Un colpo di fortuna - Coup de chance
(Coup de chance) USA/Francia/UK 2023 commedia/thriller 1h33’
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Fotografia: Vittorio Storaro
Montaggio: Alisa Lepselter
Scenografia: Véronique Melery
Costumi: Sonia Grande
Lou de Laâge: Fanny Fournier
Valérie Lemercier: Camille Moreau
Melvil Poupaud: Jean Fournier
Niels Schneider: Alain Aubert
Sara Martins: Chloe
Elsa Zylberstein: Caroline Blanc
William Nadylam: Charles
Grégory Gadebois: Henri Delany
Guillaume de Tonquédec: Marcel Blanc
Arnaud Viard: Pierre
Anne Loiret: Delphine
Bruno Gouery: Gilles
Yannick Choirat: Marc
TRAMA: Fanny e Jean hanno tutto della coppia ideale: soddisfatti nella vita professionale, vivono in un magnifico appartamento di Parigi e sembrano innamorati come il primo giorno. Ma quando Fanny incrocia, per caso, Alain, un ex compagno di liceo, la situazione viene stravolta. Si rivedono molto velocemente e si avvicinano sempre di più. Fin quando un giorno il giovanotto sparisce misteriosamente.
Voto 6,5
E son 50!
Woody Allen, imperterrito, continua a scrivere e dirigere con il ritmo di un giovanotto, quasi un film all’anno, sempre nel solco del sentiero che percorre da decenni, trattando il dramma dell’esistenza e del pessimismo con i toni della commedia, spesso avvolta, come in questo caso, da un’aria da thriller, meglio ancora da giallo. Come in Match Point, Irrational Man, Sogni e delitti, e con la sfiducia di Crimini e misfatti. Cardine assoluto il pensiero dostoevskiano: il delitto, il castigo, il caso, e nello specifico la fortuna, come se la vita coincida con una sorta di scommessa. Tant’è che il biglietto della lotteria che compra il giovane Alain non è un episodio secondario della sceneggiatura, ma un accenno al fato e alla causalità che può far pendere il finale per un verso differente da quello premeditato da Jean. Ma andiamo con ordine.
Fanny e Jean sembrano a tutti gli effetti una coppia perfetta. Si sentono entrambi realizzati nei rispettivi lavori: lei in una casa d’asta, lui in “affari” mai ben chiariti, un’attività che “rende i ricchi ancora più ricchi”, lui senz’altro. Senza figli, vivono nell’agiatezza assoluta in un lussuoso ed enorme appartamento di una zona chic di Parigi, con una casa di campagna con tanto di bosco per andare a caccia di cervi, e apparentemente sono innamorati come il primo giorno in cui si sono conosciuti. Lei è al secondo matrimonio, dopo un deludente primo con un pittore “molto sensibile e drogato”. Il giorno, però, che Fanny incrocia casualmente Alain, un ex compagno del liceo, tutto cambia. Il giovane dice che è stato sempre innamorato di lei e gli piacerebbe frequentarla. I due, pur con qualche perplessità da parte della donna, decidono comunque di rivedersi, più volte, e ciò li avvicina in maggior misura. Ne consegue che, dopo qualche giorno, Fanny si trova sempre meno a suo agio in compagnia del marito e molto con l’antico amico, abile a corteggiarla senza insistenza, ma in maniera efficace. Fanny cede all’impulso e, man mano che la relazione extraconiugale cresce, inebriata, valuta addirittura di lasciare il marito. Siamo nella consueta commedia romantica di Allen, mai eccessivamente sentimentale ma sufficientemente tenera, appena caratterizzata dai vivaci dialoghi che solo lui sa scrivere.
Fanny si rivela ingenua e non immagina che il comportamento più freddo verso il marito possa insospettirlo, cosa che invece avviene, tanto che Jean inizia a sospettare qualcosa e, nel momento in cui riceve le prove del tradimento, ha una reazione fredda e calcolatrice, ma non nuova per lui. Ecco il lato thriller. Ma soprattutto il disvelamento della reale personalità che si nasconde sotto la figura dell’uomo d’affari. È questa la sorpresa che Allen ci offre inaspettatamente: Jean è un figuro dalle ombre tenebrose e sotto quel suo modo vanitoso di fare - trattare gli amici, esibire l’agiatezza e perfino la bella moglie come un oggetto pregevole in suo possesso (lei confida “A volte mi sento come una moglie trofeo”) - è un sipario chiuso dietro il quale ha un terribile segreto. Ed ora, irritato di essere stato ferito nelle cose che ritiene di sua assoluta proprietà, cerca la soluzione che gli fa comodo, ricontattando un paio di rumeni di cui si è servito in una precedente occasione: il socio in affari sparito da tempo nel nulla dopo che lui era stato accusato di aver fatto sparire dei fondi della società.
Da un lato una coppia giovane e felice, dall’altro un marito nervoso e vendicativo, senza scrupoli, che ha deciso di eliminare l’incomodo. Ha solo un problema: la suocera, ospite per qualche giorno, sta scoprendo i vecchi altarini ed è diventata un ostacolo. La situazione assume una diversa connotazione, le trame criminali si intrecciano, Fanny naviga inconsapevole nelle acque agitate, Alain ora è sparito, la suocera Camille cammina sulla lama affilatissima del coltello: lampi hitchcockiani saettano sul cielo di Parigi e nella tenuta di campagna. Sono tanti percorsi destinati incrociarsi nel bosco ad opera del losco ma stimato uomo d’affari e ancora una volta il caso deciderà, e non secondo i canoni del cinema ordinario, di un thriller normale, ma alla maniera alleniana, con il colpo di scena, un coup de chance, usando la lingua che per la prima volta il regista ha scelto per un suo film. Perché l’imprevedibile regna sull’uomo e le sue scelte sono soggette a quel dio chiamato “caso”. Tu puoi calcolare tutto alla perfezione ma non puoi prevedere la casualità degli accadimenti. Qualche volta la puoi far franca, ma il castigo è la conseguenza del delitto ed è scritto anche nel destino dell’imponderabile.
Trae in inganno la prima parte, parendo una commedia innocente. La riconosciuta fotografia di Storaro - la messa in scena è una felice combinazione di colori ricchi e contrastanti e luci morbide e sensuali - inquadra la Parigi parallela alla Manhattan o al Central Park che normalmente notiamo come location con i personaggi che si spostano in auto o a piedi mentre dialogano fittamente del lavoro o del weekend, e lo spettatore crede che siamo tornati alle commedie brillanti, a volte meno, altre di più, del regista che conosciamo da tanto tempo e l’attrazione che nasce tra Fanny e Alain sembra naturale conseguenza di quella atmosfera borghese. Le improvvisate bugie, le scuse per i ritardi, i pranzi di lavoro che diventano un sandwich intimo su una panchina nel parco, tutto prelude al sesso che ne conseguirà. Viene spontaneo pensare: ci risiamo. Ed invece Allen capovolge il piatto dove stiamo mangiando e ci scodella un’altra ricetta, prima lentamente, poi facendoci scoprire con stupore quale sorta di persona sia in realtà Jean e di che cosa sia capace. Se si guarda il film ignari, la sorpresa non è poca e ci si chiede a cosa allude il titolo del film e cosa vuol dire colpo di fortuna.
Gli innamorati son giovani, sembrano parecchio più giovanili dello schematico Jean, sempre a vantarsi del vino che compra, del ristorante che sceglie, dell’opera d’arte appena acquistata, il gioiello per la moglie, che a tutti deve mostrare il suo giocattolo preferito: la stanza dedicata al trenino elettrico griffato che occupa tutto il pavimento. In più presenta Fanny come la moglie ideale che tutti vorrebbero, anche perché sempre consenziente, gentile, affezionata. Ubbidiente. In fondo, per lui, anche la moglie è stato un buon investimento. Non ha fatto arricchire nessuno, stavolta solo il suo carnet. Un personaggio così lo poteva interpretare solo un attore che sa essere antipatico e Melvil Poupaud, un attore esperto che ha recitato per i maggiori autori francesi, da Rohmer in giù, sa perfettamente come interpretarlo. Ogni scena in cui compare è un’ondata di insopportabilità, di doppio gioco. Falso e bugiardo.
Fanny ha il viso cordiale e vivace della fresca bellezza di Lou de Laâge, semplice e spontanea giovin signora che ama sicuramente il marito ma non certo per attrazione fisica, piuttosto per sfuggire al matrimonio precedente e per l’estrema agiatezza in cui vive senza che si sia mai chiarita le idee sulla provenienza del denaro. Naturale che cada nelle braccia di Alain appena questi gli offre un po’ di sincero sentimento e spigliatezza giovanile. Poi, vuoi mettere quell’aria da scrittore parigino che scrive un romanzo ambientato a Parigi in un locale jazz (una pacchia per Allen), che fa tanto bohemien, che ama Prévert? un piccolo appartamento con un letto normale per fare l’amore? per giunta con un giovane uomo dal bell’aspetto come Niels Schneider, che sembra un Adone rispetto a quel monumento narcisista del marito? Il libro che Alain sta scrivendo, dice, è sull’ironia della vita: “Siamo tutti alla mercé del caso e delle coincidenze. La vita è una farsa sinistra.” Questo è il sunto del pensiero del regista americano e di tutti i suoi ultimi film. È la leggerezza della commedia alleniana che si tramuta nel dramma poliziesco, dove al posto degli agenti in uniforme arrivano tre cacciatori, inconsapevoli di far parte del colpo di fortuna, che nel finale è davvero il colpo di scena imprevisto e che chiude la storia. Ma colpo di fortuna per chi? Dipende da chi ne trae beneficio! In definitiva, è il dibattito tra la sicurezza di Jean, l’uomo forte che si fa largo nella società con ogni mezzo, opposta al tentativo di Alain di convincere l’amata a vivere la sua vita al massimo. In particolare, questi sottolinea come ognuno di noi sia fortunato ad essere vivo, dal momento che c’è solo una possibilità su 400 trilioni di nascere in questo mondo. Riecco il caso. E, partendo da tale disputa esistenziale, non si può non tener conto come Allen si prenda gioco di alcuni dei cliché dell’alta società, come quello di andare a caccia e passare interminabili giornate in campagna.
Ormai, arrivato a questa bella età e senza grandi problemi di salute, come gli piace precisare, Woody Allen viaggia da anni col pilota automatico e le sceneggiature gli vengono facili e spontanee, purtroppo non troppo dissimili ma soprattutto con la medesima filosofia di pensiero: i comportamenti delle persone, l’assenza di positività, la paura della morte, il crimine, le colpe (avvertite oppure no), l’eventuale punizione, ammesso che le coincidenze non salvino il colpevole. Sono sempre commedie con lunghi sprazzi divertenti, a volte meno (qui non si sorride quasi mai): è lo sguardo di un uomo anziano, che non riesce mai a vedere roseo. Una volta, in conferenza stampa, ebbe a dire: “Prima di salutarvi vorrei tanto lasciarvi un messaggio positivo. Ma non ce l’ho. Sono la stessa cosa due messaggi negativi?”. Lui è così e noi aficionados lo amiamo così.
Il cast è apprezzabile, anche senza grandi acuti, sicuramente adatti al risultato che l’autore cercava, intorno ai quali ama aggiungere le abitazioni e le strade in cui gli piace girare, aiutato dalla bella fotografia e l’immancabile commento musicale dei brani celebri del suo adorato jazz. Questa volta ha perfino scelto musiche che rimandano a Miles Davis, omaggiando la permanenza che ebbe l’artista nella bellissima Parigi. In particolare, Lou de Laâge e Melvil Poupaud offrono interpretazioni convincenti nei panni di Fanny e Jean.
Cast francese per un film francese, perfettamente in linea con l’arte della commedia di Allen: scorrevole, a tratti romantico, ma con la netta sensazione, dopo i primi minuti, che qualcosa di tragico stia per accadere, causata dal protagonista che non vuole intralci, la cui distorta personalità viene smascherata un po’ per volta.
Non è un capolavoro, ma è migliore del precedente Rifkin's Festival. Gli appassionati di Allen troveranno poco di nuovo, tranne immagini e suoni da godere, nel quadro di una direzione caratterizzata da un approccio registico semplice ma funzionale. La scena finale vale da sola il prezzo del biglietto.
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