconda delle probabili domande in fatto di economia (che è ovviamente l’argomento principale di ogni votazione), e in genere come apparire e ingraziarsi l’elettore medio. Tutto già visto e risaputo e molto meglio illustrato da George Clooney, ma, ripeto, questo non era di sicuro l’obiettivo di Jason Reitman. Se lì erano preponderanti le presenze dei consiglieri e degli strateghi della campagna elettorale, qui il personaggio centrale rimane l’uomo politico, con le sue idee e i suoi guai.



Hugh Jackman se la cava abbastanza bene nel ruolo principale, anche se è strano vederlo con quella capigliatura innaturale, Vera Farmiga ha un ruolo secondario, la moglie delusa del senatore e non ha molta scena, ma chi veramente si mangia tutti sullo schermo è sicuramente J.K. Simmons, grande attore costretto spesso a fare il caratterista ma che dimostra ad ogni occasione il suo grande talento. Con il suo modo di presentarsi, il suo vocione da baritono e le espressioni di chi la sa sempre lunga, primeggia facilmente su tutti e merita la medaglia quale miglior interprete del film.



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