The Palace
Italia/Svizzera/Polonia/Francia 2023 commedia grottesca 1h40’
Regia: Roman Polański
Sceneggiatura: Roman Polański, Jerzy Skolimowski, Ewa Piaskowska
Fotografia: Paweł Edelman
Montaggio: Hervé de Luze
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Tonino Zera
Costumi: Carlo Poggioli
Oliver Masucci: Hansueli, direttore dell’albergo
Fanny Ardant: Constance Rose Marie de La Valle
John Cleese: Arthur William Dallas III
Bronwyn James: Magnolia
Joaquim de Almeida: dott. Lima
Luca Barbareschi: Bongo
Milan Peschel: Caspar Tell
Fortunato Cerlino: Tonino, capo receptionist
Teco Celio: chef
Mickey Rourke: Bill Crush
Aleksandr Petrov: Anton
Sydne Rome: Mrs. Robinson
TRAMA: Il 31 dicembre 1999, al Palace Hotel, si sta preparando una delle feste di fine anno più importanti della storia. Il direttore Hansueli e il suo staff si adoperano per soddisfare i capricci degli ospiti, tutti esponenti dell’alta società.
Voto 6
media tra il 5 (o il 4 o meno ancora) di chi non lo sopporta e il quasi 7 di chi si è divertito, come me
Quando un regista e meglio ancora uno ritenuto “autore” intende girare un film grottesco con l’intento provocatorio per deridere la deriva classista e la fascia milionaria della popolazione si rischia sempre di eccedere e fallire lo scopo, sollevando invece un coro di disapprovazione e critiche contrarie all’operazione. A volte il lavoro viene fatto con tale ironia e intelligenza che il più distratto neanche si accorge degli intenti e non capisce il film, altre volte si può diventare sguaiati. A metà strada c’è l’ambiguità, ma se l’autore vuole affondare i colpi ed intende seriamente essere volgare per scelta, allora si apre uno spartiacque tra i due schieramenti, proprio come è accaduto con Roman Polanski. Ne è la dimostrazione la varietà dei voti (ricordiamo che non sono mai un giudizio analitico, ma sommario) che sono stati aggiudicati al film e che vanno dal 2 all’8: vuol dire che ognuno ha letto il film a suo piacimento, come è giusto che sia. Però, fin qui ci si può stare. Il guaio è venuto quando i critici e gli appassionati si sono scatenati in una serie di giudizi tranchant, articoli veementi, persino cattivi, per contrapporsi a chi invece tesseva elogi e apprezzamenti. Una baruffa. Su un film che voleva provocare. Vuol dire che c’era riuscito (immagino Polanski sorridere beffardamente soddisfatto).
Tutto è debordante. Come le misure dei personaggi, forzati, allargati, penosi, truccati e rimodellati (con pessimi risultati) dalla chirurgia plastica, perché questi tipi sono ricchissimi (o falsamente, come uno di loro) ma abbastanza su con l’età, anzi proprio anziani. Piuttosto, la cattiveria, studiata e anch’essa provocatoria, la vedo nelle scelte degli interpreti da parte del regista, allorquando ha chiamato nel cast attori e soprattutto attrici che di ritocchi ne hanno fatti già tanti, ad iniziare da Mickey Rourke e finire a Sydne Rome. A quest’ultima le labbra, dopo gli interventi chirurgici che ha voluto sul suo volto, arrivavano già quasi alle orecchie e qui non so se è stato accentuato dal trucco di scena, con il risultato che l’estetica è anche peggiore della realtà: praticamente un mostro. Ecco, allora, la volontà di Polanski nel calcare la mano e nell’accelerare il processo di disgusto. Sì, perché è tutto volutamente disgustoso, altrimenti tutto questo daffare non avrebbe raggiunto lo scopo e lo spettacolo era già finito prima di iniziare.
La trama non conta nulla, è solo un pretesto ed è facilmente riassumibile nel fatto che siamo al 31 dicembre del 1999, alla vigilia del Capodanno tanto atteso del 2000, con la temutissima evenienza del famoso Millennium Bug, cioè quel buco informatico che avrebbe potuto mandare in tilt i computer di tutto il mondo che, si temeva, poteva intendere la nuova data come un 1900. Altri, i soliti no-qualcosa, immaginavano la fine del mondo e chissà quali altre catastrofi. Ed invece il nulla, anzi il normale scocco della mezzanotte, mentre questa variopinta massa di persone vanitose, superbe, cattive, egoiste, fanatiche e ipocrite volevano festeggiare la mezzanotte in uno dei più esclusivi alberghi del mondo, al Palace Hotel di Gstaad, in Svizzera, in un ambiente tutto innevato. E lì arrivano alla spicciolata, ognuno con le più stravaganti richieste, accolti premurosamente dal più efficiente e duttile direttore d’albergo mai visto, Hansueli (Oliver Masucci, bravissimo), disponibile a risolvere ogni problema fino all’inverosimile. Coadiuvato dal capo della ricezione Tonino (un irriconoscibile Fortunato Cerlino), efficace collaboratore, ed uno stuolo infinito di cameriere, di stewards, facchini e artigiani. Come l’idraulico, il più classico, quello che arriva puntuale alla chiamata della donna più che matura che lo guarda come se fosse Rocco Siffredi. Succederà di tutto, sempre volgarmente, indecentemente, imprevedibilmente previsto, una serie vanziniana di déjà-vu di altri film. C’è pure un ex benestante che non ha più un cent e spera di far fortuna con un colpo informatico organizzato sul bug tanto temuto.
Per questo motivo, più che commentare la trama (ma c’è?) è più divertente studiare i personaggi.
Bongo (Luca Barbareschi, che, in veste di produttore, si è riservato questo ruolo) è un ex-pornodivo italiano la cui carriera si è arenata da tempo e l’organo che gli fruttava danaro è ormai inefficiente.
Il dottor Lima (Joaquim de Almeida) è un famoso chirurgo plastico, le cui discutibili opere sono visibili sui volti di alcune delle ospiti, accompagnato dalla moglie affetta da Alzheimer.
Constance Rose Marie de La Valle (Fanny Ardant) è un’anziana nobildonna preoccupata dal malore del suo cagnolino che ha defecato diarrea sulle lenzuola e pretende che il chirurgo lo visiti.
Arthur William Dallas III (incredibile! c’è anche John Cleese!) è un ricco magnate ultranovantenne che festeggerà il suo primo anniversario di matrimonio con l’immensa (nel senso del peso) Magnolia, di settant’anni più giovane, che (attenzione) resta incastrata con suo marito “dentro”, appena deceduto durante lo spericolato amplesso. No problem, Hansueli risolve tutto, per il bene dell’hotel.
Il losco Bill Crush (Mickey Rourke), il personaggio di cui sopra che millanta ricchezza, pretende i migliori trattamenti, tranquillamente ignorato, dato che tutti sanno che è messo malissimo in affari. Il gioco del regista è anche nelle parole: questo personaggio è Bill, da William, che si accorda per il furto finanziario con un revisore dei conti della banca locale, il cui cognome è Tell: siamo in Svizzera, no?
Oltre al resto del numeroso stuolo di personaggi più o meno dello stesso tenore, arriva anche un mafioso russo, Anton con alcune valigie piene di dollari, ed infine un criminale russo ancora più temibile e feroce che deve ritirare il malloppo. Quest’ultimo è con la sua signora, una vecchia che ubriacata di vodka prima si addormenta di faccia sul piatto di caviale e poi vomita verde. Dove si era vista questa scena? In Triangle of Sadness, versione più sardonica ed elegante – ma parimenti irridente – di questo film, di cui pare il concorrente scarso.
Cosa può accadere con un universo umano di questo genere? Nulla di buono, nulla di decente, tutto il deprecabile. E Polanski ce lo spiattella in una serie di gags che fanno allibire: si può sorridere oppure si può mollare il film. Ogni reazione è prevista e messa in conto preventivo. È un film fuori dalle righe? Sì. È un film fuori dallo schema polanskiano? No. Il novantenne regista polacco ha sempre voluto sbalordire, ma soprattutto ha frequentemente bloccato i suoi personaggi in luoghi chiusi: Rosemary’s Baby, Carnage, Per favore, non mordermi sul collo!, non sono microcosmi da cui non è facile fuggire? E poi, vogliamo dimenticare importanti autori (da Buñuel a Renoir) che hanno sbeffeggiato la borghesia? Certo, qui siamo nel campo dello smodato, coloratissimo, sgargiante persino pantagruelico mondo del kitsch, ma se non avesse stimolato disgusto il regista non avrebbe raggiunto il suo scopo.
A ben cercare, eppure, un colpo di scena avviene! Come un Millennium Bug, avviene qualcosa di imprevisto: sulle TV delle lussuose camere compare il viso rubicondo di un Boris Yeltsin che nel discorso alla nazione rassegna le proprie dimissioni e lascia che il giovane Vladimir Putin diventi il presidente ad interim della Federazione Russa, tra lo sconcerto degli ospiti russi. Nel frattempo, in attesa della cena di fine anno, si assiste ancora a scene sconcertanti, mentre proprio durante quel cenone si raggiunge l’apoteosi attendendo i fuochi d’artificio per salutare il nuovo secolo e il nuovo millennio, momento topico per festeggiare il Capodanno con il morto seduto sulla sedia a rotelle ed il sigaro in mano. Messinscena necessaria, con la cooperazione e l’inventiva dei due responsabili dell’albergo: bisogna salvare l’eredità di Magnolia.
Nella baraonda finale, con gli ospiti completamente ubriachi e fuori controllo, notte in cui perfino il mite Caspar Tell è circondato di donne, quando insomma ogni persona è in totale disfacimento, Polanski prova ancora a stimolare lo spettatore inquadrando con la macchina da presa, che scorre all’indietro tra i corridoi verso l’uscita, il cagnolino della signora Constance e il pinguino di Magnolia che si accoppiano felicemente nella hall. Senza barriere di razza, tipo, colore.
Il direttore della scenografia Tonino Zera, confortata dalle musiche di Alexandre Desplat, ha rivelato: “Fondamentale è stato il rapporto umano e artistico che si è creato con Polanski. Mi descriveva nel dettaglio in che modo volesse realizzare visivamente il suo film. Studiavamo i bozzetti dei vari ambienti, facendoci trasportare da quel folle immaginario dell’Hotel Palace in cui i molteplici ambienti dovevano rispecchiare il carattere dei personaggi che lo vivevano”.
Esperimento fallito? Riuscito? Per me un film utilmente superfluo.
Lasciamo lavorare Roman Polanski, che ha così definito il film: “una commedia un po’ brusca e sarcastica, severa nei confronti dei personaggi del film, ma non priva di un tocco di indulgenza e simpatia.”
Semplice, no?
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