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To Catch a Killer – L’uomo che odiava tutti (2023)

To Catch a Killer – L’uomo che odiava tutti

(To Catch a Killer) USA/Canada 2023 poliziesco 1h59’

 

Regia: Damián Szifron

Sceneggiatura: Damián Szifron, Jonathan Wakeham

Fotografia: Javier Julia

Montaggio: Damián Szifron

Musiche: Carter Burwell

Scenografia: Jason Kisvarday

Costumi: Aieisha Li

 

Shailene Woodley: Eleanor Falco

Ben Mendelsohn: Geoffrey Lammark

Jovan Adepo: Jack Mackenzie

Ralph Ineson: Dean Possey

Rosemary Dunsmore: Mrs. Possey

Richard Zeman: Frank Graber

Dusan Dukic: Krupp

Jason Cavalier: Marquand

Mark Camacho: Jackson

Darcy Laurie: Rodney Lang

Frank Schorpion: Nathan Bowen

 

TRAMA: Eleanor è una poliziotta travagliata e talentuosa che viene reclutata dall’FBI per aiutare a rintracciare e profilare un pericoloso assassino.

 

Voto 6,5



Ecco quindi all’opera per la prima volta negli States e in lingua inglese Damián Szifron, un semisconosciuto regista argentino, più che altro affermatosi con alcune serie nel suo Paese ma fattosi notare in campo internazionale con Storie pazzesche, una simpaticissima commedia nera con uno scatenato e irato Ricardo Darín e con il bravissimo Oscar Martínez, film che ha raccolto premi in ogni angolo del mondo ed una candidatura agli Oscar. Perciò non un autore del tutto sprovveduto. Anzi, con questo film dà l’impressione di aver capito bene come funziona il mondo anglosassone nel genere, ancor di più perché guardando la pellicola senza conoscere la firma, tutto fa pensare che sia stata girata da un regista americano. Tra l’altro si occupa anche della sceneggiatura e del montaggio. E se lì le musiche erano del mitico Gustavo Santaolalla, qui addirittura leggiamo il premiatissimo Carter Burwell.



Inizialmente intitolato Misanthrope, indicando chiaramente la tipologia del killer autore delle più che numerose uccisioni, il film, con alcune inquadrature panoramiche della città di Baltimora (in realtà è stato girato nella innevata Montreal), ci introduce nella notte pirotecnica e paranoica dell’ultimo dell’anno quando fervono i festeggiamenti del tocco della mezzanotte con la gente che vuole festeggiare l’anno nuovo: party in cima ai grattacieli, bevande a fiume e fuochi d’artificio, questi ultimi utili al misterioso assassino per coprire i tantissimi colpi sparati da una finestra con estrema precisione, lasciando a terra decine e decine di persone scelte a caso e colpite nei punti vitali per uccidere senza scampo. La prima facile deduzione della polizia allertata è che l’autore della strage è un soggetto ben addestrato e dotato di un fucile efficacissimo, che poi si scoprirà di vecchia costruzione, un’arma usata dall’esercito americano almeno una quarantina d’anni prima.



La prima ad accorrere è Eleanor Falco (Shailene Woodley), una poliziotta giovane ed inesperta che però dimostra immediatamente una notevole dote di perspicacia muovendosi con intelligenza e filmando con lo smartphone la gente che scappa dall’edificio principalmente preso di mira dal killer. Tra la marea di poliziotti e agenti della SWAT, giunge un funzionario dell’FBI, Geoffrey Lammark (Ben Mendelsohn) che ben presto intuisce le doti della ragazza (fino ad allora sottovalutata e sottoutilizzata, persino a servire il caffè nella stazione di polizia) e la ingaggia direttamente alle sue dipendenze unitamente al collega Jack Mackenzie (Jovan Adepo) per iniziare subito le indagini. Il primo passo del regista è quello di spiegare il carattere e la professionalità di Lammark, il quale, con il discorso iniziale di indirizzo dell’operazione, catechizza tutti i poliziotti secondo il dettame e il sistema di lavoro che lo hanno sempre accompagnato.



Le intenzioni sono quelle di poter immaginare la tipologia del killer: il modo di muoversi, cosa lo motiva, la provenienza sociale, se persona malata di protagonismo o per motivi di rivalsa verso la società, e così via. Immediatamente ci si accorge come Eleanor abbia un intuito superiore alla media, come sappia osservare i particolari e la grande dote di intuito che la spinge a deduzioni attendibili, ottenendo così la stima istantanea del funzionario FBI, che le fa molte domande ottenendo risposte affidabili. Come succede in questi casi, l’opinione pubblica spinge il sindaco e i capi della polizia e del Bureau a trovare presto un colpevole, chiunque sia, facendo arrabbiare Lammark, che invece vuole seguire i suoi metodi e non sbagliare obiettivo. Lui non cerca un colpevole, ma IL colpevole, tanto che il killer colpisce ancora nel breve giro di qualche ora, sentendosi braccato da vicino.



In parallelo alla caccia scatenata, Damián Szifron svolge il tema dello studio psicologico dei principali personaggi, soprattutto del responsabile delle indagini e della giovane Eleanor, rivelando di quest’ultima il passato assai problematico, le sofferenze intime, i trascorsi di ragazza tossica e infelice, in un drammatico colloquio con il suo capo momentaneo. Nasce un bel rapporto tra i due, nonostante i momenti nervosi e rigidi dell’uomo (sembra una pallida replica de Il silenzio degli innocenti), che però non le nasconde la grande fiducia che prova per lei. Aspettativa ben riposta perché la sua applicazione porterà a risvolti agghiaccianti e imprevedibili nella scoperta del ricercato, con un finale davvero molto drammatico. Molti saranno, alla fine, i corpi rimasti a terra, man mano che gli indagatori si avvicinano alla persona a cui danno la caccia.



È un film americano, è un thriller ad alta tensione e molto sangue, è un poliziesco, tutti elementi che caratterizzano il cinema d’azione che porta sempre alla vittoria della giustizia, ma non finisce, come solito, semplicemente con la sparatoria finale e il colpevole giustiziato sul posto o portato in tribunale: qui si va oltre, anche per la totale compartecipazione della valente Eleanor verso il misterioso uomo con cui è venuta a stretto contatto, con un dialogo che sorprende non poco. Quel finale è doppio: prima la conclusione fisica e poi quella morale, da compromesso, più che mai opportuna, anche se inattesa. In fondo, la Giustizia, penale e morale, la porta a conclusione proprio lei, che sicuramente dopo questa brutale esperienza è cresciuta anche dal punto di vista mentale e trova finalmente la sua strada, per non sbandare più nelle tentazioni ancora presenti. Una ragazza di cui non sapremo mai bene i trascorsi, di certo non facili. Che odia stare in mezzo alla gente e che non ha paura della morte. Proprio come Dean, il killer che odia tutti. Ecco perché sa come trattarlo e spiegargli che lui è solo un intrattenimento televisivo, dei social, che entrambi sono “prodotti” della società odierna.



Il lavoro di Damián Szifron si svolge quindi non solo sul piano operativo, come da schema classico del thriller poliziesco, ma si concentra bene anche sul piano emotivo e psicologico dei due personaggi centrali e così veniamo a conoscere la vita privata di Lammark (sposato con un simpaticissimo e colto uomo, particolare un tantino ruffiano per compiacere il politicamente corretto) e il controverso passato della sofferente Eleanor. Senza lo studio rivolto a loro due il film avrebbe perso buona parte di significato. Il lato invece operativo invece è piuttosto scontato sebbene qualche piccola trovata riuscita per sorprendere il pubblico, ma ampiamente compensato da una ricercata messa in scena (fattore già riscontrato nell’accennato film precedente), da buoni movimenti di macchina e il buon montaggio, essenziale per la riuscita di un film poliziesco d’azione. La sceneggiatura, scritta a quattro mani, appare in alcuni frangenti prevedibile, in altri divertentemente spiazzante con battute lampo che fanno sorridere e spezzano l’angoscia e l’ansia che pervadono l’opera.



Piuttosto, appare banale la configurazione dello psicopatico, dipinto come una vittima della società che non l’ha mai aiutato, un po’ come stava succedendo alla protagonista. Troppe le motivazioni che lui elenca e che lo hanno spinto a questa barbara rivoluzione personale: lo sterminio degli animali per produrre hamburger, lo spreco del consumismo, l’inquinamento luminoso, lui vuole spazio e tempo mentre le persone cercano solo cose. Un pot-pourri di cause che lo hanno portato in una strada senza ritorno. Cause concepibili ma forse poco attendibili nell’ambito di questa storia. Che comunque è apprezzabile e sufficientemente appassionante. Peccato per la bella frase riassuntiva sentita nell’ultima sequenza che però sparisce nella versione italiana: è la voce del buon Lammark che ricorda: “We get this guy, this all goes away, and we can both do the job, we were meant to” [Abbiamo preso l’individuo, tutto ciò se ne va, ed entrambi potevamo farlo, eravamo destinati a farlo], mentre la sempre notevole musica di Carter Burwell ci accompagna alla vita di Eleanor che riprende.



Regia di Damián Szifron sicuramente promossa, Ben Mendelsohn si costruisce con grande abilità il suo personaggio, come lui sa fare molto bene, mentre, al contrario, Shailene Woodley si adatta e rappresenta con bravura il non facile personaggio della protagonista. L’avevamo conosciuta adolescente in Paradiso amaro come figlia di George Clooney, qui è una carina trentaduenne alla ricerca del film della vita, che prima o poi, credo, arriverà.

Buon film, non tutti lo hanno apprezzato, ma credo meriti rispetto.

Ora mi incuriosisce il prossimo film del regista, staremo a vedere.



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