The Killer
USA 2023 thriller/azione 1h58’
Regia: David Fincher
Soggetto: Alexis Nolent, Luc Jacamon (graphic novel)
Sceneggiatura: Andrew Kevin Walker
Fotografia: Erik Messerschmidt
Montaggio: Kirk Baxter
Musiche: Trent Reznor, Atticus Ross
Scenografia: Donald Graham Burt
Costumi: Cate Adams
Michael Fassbender: il Killer
Arliss Howard: il Cliente - Claybourne
Charles Parnell: l’Avvocato - Hodges
Kerry O'Malley: Dolores
Sala Baker: il Bruto
Sophie Charlotte: Magdala
Tilda Swinton: l’Esperta
Gabriel Polanco: Leo
Emiliano Pernia: Marcus
Jack Kesy: il Venditore
Endre Hules: l’Obiettivo
TRAMA: Il Killer opera a Parigi ed è l’assassino perfetto: un uomo senza nome in grado di attendere silenziosamente e pazientemente nell'ombra prima di colpire il bersaglio. Ma c'è qualcuno che sta cercando di fermarlo. Quando la sua abitazione, che lui vive come un santuario, viene profanata, la psiche dell'uomo comincia a vacillare. L'assassino, solitamente impeccabile e calcolatore, comincia a perdere la pazienza e la sua coscienza emerge intralciando il lavoro. Il Killer, in piena crisi, lascia la Francia per attraversare la Repubblica Dominicana e gli Stati Uniti, pronto a eliminare con ogni mezzo chiunque osi disturbare la sua pace.
Voto 7
Una crime story che non disdegna l’azione, in un tratto anche violenta e cruenta, che vede come protagonista un killer freddo e metodico. Una storia per certi versi classica ma anche innovativa: da un lato lo schema antico dello spietato assassino su commissione, da un altro l’utilizzo di congegni e mezzi tecnologicamente avanzati per scardinare serrature di sicurezza e per la ricerca di informazioni informatiche. In ogni caso una narrazione profondamente radicata nella filosofia registica di un grande autore come David Fincher che ha, come ben sappiamo, uno stile riconoscibile di meccanismi narrativi e di tecniche di tempi e sviluppi della trama. Un killer che punta sull’essenzialità dei movimenti e degli spostamenti, con una metodica esasperata e con principi collaudati nel tempo, implacabile nel raggiungere gli obiettivi che si è imposto. “Attieniti al piano. Gioca d'anticipo, non improvvisare. Non fidarti di nessuno. Mai concedere un vantaggio. Combatti solo se sei pagato per combattere. L’empatia è una debolezza.” Questo il mantra che sentiamo ripetere più volte dal pensiero dell’uomo prima di agire, prima di ogni azione, perfettamente organizzata e pianificata. Quest’uomo è solitario e freddo, costante e libero da scrupoli o rimpianti, un assassino, semplicemente The Killer, di cui non sappiamo nulla, il suo nome, di dove sia, dove abiti o delle persone a lui più care (solo più tardi scopriremo una bella ragazza a cui tiene tantissimo e la località dove vivono), che attende nell'ombra, in attesa del suo prossimo obiettivo. Eppure, più aspetta, più pensa che stia perdendo la testa, se non addirittura la calma. Una storia noir brutale, sanguinosa ed elegante di un assassino professionista perso in un mondo senza una bussola morale. In questa maniera, col passare dei minuti, ci rendiamo conto che è come un caso di studio di un uomo solo, con armi sparse in molteplici posti da prendere all’occorrenza e a seconda dei fatti, che sta lentamente perdendo la testa.
Questo personaggio ha le fattezze di un attore calato alla perfezione nel ruolo, Michael Fassbender, asciutto nel fisico flessuoso, silenzioso, che si nutre dell’essenziale non perdendo tempo in pranzi o cene, ma semplicemente con i cibi nutrienti e minimali: una banana, un panino MacDonald, guanti di pelle nera per non lasciare DNA nei luoghi che frequenta, con un piccolo spray per cancellarne ogni seppur minima traccia. Cerca di essere rilassato al massimo, attendendo il momento di agire con pazienza, spesso con le cuffie da cui ascolta i brani degli Smiths. Lo vediamo nella prima sequenza alla finestra di uno stabile parigino in ristrutturazione da cui sorveglia l’ultimo piano di fronte dove, come previsto, rientrerà in casa l’Obiettivo, una persona facoltosa che deve eliminare come gli è stato chiesto dal mandante, il Cliente, tramite l’Avvocato che coordina l’operazione. È armato di un sofisticato fucile di precisione. E attende, e attende. Attesa che un po’ lo logora. Non ha l’infinita pazienza di un professionista come il Joubert di Max von Sydow in I tre giorni del Condor e lo si nota da qualche smorfia o minimi gesti di nervosismo, o dalla telefonata (ogni volta che parla al cellulare distrugge il dispositivo immediatamente) avuta con quel legale. Fin quando finalmente arriva la persona attesa e lui si prepara meticolosamente mettendolo al centro del mirino, pronto al momento adatto.
È qui che succede l’imprevisto che devia per sempre il corso degli eventi e condiziona la vita del Killer nei giorni a seguire. L’Obiettivo (il film è diviso in capitoli intitolati a seconda del personaggio che va cercando) ha appena ricevuto una donna che deve intrattenerlo sessualmente, vestita come una Dominatrice, che purtroppo per lui, si inframmette tra l’uomo e il mirino dell’arma. Tanto non solo da non far trovare al sicario il tempo giusto per premere il grilletto, ma soprattutto di innervosirlo, fino al punto che, quando esplode il colpo, colpisce proprio la donna. L’azione, ovviamente, deve essere interrotta e mandata a monte, essendo adesso prioritario smantellare la postazione e fuggire con tutto l’armamentario sulla moto prima che la polizia, già allertata, circondi il quartiere. Errore fatale, perché ora l’Avvocato ha stabilito la ritorsione per il fallimento. Lui non lo immagina ma presto ne constaterà le conseguenze quando, rientrando nella sua dimora lontano dal mondo a Santo Domingo, scopre che la sua ragazza ha subito le violenze di due emissari, un Bruto e una glaciale Esperta (cameo straordinario di Tilda Swinton, scena da godere appieno) ed ora è in gravi condizioni in ospedale. Ecco, quindi, che l’imprevedibile errore professionale ha dato una svolta nello schema dei racconti classici dei noir: è l’assassino che va a caccia dei due autori della missione in casa sua, dell’Avvocato da cui ricavare i loro nomi ed infine del mandante. Per farla pagare caramente a tutti. L’ira funesta del prode sicario si scatena in una vendetta che non conosce limiti o perdono, né tentennamenti né confini territoriali: tutti i voli aerei che necessitano, passaporti di ogni tipo, armi adatte all’occasione, abbondanza di danaro ricavato dalla proficua attività. Sempre vestito in maniera anonima, meglio se da tipico turista tedesco per passare inosservato, perché “nessuno vuole interagire con un visitatore proveniente dalla Germania”.
Auricolari per la ritmata musica pop anni ’80 degli Smiths, abbigliamento trascurabile, mai un sorriso a hostess o cameriere, guanti neri, nessuno deve sopravvivere finché la sua amata Magdala (Sophie Charlotte) non sarà completamente vendicata secondo il suo metro di giudizio. Poi, chissà, potrebbe tornare a vivere tranquillamente nel suo paradisiaco resort, inteso come rifugio via dalla pazza folla. Non sarà nuovo come impianto di un film d’azione ma l’impronta di David Fincher lo fa diventare un’opera differente, quasi d’autore. L’iniziale sequenza descritta prima ha un’eco sicuramente hitchcockiana con quella “finestra” da cui tenere d’occhio il dirimpettaio da colpire, lo stile del racconto, la perfezione nella ricerca dei minimi particolari, quella usata per mostrare il modus operandi del protagonista e le sue manie che rasentano il parossismo professionale, l’intersezione tra immagini e colonna sonora (molto interessane e particolare il lavoro tutto ritmo e percussioni di Trent Reznor e Atticus Ross, alla loro quinta esperienza col regista), la serialità ripetitiva del pensiero del Killer ed il suo mantra, parole che paiono più uno yoga mentale per calmarsi – il suo orologio calcola anche i battiti cardiaci e si prepara solo quando calano) che l’ossessione per le sue precise e maniacali regole. È indubbiamente un professionista freddo e calcolatore, ma l’attesa prima dell’ultima operazione e l’errore capitatogli lo stanno facendo reagire un po’ troppo d’impulso.
Con la sua riconosciuta abilità Fincher ci porta quindi nella mente dell’imperturbabile esecutore nella costante e implacabile traiettoria che ha deciso di percorrere, facendo la spola tra uno dei suoi sei garage sparsi nel territorio e l’indirizzo dei due sconosciuti che hanno fatto irruzione nella sua villa dominicana, domicili che ha ottenuto nella aggressiva visita nello studio dell’Avvocato, la cui terrorizzata segretaria, nel tentativo di salvarsi la vita, ha scelto invano di fornire. Sceneggiatura serrata, narrazione secca, senza pause, lasciando lo spettatore sempre nell’incertezza della continua azione vendicativa, sorprendendoci incessantemente, da un ambiente all’altro, esotico e meno, abitazioni di lusso blindate che non lo fermano: curiosa l’acquisizione di strumenti tecnologici per clonare chiavi tramite un’immagine delle serrature ultramoderne inviata ad Amazon, i travestimenti da operaio, tempismo, irruzioni, con calcolata improvvisazione. Nel mentre, si chiede come si sarebbe comportato John Wilkes Booth, l’attore assassino di Lincoln, di cui sembra assumere la mentalità. Un riferimento senza dubbio ironico per un sicario che si vanta di non rappresentare nessun paese e nessuna bandiera, nulla al di fuori di sé. D’altra parte, un assassino è tale proprio perché manca di qualunque portata empatica, può uccidere solo perché incapace d’immedesimarsi nella vittima. Non si consente essere altro, o toccare l’altro, se non per annientarlo. Estrapolando l’essenza e la filosofia esistenziale e professionale di questo personaggio, si potrebbe dedurre che egli rappresenta una pretesa di autosufficienza che è tipica della società contemporanea quando si continua a ripetere che tutto dipende da se stessi: il Killer infatti ha tutto ciò che gli serve in ogni occasione, deve solo andare a rifornirsi nei suoi garage, oppure li ordina sul posto. Inoltre, nel corso del racconto suddiviso in sette capitoli con i nomi dei personaggi ricercati o dei luoghi dove si deve recare, la divisione sembra un intreccio della sua vita con quella degli “altri”, e perfino la sua vita così solitaria e isolata ha questo scarto di comportamento quando realizza che deve cercare vendetta per una questione romantica. Insomma, si muove per lavoro su commissione e reagisce per difendere Magdala. È asociale, introverso, forse misantropo, ma agisce per o contro gli “altri”.
Ecco perché è davvero un film di David Fincher e non un thriller qualsiasi: la meccanica narrativa trova spunto da una graphic novel dei fumettisti francesi Alexis Nolent, conosciuto come Matz, e Luc Jacamon, ma entra comodamente e prepotentemente nella norma fincheriana, nella sua meticolosità, una perfezione ricercata come il suo personaggio, nello sguardo essenziale, pulito e rigoroso, sguardo di un cineasta che non sbaglia un film. Lontano da ben 9 anni dal suo ultimo thriller, L'amore bugiardo - Gone Girl e dopo la digressione, se così si può chiamarla, nel complesso biopic Mank, la cui seconda parte vira verso una sorta particolare di giallo (quindi sempre in tema), rieccolo in un film che ha tutti gli ingredienti che lo distinguono: mistero, cadaveri, tromba delle scale inquadrate dall’alto, persone di cui si fa fatica a fidarsi, finali davvero sorprendenti (al riguardo, su tutti The Game - Nessuna regola). Autore originale e a suo modo inimitabile, che in una trentina d’anni ha firmato solo una dozzina di film, ma tutti memorabili.
Ha scelto Michael Fassbender – presente dal primo all’ultimo istante - e non ha sbagliato: un attore eccellente, qui fuori dai soliti ruoli dopo 4 lunghi anni di assenza dagli schermi, in quanto dedito a tempo pieno all’automobilismo professionistico tra le European Le Mans Series e la mitica 24 ore. Ora torna con due film, questo e Chi segna vince di Taika Waititi. Ottima performance, davvero bravo.
Sembra un film semplice (termine che usa anche lo stesso protagonista nelle sue silenziose elucubrazioni), facile, come tanti revenge o action movies. Poi ci si accorge, assimilandolo, che è, oltre che una fotografia della società di oggi (che non ammette fallimenti, come invece capita al Killer), molto di più, perlomeno per il fatto che non ci si distrae mai, neanche mezzo minuto, col fiato sospeso dall’inizio alla fine, quando finalmente lui e la ragazza in felice convalescenza si risposano, come noi che tiriamo il fiato. Anche se non ci viene mai detto il motivo del mandato di assassinio. O che, se viene risparmiato, ultimo della lista, è solo perché gli viene concesso il dubbio ma con la promessa di un eventuale ripensamento. Chissà perché, questa concessione.
Buon film!
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