The Independent - Complotto per la Casa Bianca
(The Independent) USA 2022 dramma 1h48’
Regia: Amy Rice
Sceneggiatura: Evan Parter
Fotografia: David Johnson
Montaggio: Gershon Hinkson
Musiche: Jessica Rose Weiss
Scenografia: Nick Francone
Costumi: Elisabeth Vastola
Jodie Turner-Smith: Elisha “Eli” James
Brian Cox: Nick Booker
Ann Dowd: Patricia Turnbull
John Cena: Nate Sterling
Luke Kirby: Lucas Nicoll
Stephen Lang: Gordon White
Margaret Odette: Jennifer Cooke
Michael Gandolfini: Justin
Alysia Reiner: Kathy Gibbs
Kecia Lewis: Lynn James, madre di Eli
Willie C. Carpenter: Hal James, padre di Eli
TRAMA: Un giovane giornalista scopre una cospirazione che coinvolge un candidato alla presidenza degli Stati Uniti che potrebbe cambiare le elezioni e il destino del Paese.
Voto 6,5
Teso, veloce, molto verbale, thriller politico, dove la ben nota passione del cinema americano per le inchieste giornalistiche non ha rivali nel mondo, compresa la contiguità tra la politica americana e gli affaristi che intendono spesso contaminare l’onestà delle persone che aspirano a cariche pubbliche di amministrazione. Se poi questo riguarda addirittura la mitica figura del Presidente, l’affare diventa incandescente. Diversi i personaggi importanti, soprattutto i due protagonisti: la giornalista emergente Elisha, per tutti Eli (Jodie Turner-Smith), che cerca, con risolutezza e intelligenza, i servizi importanti da seguire e scrive da poco per il Washington Chronicle, e l’anziano Nick Booker (Brian Cox), tra i più influenti e affermati giornalisti del quotidiano e della città e non solo. È tanta la stima che l’uomo prova per la donna che scopre in redazione che ne è divenuto il suo mentore e l’ha presa sotto la sua ala protettiva, chiedendole di lavorare in coppia.
Le elezioni presidenziali sono vicine e la campagna elettorale è già infuocata: i classici candidati dei due partiti storici sono l’impopolare e anziano rappresentante democratico, presidente uscente, e la senatrice Patricia Turnbull (Ann Dowd), una repubblicana che, se eletta, sarebbe la prima donna presidente degli Stati Uniti. Tra questi si è inserito Nate Sterling (John Cena), ex allievo dell’Università di Yale, medaglia d’oro olimpica e autore di best-seller: il modello del perfetto americano in carriera. L’ultimo arrivato si presenta in qualità di indipendente, quasi un populista, che tiene a precisare nei discorsi che abolirà la corruzione, finanzierà la sanità, combatterà le ingiustizie e via dicendo. Di certo, questa nuova ventata affascina l’elettore e le sue probabilità di vittoria sono in netto aumento, tanto da intimorire gli avversari. Anche Eli è attratta dal sorprendente personaggio politico e lo segue attentamente, sebbene venga assalita da un dubbio molto pesante, quando il suo uomo, Lucas Nicoll (Luke Kirby), che è nello staff del candidato, le rivela un particolare che la spinge a dubitare dell’onestà dell’emergente e a indagare su di questi segretamente, ovviamente solo con l’esclusivo l’aiuto dell’esperto Booker, rimasto del tutto scioccato. Gli confida infatti di aver scoperto una cospirazione: la sottrazione indebita dei fondi della lotteria (precisamente di 1 dollaro per ogni 1000) che si sta contrabbandando nel Super PAC (il Comitato di Azione Politica) sottraendo quindi le risorse finanziarie per le scuole pubbliche del paese. I sospetti cadono subito sulla senatrice Turnbull di cui ha sempre dubitato, ma, in prossimità delle elezioni, Eli e Booker scoprono che l’autore della frode non è la senatrice ma proprio Sterling! Incredibile, un terremoto politico, se la storia si rivelasse vera e venisse svelata con un articolo in prima pagina sul giornale importante sui cui scrivono! Parlando con Sterling, messo in difficoltà non può negare e gli fanno confessare il suo coinvolgimento.
Oltre al problema che il loro caporedattore Gordon White (Stephen Lang) si schiera contro la pubblicazione dell’articolo esplosivo, temendo ritorsioni del potere politico contro il giornale e quindi la chiusura, quale tipo di sconvolgimenti ci saranno nell’ambiente giornalistico e sociale è tutto da scoprire, perché lo scandalo è troppo clamoroso, dato che ha tolto non poche sovvenzioni al sistema scolastico dei più deboli. Le intenzioni proclamate da parte di Sterling nel serrato colloquio tra lui, i due giornalisti e Lucas, in cui promette che avrebbe restituito tutto dopo l’elezione, non sono credibili e solo un colpo di scena finale, davvero inaspettato, porterà alla giusta soluzione della complicata faccenda. Complicata perché per risalire alla truffa non era affatto semplice e solo con perspicacia e perseveranza Eli è riuscita a risalire alle somme sottratte, tramite la scoperta di fatture evidentemente false e la furbizia di risalire fino al catering dei party di Sterling, il cui titolare è infatti un suo finanziatore.
Ovvio che il modello preso dalla regista Amy Rice e dallo sceneggiatore Evan Parter è un mostro sacro della storia del cinema: Tutti gli uomini del Presidente: la costanza nell’indagine di due giornalisti, l’assenza di timori riverenziali, il coraggio di scoprire la pentola che contiene segreti scottanti, lo scandalo conseguente, le effrazioni negli uffici per rubare dati essenziali all’inchiesta. Ma soprattutto la sceneggiatura serrata, i dialoghi efficaci a ritmo sostenuto, la velocità di pensiero per agire e prendere la giusta soluzione. Un film verboso, necessariamente verboso, che obbliga il pubblico a tenere il passo, pena perdere il filo e la logica dello sviluppo della trama. Pare uno script di Aaron Sorkin, tale è il ritmo delle sequenze dei dialoghi. Se il film di Alan J. Pakula parlava di uno scandalo di finanziamenti dell’era Nixon, Amy Rice sviluppa una storia ipotetica, di fiction, ma non lontana dalla realtà. I riferimenti alla situazione politica americana di oggi e al dualismo tra Trump e Biden e all’avvento di Kamala Harris (scrivo queste righe a pochi giorni dalle elezioni) sono lampanti: il film è proiettato nel futuro che è già alle porte. E se perfino negli USA, per scrivere la verità che Eli cerca con tutte le forze, si rende necessario fondare un nuovo giornale, The Independent, appunto) che non deve essere condizionato dai potenti di turno, vuol dire che il sogno americano è una bufala, che vincono solo le persone abbienti che si fanno per giunta finanziare da chi poi è obbligato a proteggere nel futuro. I poveri restano poveri e gli emarginati vengono ignorati.
I mitici Bob Woodward e Carl Bernstein qui vengono sostituiti da una coppia che funziona alla meraviglia: i Nick Booker e Eli James del maestoso Brian Cox e l’avvenente Jodie Turner-Smith tengono tutto il film nelle loro mani. Due tipi di persone molto diverse (lui vecchio e con gran voglia di andare in pensione, schifato da tutto ciò che vede e scrive, lei meritatamente rampante dalle grandi qualità professionali) con due presenze differenti, perché la bellezza e il fisico di lei sono imponenti, con una grinta almeno pari a quello del personaggio, interpretato molto bene. La sorpresa è trovare la faccia pulita di John Cena sempre in giacca e cravatta (può ricordare sia lo Schwarzenegger di oggi che il Clooney impegnato, l’esordio registico del quale fu molto politico-giornalistico), mentre Stephen Lang non può fare altro che il duro, nelle vesti di un caporedattore ringhioso.
La regia di Amy Rice è promossa, nonostante l’immissione di alcuni affluenti retorici di cui gli americani, in questi casi, non sanno fare a meno, vista la solennità con cui viene sbandierata la libertà di stampa per raggiungere lo scopo primario della “verità”, e nonostante sia le tante scene della vita personale con la malattia terminale del padre della protagonista – che incide poco sul risultato finale ma che serve solo a stemperare la tensione e la cadenza ritmata della narrazione – e sia una certa complessità eccessiva della scrittura soprattutto nel momento in cui si rivela l’ambiguità dei giochi di potere e l’indagine sui numeri dei flussi di danaro fatto imboscare. A tratti si può anche notare una qualche costruzione che ricorda le miniserie tanto di moda provocate dal cinema sui “presidenti” che in America non mancano mai, sfruttando il filone trasportandovi di peso tutti i tratti canonici.
Nel complesso, sebbene manchi della qualità grintosa e incisiva spesso associata ai thriller politici, è un film sicuramente attivo, vitale, cadenzato da un ritmo a tambur battente in cui non ci si può distrarre un attimo, che dipende tutto dalla bontà delle interpretazioni degli ottimi Jodie Turner-Smith e Brian Cox, il quale, dalla bocca del suo stufo e disilluso personaggio, fa uscire una lezione di base per i giornalisti che si occupano dei politici: “Regola numero due: i membri del Congresso pensano di essere presidenti, i senatori pensano di essere re e i presidenti di essere dio.” (nella versione originale).
Vietato bypassare i titoli di coda, quando parte l’irresistibile America the Beautiful di Ray Charles, arrangiata da Quincy Jones.
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