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The Holdovers - Lezioni di vita (2023)

Aggiornamento: 12 ore fa

The Holdovers - Lezioni di vita

(The Holdovers) USA 2023 commedia drammatica 2h13’

 

Regia: Alexander Payne

Sceneggiatura: David Hemingson

Fotografia: Eigil Bryld

Montaggio: Kevin Tent

Musiche: Mark Orton

Scenografia: Ryan Warren Smith

Costumi: Wendy Chuck

 

Paul Giamatti: Paul Hunham

Dominic Sessa: Angus Tully

Da’Vine Joy Randolph: Mary Lamb

Carrie Preston: Lydia Crane

Brady Hepner: Teddy Kountze

Ian Dolley: Alex Ollerman

Jim Kaplan: Ye-Joon Park

Michael Provost: Jason Smith

Andrew Garman: Hardy Woodrip

Naheem Garcia: Danny

 

TRAMA: Paul Hunham è un burbero e severo insegnante di una prestigiosa scuola americana. Durante le festività di Natale, quando gli alunni tornano dalle proprie famiglie, Paul è costretto a rimanere nel campus per sorvegliare insieme alla cuoca, la signora Mary Lamb, un piccolo gruppo di studenti a cui non è possibile tornare a casa. La convivenza forzata non è gradita a nessuno, ma inaspettatamente Paul inizia a stringere un legame significativo proprio con uno dei suoi alunni più problematici, Angus Tully.

 

Voto 7,5



L’alloggio del docente di lettere classiche nella scuola per ricchi rampolli Barton Academy, Paul Hunham, è la fotografia del personaggio presto spiegata dal regista sin dalle prima inquadrature: letto non rifatto, il libro Frear Strikes Out: The Jim Piersall Story (autobiografia del giovane asso del baseball dei Boston Red Sox che soffriva di un serio disturbo bipolare, che diventò il film Prigioniero della paura con Anthony Perkins), un bagno disordinato, sporco e senza specchio, lui che corregge i compiti brontolando per la pessima qualità degli elaborati degli studenti. Fuori, il New England del 1970 è innevato come sempre nel periodo invernale.



Siamo nel periodo prenatalizio e gli irrequieti allievi pensano più che altro a preparare le valigie per le imminenti festività per tornare in famiglia. “Lavativi, volgari, sordidi filistei” mormora segnando gli errori. Paul Hunham (Paul Giamatti) è un uomo solitario, volutamente solo, poco accettato dalla società, dai colleghi, dagli studenti, che evita attività di ogni tipo se non la dedizione assoluta per la letteratura classica latina e greca, che non mette il naso fuori dall’istituto chissà da quanto. Il perché sarà rivelato soltanto nel finale, quando capiremo il motivo di questo isolamento e della sua asocialità. Giustificata, una volta spiegata. Anche i tanti professori non vedono l’ora di staccare e il predestinato che dovrebbe restare durante le vacanze a badare a quei pochissimi ragazzi che non possono andare a casa si è inventato un mezzuccio per essere sostituito – indovinate un po’ – da quell’antipatico di Hunham.




Mica si ribella, lui, tanto, dove e da chi doveva andare? Filosoficamente accetta citando Cicerone: “Beh, Non nobis sulum nati sumus, come si suol dire” (Non solamente per noi stessi fummo generati), dice al manager Hardy Woodrip (Andrew Garman) che gli comunica la decisione. Era, questi, tanti anni prima, un suo allievo ed ora dirige la scuola, come sapremo in quella spiegazione finale. Sono quattro gli studenti che non possono allontanarsi, quattro “reprobi” a cui però, all’ultimo momento, si deve aggiungere Angus Tully (Dominic Sessa), un ripetente, uno dei più ribelli, brillante, intelligente ma litigioso e cupo, evidentemente turbato dal divorzio dei genitori, da una mamma che lo trascura e dal patrigno detestato. La sua forzata permanenza è causata dall’improvviso viaggio di nozze che i genitori hanno organizzato proprio durante le vacanze, abbandonandolo. È anche angosciato e nervoso per il fatto che, se ancora una volta respinto, lo attende lo spettro dell’accademia militare e, di conseguenza, una probabile partenza per il Vietnam. Luogo dove è stato ucciso in azione Curtis, il figlio della cuoca afroamericana Mary (Da’Vine Joy Randolph), partito (e più tornato) non potendosi permettere di iscriversi all’università. Donna che oggi si consola lavorando senza pausa nella scuola che il giovane frequentava, fumando e bevendo whiskey, pronta alle lacrime.



Ci sono tanti professori e tanti ragazzi, che presto spariranno, e il film si concentra su questi tre personaggi in forte difficoltà psicologica, ammessa e non ammessa. Solo tre perché gli altri quattro, Teddy Kountze, Alex Ollerman, Ye-Joon Park e Jason Smith, i primi destinati a restare, sono stati colti a volo d’elicottero dal ricchissimo padre del primo per trascorrere una settimana bianca a sciare. E quindi sono rimasti solo loro tre, gli holdovers, i costretti, i trattenuti, come i tanti protagonisti delle storie amate e raccontate continuamente da Alexander Payne, individui irritanti, stressati, insofferenti come quelli di Election, Nebraska, A proposito di Schmidt. Perlomeno contrariati come in Paradiso amaro o a disagio come in Sideways - In viaggio con Jack. Tanti bei film di caratteri, di persone comuni che non trovano il loro posto nel mondo, solitari per scelta o no, come questi tre holdovers. Per un motivo o l’altro, Paul, Mary e Angus hanno scelto di essere o sono stati isolati e il destino li ha messi assieme nell’occasione più classica delle riunioni familiari, dove i parenti (serpenti) si ritrovano con le loro ipocrisie che invece i tre hanno cancellato dalle loro vite.



Ora, perché Paul, soprannominato dagli studenti “occhio sbilenco”, sia diventato un intrattabile e severissimo docente, oltre che uomo appartato, non pare proprio l’argomento più importante da spiegare all’inizio del film, piuttosto lo divento nel prosieguo, quando Payne mette meglio a fuoco i tre personaggi, quando finalmente quel cuore in inverno comincia a sciogliersi e a manifestare una primavera di timido avvicinamento al giovane Angus, che si rivela la persona più debole e maltrattata di tutti, quello che, essendo ancora così giovane, ha necessità di affetto e comprensione, una vicinanza che non trova in alcuno. E lì, oltre al silenzioso affetto di Mary, lo studente trova un appoggio da chi non poteva prevedere. Sino all’autoimmolazione (twist un tantino telefonato) che salva uno e condanna definitivamente l’altro. Con tanto di vendetta alcolica.



Due losers ed una mamma in lutto, tre individui con difetti ma anche pregi, che si nascondono nell’alcol facile, l’idiosincrasia per la gente, la ribellione come frustrazione, o… l’affliggente trimetilaminuria, rara malattia metabolica dovuta all’incapacità del corpo umano di produrre un enzima specializzato alla degradazione di una sostanza, per cui alla fine il corpo puzza di pesce. E sono pure sfortunati! Che faccia fa Paul quando si accorge che le moine di Lydia non dovevano illuderlo? Ma niente tragedie, è abituato: è solo e solo rimarrà in eterno, non soffre neanche nel raccontare le sue vicissitudini di ingiustamente accusato e perciò segnato per sempre.



Sicuramente lo schema della trama non è originalissimo, è un plot visto centinaia di volte con i personaggi centrali che non possono andare d’accordo, che tirano avanti per necessità, e che invece, alla fine, trovano una sintonia inaspettata e di conseguenza la nascita di un legame che li unisce e li allea, che, soprattutto, lascerà un segno indimenticabile per il futuro. Che non dimenticheranno mai. Il bello, in questi, consueti, casi è che non smetteranno di ringraziarsi perché ognuno si accorge di aver moralmente guadagnato qualcosa di importante, che prima non speravano e non pensavano potesse accadere. Sfiduciati che ritrovano la fiducia almeno tra di loro. Lezioni di vita, recita il sottotitolo italiano indicando didascalicamente la morale che se ne trae ma diminuendo la portata del titolo originale, che li identifica e li classifica.



Un film malinconico come i protagonisti, perfettamente ambientato nei ’70 per merito di tanti fattori, ad iniziare dai colori della bella fotografia che sporca il digitale, dalle musiche ben scelte, dai mille particolari di quei tempi, dai rumori di fondo dei titoli di testa in cui avvertiamo il tac e il fruscio dei vinili sotto la puntina del giradischi, dalle canzoni natalizie, le lente dissolvenze, il cinema che proietta il meraviglioso Il piccolo grande uomo, storia di un altro giovane che trova un padre putativo molto differente da ciò che si attendeva dal destino. In non pochi momenti si respira aria così anni ’70 che pare di avvertire il cinema del buon Hal Ashby, quella malinconia di fondo contrastata dalla baldanza dei suoi personaggi di L’ultimo corvè, Shampoo, Tornando a casa.  Ma è tutta la filmografia del bravo Alexander Payne che si rifà spesso a quel modo di riflettere e agire, senza fretta e con un forte senso di fatalismo, che parla spesso di rapporti intergenerazionali.



Opera da apprezzare, da guardare e capire dal punto di vista di un eccellente autore, che sa sempre scegliere bene gli ambienti e gli attori. Prova ne è quanto siano stati ammirati dai votanti dei premi più importanti. Paul Giamatti, tornato a recitare con il regista dopo quasi vent’anni dopo il simpatico Sideways, ha ancora una delle poche prove da protagonista per dimostrare il suo valore e non sbaglia nulla: l’interpretazione del suo prof-nonprof è esemplare e aumenta nello spettatore obiettivo il giudizio positivo delle sue solide prestazioni. Da’Vine Joy Randolph ha la grande abilità di partire in sordina, quasi come una caratterista secondaria, e affermare con sicurezza la propria personalità d’attrice a cui basta spesso solo lo sguardo per esprimersi. Entrambi in un gioco di recitazione senza eccessi, guadagnandosi riconoscimenti nella categoria delle commedie, quando commedia è solo sulla carta o per il tono mai eccessivamente drammatico che Payne impone nelle sue pellicole. Due eccellenti attori premiati meritatamente.



Detto questo, non posso esimermi dall’affermare che chi mi ha impressionato su tutti è stato lo sconosciuto debuttante Dominic Sessa, che è arrivato come un fulmine a ciel sereno, come un attore consumato che lavora in incognito: con il suo vocione da spilungone, il ventunenne si conquista sequenza su sequenza la palma di rivelazione assoluta e dipinge con grande agilità il personaggio instabile degno della migliore letteratura ribelle degli anni in cui si svolge la trama, un ragazzo che più degli altri due, ormai maturi, cerca l’affetto che gli manca e il padre che la malattia gli ha tolto, potendolo sostituire solo per qualche giorno con il burbero incaricato di sorvegliarlo. È arrivato sul set solo perché la direttrice del casting Susan Shopmaker ha offerto ai veri studenti della Deerfield Academy (una delle scuole in cui il film è stato girato) di fare un provino per la parte. E adesso lo rivedremo di sicuro.



Girato in Massachusetts, Alexander Payne ha concepito l’idea dopo aver visto Vacanze in collegio (Merlusse) di Marcel Pagnol, del 1935: ha quindi contattato David Hemingson per scrivere la sceneggiatura, che originariamente era pensata per essere l’episodio pilota di una serie tv. Ha anche dichiarato che catturare l’estetica degli anni ‘70 è stato relativamente facile, perché “il cambiamento arriva lentamente nel New England”.

Un film che si lascia voler bene.



Riconoscimenti

Premio Oscar 2024

Miglior attrice non protagonista a Da’Vine Joy Randolph

Candidatura al miglior film

Candidatura al miglior attore a Paul Giamatti

Candidatura alla migliore sceneggiatura originale

Candidatura al miglior montaggio

Golden Globe 2024

Miglior attore in un film commedia o musicale a Paul Giamatti

Migliore attrice non protagonista a Da’Vine Joy Randolph

Candidatura al miglior film commedia o musicale

BAFTA 2024

Migliore attrice non protagonista a Da’Vine Joy Randolph

Miglior casting

Candidatura al miglior film

Candidatura al miglior regista

Candidatura alla migliore sceneggiatura originale

Candidatura al miglior attore protagonista a Paul Giamatti

Candidatura al miglior attore non protagonista a Dominic Sessa



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