Un altro Ferragosto
Italia 2024 commedia 1h55’
Regia: Paolo Virzì
Sceneggiatura: Paolo Virzì, Francesco Bruni, Carlo Virzì
Fotografia: Guido Michelotti
Montaggio: Jacopo Quadri
Musiche: Battista Lena
Scenografia: Sonia Peng
Costumi: Catherine Buyse Dian
Silvio Orlando: Sandro Molino
Sabrina Ferilli: Marisa
Christian De Sica: Pierluigi Nardi Masciulli
Laura Morante: Cecilia Sarcoli
Andrea Carpenzano: Altiero Molino
Lorenzo Saugo: Noah
Vinicio Marchioni: Cesare Conocchia
Anna Ferraioli Ravel: Sabrina “Sabry” Mazzalupi
Gigio Alberti: Roberto
Agnese Claisse: Martina Santucci
Lorenzo Nohman: Tito
Paola Tiziana Cruciani: Luciana Mazzalupi
Claudia Della Seta: Graziella
Emiliano Bianchi: Ivan
Emanuela Fanelli: Daniela
Lorenzo Fantastichini: Massimo Mazzalupi
Noah Vallone: Ruggiero Jr
Liliana Fiorelli: inviata TV
Raffaella Lebboroni: Betta
Laura Rauch: Ursula Hirschmann
Milena Mancini: senatrice Ascione
Maria Laura Rondanini: Maria Luisa Vitiello
Ema Stokholma: Gaia
Rocco Papaleo: brigadiere Pampiglione
Lele Vannoli: carabiniere
Suamy Zangrilli: commessa
Lorenzo Balducci: onorevole Corchiani
Silvio Vannucci: Mauro Santucci
Lorenzo Nohman: Tito
Angelica Tuccini: Sveva
Fabrizio Ciavoni: Fabio
TRAMA: Ventotto anni dopo la loro estate insieme, i Molino e i Mazzalupi tornano a Ventotene per motivi diversi. Sandro è ormai morente e il figlio ventiseienne Altiero, imprenditore digitale sposato con un fotomodello, decide di invitare gli amici del padre a trascorrere un’ultima estate tutti insieme. Ma negli stessi giorni la cittadina ospita anche le nozze di Sabry Mazzalupi, diventata celebrità del web, che portano a Ventotene non solo la famiglia della donna, ma anche giornalisti, curiosi e arrampicatori sociali.
Voto 5
Tirando le somme sulla sua seconda regia in carriera, Ferie d’agosto (1996), di Paolo Virzì si diceva che confermasse la sua predisposizione ad una certa forma di commedia all’italiana, guardando ai vizi e agli stereotipi dell’italica gente, mettendo a confronto, nel periodo clou delle vacanze tipiche nostrane, due tipi opposti di famiglie. Quella dei Molino, di tendenza politica che guardava alla sinistra, con un capofamiglia giornalista e pseudointellettuale Sandro Molino, allora articolista dell’Unità, e quella dei Mazzalupi, caciaroni, arricchiti e teledipendenti, con un capofamiglia titolare di un paio di armerie. Ora, quella sorta di La terrazza di Ettore Scola affacciata sugli scogli dell’isola di Ventotene, resa famosa quale confino per gli antifascisti, la ritroviamo con gli adeguamenti politici e sociali dei nostri tempi. Ancora una volta le due famiglie si ritrovano per caso e per esigenze differenti ma sempre con le loro caratteristiche culturali tanto diverse, come due razze di alieni di galassie lontane: i primi arrivano spinti da Altiero, un ventiseienne imprenditore digitale che torna sull’isola col marito fotomodello per radunare i vecchi amici intorno al malandato padre Sandro e regalargli così un’ultima vacanza. Non si aspettava certo di trovare il luogo di villeggiatura in fermento per il matrimonio di Sabry Mazzalupi col suo fidanzato Cesare. Infatti, la ragazzina goffa figlia del defunto bottegaio romano Ruggero, è diventata una celebrità del web e le sue nozze sono un evento mondano che attira i media e anche misteriosi emissari del nuovo potere politico. Due tribù di villeggianti, due Italie apparentemente inconciliabili, destinate ad incontrarsi di nuovo a Ferragosto, per una sfida stavolta definitiva.
I personaggi sono grosso modo gli stessi di 28 anni prima, sono solo invecchiati e incanutiti, sono arrivati i nuovi giovani, mentre gli adolescenti di allora sono cresciuti. Purtroppo sono assenti due personaggi fondamentali, Ruggero e Marcello (Ennio Fantastichini e Piero Natoli, che, ahimè, sono davvero mancati nel frattempo) e qui ritroviamo le loro vedove, Marisa (una vivace e grintosa Sabrina Ferilli) e Luciana (l’ottima Paola Tiziana Cruciani), l’una in compagnia del nuovo compagno sedicente ingegnere (che pare piuttosto un affarista immobiliare alquanto messo male in arnese in quanto a finanze), Pierluigi Nardi Masciulli (Christian De Sica), l’altra con l’urna cineraria del suo amato. In prima fila ovviamente c’è il Sandro di Silvio Orlando, fatto invecchiare più del dovuto perché ormai rimbambito e molto malato, che fa da voice over nelle prime sequenze quando sta dettando una mail all’adorato e interessato nipotino - molto in gamba con il computer – da inviare ad Ursula von der Leyen per sollecitare una migliore politica nell’ambito della UE. Dietro di lui tutta la stirpe, ad iniziare dal figlio Altiero (Andrea Carpenzano, manierato sì, ma molto efficace, un buon personaggio) con il nome dell’antifascista Spinelli, il suo marito fotomodello straniero biondo, la moglie Cecilia (Laura Morante) e via dicendo.
L’altra trincea è capeggiata da Sabry – forse meglio Sabbry, alla romanesca – interpretata dalla ex adolescente Anna Ferraioli Ravel del film precedente, ora divenuta l’influencer di successo più burina, caciarona e ignorante immaginabile, che confonde confino con confine, come se Ventotene avesse la dogana. La sua famiglia e la nutritissima compagnia è tutta lì per celebrare il suo matrimonio con un uomo ancor più rozzo e cafone di lei, Cesare (Vinicio Marchioni), un bullo palestrato e tatuato che non la ama affatto, piuttosto interessato ai notevoli compensi del successo sul web. Inutili i tentativi della zia Marisa, donna scafata che ha intuito la situazione, per evitare una unione che illuda la nipote. Ciò che impressiona maggiormente è però la varietà antropica della comitiva: collaboratori della divetta, intervistatrice appiccicata, stuolo di fans e l’imminente arrivo di alcuni esponenti politici di destra. Cioè, se nell’occasione precedente vedevamo un’Italietta divisa ma moderata, ora, con il potere in mano ai conservatori, la parte di popolo becero, incoraggiato dall’aria che tira, si scatena in prepotenze abusive e pretese di ogni tipo, fino ad influenzare il maresciallo il brigadiere (Rocco Papaleo) e il suo aiutante nelle scelte di comportamento.
In mezzo tra le due sponde naviga ancora Roberto (Gigio Alberti), appartenente alla schiera dei Molino ma incantato dall’antico amore verso la sempre attraente Marisa, la quale è conscia dell’inconsistenza dell’ingegnere di De Sica. Ma si sa, ad una certa età va bene tutto, pur di galleggiare. Insomma, se 28 anni prima era una brutta Italia, ora siamo a livelli infimi, sempre peggiori, con individui emergenti spalleggiati dalla nuova destra, anch’essa presente con l’arrivo della senatrice Ascione (Milena Mancini) che cerca volti nuovi da inserire tra i candidati del futuro: che Sabrina sia impresentabile non conta, l’importante è che attiri l’elettore. Si può peggio di così? Non credo. Si ripeterà inevitabile, anche se informa più drammatica, il duello sociopolitico e di mentalità tra i due schieramenti e con tanto di revival delle figure che furono confinate sull’isola nel Ventennio ed il peggioramento delle condizioni di salute del patriarca Sandro.
Ma in fondo, cos’è questo film, se non la versione radical chic delle estati vanziniane? Dopo il trittico di maggior qualità (Tutti i santi giorni, Il capitale umano, La pazza gioia) che rappresenta l’apice della curva, Paolo Virzì ci ha abituati a film di minor valore e qui conferma di non essere più in grado di ripetere i fasti trascorsi. Questa commedia è più acida e meno politica, più triste perché è triste la qualità politica del momento, più drammatica e più volgare, alla pari dei talkshow televisivi che guardiamo con disgusto. Il regista calca la mano sull’aspetto bifolco dei personaggi per mostrare la spietatezza del nostro momento politico e alcune battute paiono efficaci più del film stesso: “La verità è che voi intellettuali non ce state a capì un cazzo, ma da mo’!” (parole di Marisa-Ferilli), oppure “Stamo a morì e annamo in giro a salvare le balene, ma chi se l’incula le balene?” (monologo a mo’ di sfogo nichilista e desolante della ex moglie del novello sposo, la spigolosa Daniela di Emanuela Fanelli), ulteriore invettiva contro il pensiero di sinistra. Sì, Virzì mette in bella mostra i lati peggiori della destra omofoba che sta al governo ma, da buon simpatizzante, non si tira indietro nel momento di accusare la sinistra di immobilismo e scarsa convinzione.
Il risultato è che la commedia risulta inutilmente lunga, perché - azzarderei – annoia qui e là e trova gli unici momenti di piacevolezza solo nelle sequenze oniriche in bianco e nero, con Sandro, ormai in fase di precoma, che incontra e dialoga con i mitici politici confinati, in cui egli ammette tutti gli errori che la sinistra ha commesso negli ultimi anni, compreso divisioni, correnti e conflittualità, con l’esortazione che non accada più. Intorno, nella vita reale e vagamente “ferieggiante” d’agosto, una varietà umana di gente che cerca la felicità spicciola, momentanea, il successo facile, la riabilitazione affettiva, il colpo finanziario o edilizio per non dichiararsi fallito, mentre tanti altri fallimenti personali e relazionali scoprono miseramente la pochezza d’animo di questa fauna. È, indubbiamente, la fotografia del nostro Paese aggiornata, così tanto lontana da quella più semplicemente caciarona di tre decenni prima.
Il sequel, che ritengo abbastanza inutile, non era nelle intenzioni del regista che però, spinto dal successo e dai premi ricevuti dal film storico che negli anni successivi ha continuato a essere trasmesso in tv con enormi ascolti, diventando anche materia di discussione sul carattere degli italiani e sulla situazione politica, ci ha ripensato, anche a causa del ricordo affettuoso dei due attori venuti a mancare. Addirittura, ha affermato che aveva fatto un sogno (“però non so se fa ridere o se fa pena”, dice) in cui c’erano tutti i padri della patria a Ventotene: Spinelli, Pertini, Di Vittorio, Terracini e Ravera. Allora ha immaginato di riallacciare le fila di questi due aggregati che non sono delle vere e proprie famiglie. Secondo lui, i Mazzalupi lo sono, mentre quella di Sandro Molino è più una tribù. Inoltre, mi è piuttosto piaciuto annotare che i primi amano andare a fare la vacanza al mare, i secondi vanno a guardare il mare. Una differenza non secondaria a dimostrazione della mentalità. L’obiettivo, comunque, da un lato era fare un bilancio delle vite di questi personaggi, ma c’era anche un motivo più personale che concerne il suo modo di guardare la vita e la società: gli interessava osservare il cambiamento di queste persone nel corso del tempo, che, con l’età, sono diventate più fragili. Infatti, anche se è solo Sandro a dialogare con i fantasmi degli anni ‘40, tutti i personaggi si ritrovano a fare i conti con il passato. E ciò è duro ad ammettere. Di contraltare, pesa anche la frase pronunciata dall’ingegnere Pierluigi Nardi Masciulli (più che mai in atteggiamento “Vittorio”) che va tanto di moda con la destra al governo in questi anni: “Gli italiani hanno votato e il popolo ha sempre ragione”. Quante volte la sentiamo dire?
Verrebbe da dire: stesso mare, un’altra Italia. E così è, i tempi sono cambiati e forse l’unico valore vero del film è racchiuso in questa perifrasi. Più della satira politica, l’opera di Paolo Virzì mette a fuoco le relazioni, una galleria di amori tristi, infelici, ridicoli, disturbati, tossici. In pratica, tende a raccontare cosa fa il tempo alle persone: le fa migliorare, le fa diventare più sagge? Eh, non ci sono regole, succede di tutto. In fondo, la trama fa incontrare anziani che hanno una certa idea della res pubblica e della politica con giovani, come Altiero e Sabry, che hanno fatto fortuna con le professioni moderne legate alla tecnologia. Il primo con una App di chat e la seconda con i social. Oggi va così.
Un film necessario? Non credo proprio. Un film stiracchiato, sfruttando il successo del precedente, sollecitando la memoria di chi lo aveva apprezzato, ma lo stile vanzino non gli ha fatto bene. L’unica certezza resta che i migliori sono migliorati nella saggezza ma i peggiori sono proprio peggiorati di brutto. Perché, perlomeno a me, così son sembrati. E sotto questo profilo il film ha centrato l’obiettivo. Ma è troppo poco per meritare la sufficienza.
Le sole tre candidature ai Nastri d’Argento (film, Sabrina Ferilli e Andrea Carperzano) stanno a dimostrarlo.
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