The Sea Ahead
(Face à la mer) Libano/Belgio/Francia/USA/Qatar 2021 dramma 1h56’
Regia: Ely Dagher
Sceneggiatura: Ely Dagher
Fotografia: Shadi Chaaban
Montaggio: Ely Dagher, Léa Masson
Musiche: Joh Dagher
Scenografia: Sabine Sabbagh
Costumi: Lara Mae Khamis
Manal Issa: Jana
Roger Azar: Adam
Yara Abou Haidar: Mona, la mamma
Rabih El Zaher: Wissam, il padre
TRAMA: Jana è una giovane libanese che dopo aver vissuto anni a Parigi, torna dai genitori con l’intento di lasciarsi alle spalle un’esperienza che l’ha provata profondamente. Una volta a casa, lo sforzo per rientrare faticosamente in quelle rigide dinamiche familiari, fanno riaffiorare ansie e paure, le stesse per le quali aveva lasciato la Francia. La speranza è quella di trovare conforto in una parte della sua vita a Beirut che aveva dimenticato. Ci riuscirà?
Voto 6 -
Il debutto con un lungometraggio di un vincitore della Palma d’Oro per i corti, in questo caso il libanese Ely Dagher, è sempre molto atteso, in particolar modo quando, nel 2015, il suo cortometraggio Waves ‘98 vinse il primo premio. Sei anni dopo, è tornato a Cannes con un lungo, presentato nella importante sezione della Quinzaine des Réalisateurs.
Il personaggio centrale è Jana, che appare subito sullo schermo, appena sbarcata all’aeroporto di Beirut da Parigi, dove viveva da sola da quattro anni per studiare all’università e lavorare per mantenersi. È subito chiaro il suo stato d’animo, triste e depresso, evidentemente delusa per quello che ha vissuto e sopportato nella capitale francese. I genitori, colti di sorpresa, la accolgono felici e intuiscono facilmente che è sconfortata. Il carattere chiuso e le esperienze vissute l’hanno indurita e non parla volentieri della sua vita parigina: nonostante le tante domande, non svela quali lavori abbia svolto, le amicizie e le storie sentimentali che abbia avuto. Fino ad essere scontrosa e mai sorridente. Solo il suo vecchio ragazzo Adam la fa sembrare felice e le fa trascorrere ore liete d’amore e sesso, ma è solo apparenza. Nasconde chissà cosa e non lo sapremo mai. Di sicuro, non tornerà sui suoi passi.
Con l’occasione, seguendo i pochi giorni che la ragazza sta trascorrendo in quella che dovrebbe essere “casa” e da cui parte un vagabondaggio esistenziale alla ricerca di ciò che può essere catturato per confermare l’esistenza di una persona, il suo passato, la sua storia, e soprattutto il suo futuro in questo paese, il regista ci parla indirettamente del suo Libano e della sua Beirut, che nel corso degli anni ha accumulato attriti politici e sociali, culminati nella tragedia dell’esplosione del 4 agosto 2020 che causò la morte di circa 200 persone. Nel frattempo, Jana è attanagliata da un soffocante sentimento di attaccamento e di evasione quando pensa alla sua vita, un mare turbolento di emozioni e pensieri si confronta nella mente e nel cuore, e ora, che è tornata nella sua vecchia/strana città, è malinconicamente alla ricerca di un modo per riparare quell’irreparabile che sente dentro.
Per spiegarci queste turbolenze senza parole, Ely Dagher si sofferma a lungo sul suo viso, spesso in primo piano, ma neanche così trapela nulla allo spettatore, che attende invano le rivelazioni private. Anzi, sia la lentezza dello sviluppo del film, sia il perdurare dell’indagine sul suo volto, non fanno altro che allungare la pellicola facendo durare troppo il film, in cui si poteva risparmiare almeno mezz’ora. Esplicative ed efficaci, invece, sono i tratti in taxi che Jana percorre, mentre noi, assieme a lei, osserviamo e scrutiamo il panorama delle strade, dei viali e il lungomare della capitale, come un viaggio dell’anima nel luogo che si ama e odia nello stesso tempo. Si ama perché è dove si è cresciuti e dove c’è il mare che non si vuole abbandonare, si odia perché il ritorno significa la rinuncia e la sconfitta personale delle scelte.
Peccato, perché il giovane regista libanese, che mostra un Libano moderno, tanto lontano dal solito cliché del Medioriente poco permissivo con le donne, poteva realizzare qualcosa di migliore, dato il buon soggetto di partenza, che in certi momenti può ricordare il periodo dell’incomunicabilità di Michelangelo Antonioni. L’essenziale, però, succede: non conosciamo il vissuto di Jana a Parigi ma capiamo il suo disagio e desideriamo sappia liberarsene e trovare la tranquillità e la felicità che le mancano. Forse glielo può dare quel mare di fronte, di cui ama guardare e ammirare il blu intenso che porta sempre nel cuore.
La regia ci mostra un artista che promette, deve solo correggere e fare esperienza, mentre Manal Issa, anche bella, come sanno essere le mediorientali, dimostra molte potenzialità. Se avrà le occasioni giuste le dimostrerà.
Le candidature, soprattutto nell’ambito arabo sono arrivate puntuali, ben 7, compreso quella alla Camera d’Oro a Cannes 2021.
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